Consiglio di Stato, sez. III, 02.11.2020 n. 6697
L’associazione che raggruppa imprese esercenti l’attività di sorveglianza e prevenzione antincendio e che operano in vari settori, tra i quali anche quello sanitario, è legittimata ad impugnare la lex specialis di gara che, di fatto, ammette a partecipare alla procedura operatori economici che non possono vantare una qualificazione specifica nel settore della vigilanza antincendio; l’associazione, infatti, ha inteso tutelare l’interesse generale di tutte le imprese operanti nel settore della vigilanza antincendio alla tutela della professionalità e specializzazione della categoria attraverso l’affermazione del principio che alle gare per l’affidamento dei servizi di sorveglianza antincendio possano partecipare solo imprese qualificate in ragione del loro specifico vissuto professionale e non già imprese che non hanno mai svolto un simile – per di più particolarmente delicato – servizio.
Nel caso di specie l’associazione ricorrente ha inteso tutelare l’interesse generale di tutte le imprese operanti nel settore della vigilanza antincendio alla tutela della professionalità e specializzazione della categoria attraverso l’affermazione del principio che alle gare per l’affidamento dei servizi di sorveglianza antincendio possano partecipare solo imprese qualificate in ragione del loro specifico vissuto professionale e non già imprese che non hanno mai svolto un simile – per di più particolarmente delicato – servizio. Nel caso di specie tale qualificazione finirebbe per non essere necessaria, essendo previsto il deposito di “referenze bancarie” in alternativa al requisito del fatturato specifico.
Resta, infatti, salvaguardata l’omogeneità della posizione di categoria unitariamente rappresentata dall’associazione appellante e, al contempo, esclusa la potenziale conflittualità con la posizione di singoli associatiLa questione della legittimazione attiva dei c.d. enti collettivi è stata oggetto di un ampio dibattito, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza. Si tratta di quei soggetti che hanno come fine statutario la tutela di interessi collettivi, ovvero interessi comuni a più soggetti che si associano come gruppo o come categoria per realizzare i fini del gruppo stesso. Tali enti si distinguono tanto dai singoli associati quanto dalla comunità generale. L’interesse collettivo, dunque, deve essere un interesse riferibile al gruppo in sé, che, da parte sua, non può avere una dimensione occasionale. Si è, di recente, evidenziato che “L’interesse diffuso del quale si sta discorrendo è un interesse sostanziale che eccede la sfera dei singoli per assumere una connotazione condivisa e non esclusiva, quale interesse di “tutti” in relazione ad un bene dal cui godimento individuale nessuno può essere escluso, ed il cui godimento non esclude quello di tutti gli altri”.
Ciò chiarito, l’interesse sostanziale del singolo, inteso quale componente individuale del più ampio interesse diffuso, non assurge ad una situazione sostanziale “personale” suscettibile di tutela giurisdizionale (non è cioè protetto da un diritto o un interesse legittimo) posto che l’ordinamento non può offrire protezione giuridica ad un interesse sostanziale individuale che non è in tutto o in parte esclusivo o suscettibile di appropriazione individuale. E’ solo proiettato nella dimensione collettiva che l’interesse diviene suscettibile di tutela, quale sintesi e non sommatoria dell’interesse di tutti gli appartenenti alla collettività o alla categoria, e che dunque si dota della protezione propria dell’interesse legittimo, sicché – per tornare alla critica mossa dall’orientamento giurisprudenziale citato, incentrata sull’asserita violazione dell’art. 81 cpc – seppur è lecito opinare circa l’esistenza o meno, allo stato dell’attuale evoluzione sociale e ordinamentale, di un interesse legittimo collettivo, deve invece recisamente escludersi che le associazioni, nel richiedere in nome proprio la tutela giurisdizionale, azionino un “diritto” di altri. La situazione giuridica azionata è la propria. Essa è relativa ad interessi diffusi nella comunità o nella categoria, i quali vivono sprovvisti di protezione sino a quando un soggetto collettivo, strutturato e rappresentativo, non li incarni(Cons. Stato, A.P., 20 febbraio 2020, n. 6).
L’interesse, dunque, deve essere differenziato e, conseguentemente, la lesione di tale interesse legittima al ricorso l’organizzazione in quanto tale.
In subiecta materia è poi ius receptum in giurisprudenza il principio secondo cui nel processo amministrativo per la legittimazione attiva di associazioni rappresentative di interessi collettivi si rivela necessario che: a) la questione dibattuta attenga in via immediata al perimetro delle finalità statutarie dell’associazione e, cioè, che la produzione degli effetti del provvedimento controverso si risolva in una lesione diretta del suo scopo istituzionale, e non della mera sommatoria degli interessi imputabili ai singoli associati; b) l’interesse tutelato con l’intervento sia comune a tutti gli associati, che non vengano tutelate le posizioni soggettive solo di una parte degli stessi e che non siano, in definitiva, configurabili conflitti interni all’associazione (anche con gli interessi di uno solo dei consociati), che implicherebbe automaticamente il difetto del carattere generale e rappresentativo della posizione azionata in giudizio; resta infine preclusa ogni iniziativa giurisdizionale sorretta dal solo interesse al corretto esercizio dei poteri amministrativi, occorrendo un interesse concreto ed attuale (imputabile alla stessa associazione) alla rimozione degli effetti pregiudizievoli prodotti dal provvedimento controverso (Cons. Stato, A.P., 2 novembre 2015, n. 9; 27 febbraio 2019, n. 2). La perdurante predicabilità di forme di tutela di interessi diffusi ove suscettivi di un processo di cd. collettivizzazione a mezzo della entificazione della comunità di riferimento è stata, poi, di recente ulteriormente ribadita da questo Consiglio in composizione plenaria anche laddove non vi sia un atto di rango legislativo che ciò esplicitamente riconosca (Cons. Stato, A.P., 20 febbraio 2020, n. 6). Vale ulteriormente soggiungere che l’ipotesi di conflitto di interessi, che priva di legittimazione ad intervenire gli enti collettivi, non può essere desunta dall’esistenza di posizioni differenziate all’interno della medesima categoria di operatori economici o professionali, quando a intervenire nel giudizio amministrativo non sia un ente preposto alla rappresentanza istituzionale di quest’ultima, come nel caso degli ordini professionali, per i quali una rappresentanza così estesa ha fondamento nella legge; diversamente, in caso di associazioni di imprese, il cui potere rappresentativo ha invece origine nel contratto istitutivo dell’ente collettivo, il requisito dell’omogeneità dell’interesse fatto valere in giudizio deve essere accertato nell’ambito della sola base associativa, oltre che in relazione alla natura della questione controversa in giudizio e alla sua riconducibilità agli scopi statutari dell’ente. Sulla base dei suddetti rilievi si è, dunque, evidenziato che non può ritenersi sfornita della legittimazione ad intervenire in giudizio un’associazione di imprese quando, ferma la rilevanza della questione per le finalità statutarie perseguite, non risulta che alcuno degli operatori economici che ad essa partecipi abbia assunto iniziative di carattere giurisdizionale contrastanti con l’intervento in giudizio dell’ente collettivo (Cons. Stato, A.P., 21 maggio 2019, n. 8).fonte: sito Giustizia Amministrativa
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