Consiglio di Stato, sez. IV, 20.04.2023 n. 4014
Tra i principi eurounitari immediatamente applicabili al caso di specie, assume particolare rilievo il principio di proporzionalità, inteso nella specifica materia dei contratti pubblici come garanzia di un ragionevole equilibrio tra i mezzi utilizzati e fini perseguiti.
Già nella sistematica delle direttive comunitarie 2004/17/CE e 2004/18/CE, secondo l’impostazione più accreditata, sia in dottrina, sia in giurisprudenza, le procedure di affidamento erano contrassegnate da tre compiti concatenati: presidiare l’imparzialità e la correttezza amministrativa, salvaguardare la concorrenza, promuovere la convenienza e l’efficienza dei contratti pubblici (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 9 dicembre 2004 n. 7898).
Inoltre, come messo in luce dalla migliore dottrina, nell’ ottica del diritto comunitario vigente ratione temporis, il principio della trasparenza non era tutelato come fine in sé, ma, più correttamente, come mezzo in vista del raggiungimento del risultato di una effettiva concorrenza.
La trasparenza doveva, già al tempo dei fatti per i quali si controverte, e non diversamente di quanto si ritiene oggi, essere intesa come metodo in vista del raggiungimento di un più ampio assetto concorrenziale.
Del resto, come non si è mancato di sottolineare condivisibilmente in dottrina, una diversa impostazione, secondo cui la P.A. non cura più l’interesse pubblico perché il suo obiettivo diventa la gara, sarebbe irragionevole, sol che si rifletta sulla elementare considerazione per cui nessuna organizzazione può avere successo badando soprattutto a rispettare i vincoli senza preoccuparsi del raggiungimento degli obiettivi.
Come anticipato, siffatta impostazione è in linea con il diritto U.E. e con i principi costituzionali.
La CGUE, sempre attenta agli aspetti sostanziali del singolo caso, non ha mai dato seguito ad approcci meramente formalistici, ispirati al solo rispetto della legalità o a una tutela fideistica della concorrenza.
Nel recente caso Tim (cfr. Corte di Giustizia UE 30 gennaio 2020 in causa C-395/18), la Corte di Giustizia ha messo in evidenza che dal principio di proporzionalità consegue che le norme stabilite dagli Stati membri o dalle amministrazioni aggiudicatrici nell’ambito dell’attuazione delle disposizioni delle direttive eurounitarie non devono andare oltre quanto è necessario per raggiungere gli obiettivi previsti da queste ultime.
Trattasi di un orientamento oramai consolidato a partire dal noto leading case Commissione contro Repubblica di Malta, C-76/08 del 10 settembre 2009, in tema sindacato di proporzionalità sulle misure adottate dagli stati membri in deroga agli obblighi previsti dalle direttive eurounitarie.
Questo risultato ermeneutico, contrariamente a quanto assume l’odierna parte appellante, non appare smentito neanche dalla comunicazione interpretativa della Commissione del 2006 (2006/C 179/02) la quale ha ribadito che “ in singoli casi «a causa di circostanze particolari, come un valore economico molto limitato», un’impresa con sede in un altro Stato membro non avrebbe interesse all’aggiudicazione dell’appalto. In questo caso, «gli effetti sulle libertà fondamentali … dovrebbero essere considerati troppo aleatori e troppo indiretti» per giustificare l’applicazione di norme derivate dal diritto primario della Comunità . Spetta alle singole amministrazioni aggiudicatrici decidere se l’aggiudicazione di un determinato appalto possa essere interessante per operatori economici situati in altri Stati membri. La Commissione ritiene che questa decisione deve essere basata su una valutazione delle circostanze specifiche del caso, quali l’oggetto dell’appalto, il suo importo stimato, le particolari caratteristiche del settore in questione (dimensioni e struttura del mercato, prassi commerciali, ecc.), nonché il luogo geografico di esecuzione dell’appalto. Se l’amministrazione aggiudicatrice giunge alla conclusione che l’appalto in questione presenta interesse per gli operatori economici di altri Stati membri, deve aggiudicarlo in conformità con le norme fondamentali derivanti dal diritto comunitario).
Pertanto alla luce delle considerazioni che precedono, le procedure di cottimo fiduciario devono essere idonee a garantire il rispetto dei principi di parità di trattamento, di non discriminazione, di proporzionalità e di trasparenza. L’osservanza di tali principi costituisce, tra l’altro, attuazione delle stesse regole costituzionali dell’imparzialità e del buon andamento, che devono guidare l’azione della pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 97 della Costituzione. Il principio di proporzionalità, inteso nei termini suindicati, comprende in sé il divieto di aggravio del procedimento, impedendo che nella fissazione o nell’interpretazione delle prescrizioni della legge di gara possano essere previsti adempimenti superflui o ridondanti.
Dal principio di proporzionalità deriva, pertanto, il corollario della c.d. «strumentalità delle forme» ad un interesse sostanziale dell’Amministrazione, di cui la giurisprudenza amministrativa ha fatto costane applicazione nel contenzioso in materia di appalti pubblici, e che di recente è stato codificato, mediante l’icastica formula del principio del risultato, dall’art. 1 del nuovo codice degli appalti di cui al decreto legislativo n. 36 del 31 marzo 2023.
Era, invero, affermazione largamente condivisa, già sotto il regime del d.lgs. n. 163/2006, quella secondo la quale i principi applicabili ai contratti esclusi dalla diretta applicazione delle direttive comunitarie implicavano un obbligo di gara meno formale di quella imposta per i contratti inclusi. Tale obbligo, nel caso della procedura di cottimo fiduciario, si traduceva sostanzialmente nella necessità di invitare almeno cinque concorrenti.
Ciò non significa, peraltro, come sostiene la regione appellante, disapplicare i principi (o alcuni dei principi) dei trattati eurounitari che regolano i contratti pubblici, ma semplicemente bilanciarli diversamente in fattispecie che, come quella qui in esame, sono annoverabili tra quelle di minore impatto concorrenziale.
Siffatti principi vanno ragionevolmente bilanciati e attuati secondo diverse graduazioni, dato che l’attuazione massima di tutti i principi coinvolti è solitamente impedita dal fatto che essi sono spesso incompatibili fra loro. Tuttavia, a tutti i principi deve essere garantita almeno un’attuazione minima (dal momento che ciascuno dei principi coinvolti è garantito dall’ordinamento, al pari degli altri).
Per questa ragione, i principi vanno bilanciati, non massimizzati: la massimizzazione di un principio comporta l’«annichilimento» del principio o dei principi incompatibili e, dunque, la violazione dell’ordinamento che impone un’attuazione – ancorché minima – a tutti i principi dello stesso «rango».
Rappresenta un’acquisizione largamente condivisa quella secondo cui, all’esito della predetta operazione di bilanciamento, il principio soccombente recede, come è stato acutamente rilevato in dottrina, nei limiti del criterio di proporzionalità. Il bilanciamento impedisce che vi sia un sacrificio integrale di un principio a favore dell’altro e risponde a una logica chiaroscurale di applicazione fino a un certo limite.
Tali affermazioni trovano riscontro anche nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale ha avuto modo di affermare che l’applicazione di diversi principi generali può portare a differenti risultati secondo il diverso bilanciamento effettuato in concreto (Corte di Giustizia UE 10 luglio 2014 (in causa C-358/12), Consorzio Stabile Libor Lavori).
Da quanto precede deriva, dunque, il dovere di applicare i principi di trasparenza e parità di trattamento secondo la regola della proporzionalità.