Consiglio di Stato, sez. V, 04.12.2017 n. 5704
Secondo la pronuncia in commento deve innanzitutto essere data continuità all’incontrastato indirizzo di questo Consiglio di Stato che circoscrive l’errore professionale di cui alla lettera f) dell’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006 ai soli inadempimenti e condotte negligenti commessi nell’esecuzione di un contratto pubblico, e che per contro esclude dal campo applicativo della norma i fatti, anche illeciti, occorsi nella prodromica procedura di affidamento (alcune delle quali già segnalate su questo sito: Cons. Stato, V, 30 ottobre 2017, n. 4973, 15 giugno 2017, n. 2934; in precedenza: Cons. Stato, V, 4 agosto 2016, n. 3542, 25 febbraio 2016, n. 771, 21 luglio 2015, n. 3595).
Come specificato nei precedenti in questione, la delimitazione della fattispecie in esame alle sole condotte commesse nella fase di esecuzione di contratti pubblici si giustifica sulla base di ragioni di tipicità e tassatività della causa ostativa, e dunque per le correlate ragioni di certezza vantate dagli operatori economici in ordine ai presupposti che consentono loro di concorrere all’affidamento di commesse pubbliche (sulle esigenze di certezza nel settore dei contratti pubblici ed in particolare con riguardo alle cause di esclusione dalle relative procedure di affidamento si rinvia alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea 2 giugno 2016, C-27/15).
4. Nella medesima linea interpretativa, questo Consiglio di Stato ha escluso che gli estremi del grave errore professionale possano essere ricavati da procedimenti penali nei confronti di esponenti dell’impresa concorrente, per i rischi di sovrapposizione tra la causa ostativa di cui alla lettera f) dell’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006 con quella autonoma prevista dalla lettera c) della medesima disposizione e dunque anche in questo caso in violazione del principio di tassatività della cause di esclusione (Cons. Stato, VI, 2 gennaio 2017, n. 1).
La giurisprudenza amministrativa ha inoltre precisato che la finalità dell’ipotesi contemplata dalla lettera f) è di consentire alla stazione appaltante di valutare la rilevanza del comportamento tenuto dall’impresa nell’esercizio della sua attività professionale in vista della corretta esecuzione dell’appalto da affidare; nell’ambito di questo indirizzo si precisa che il giudizio demandato all’amministrazione non ha carattere sanzionatorio ma fiduciario (ex multis Cons. Stato, IV, 11 luglio 2016, n. 3070; V, 13 luglio 2017, n. 3444, 20 febbraio 2017, n. 742, 11 aprile 2016, n. 1412, 18 giugno 2015, n. 3107, 15 giugno 2015, n. 2928, 23 marzo 2015, n. 1567, 3 dicembre 2014, n. 5973; VI, 1 settembre 2017, n. 4161).
5. Da ultimo – come sottolineato negli scritti conclusionali – questa Sezione ha escluso che ricorra il «grave errore professionale» previsto dall’art. 38, lett. f), d.lgs. n. 163 del 2006 l’illecito anticoncorrenziali (sentenza 17 luglio 2017, n. 3505).
Nella medesima ottica del principio di determinatezza delle cause di esclusione da procedure di affidamento di contratti pubblici poc’anzi richiamato, in quest’ultimo precedente si è in particolare affermato che la disciplina di cui al previgente codice dei contratti pubblici «come pure (la) legge n. 287 del 1990, con riguardo alle sanzioni pecuniarie irrogate dall’A.G.C.M., non prevede alcuna sanzione accessoria rilevante in termini di esclusione dalla gara».
Per le ragioni sinora esposte – e condivise da questo collegio – al principio in questione deve essere data continuità nel presente giudizio.
6. L’opposta tesi propugnata dall’originaria ricorrente e fatta invece propria dal giudice di primo grado conduce ad estendere il campo di applicazione della norma in esame ad ipotesi ad essa non riconducibili.
Quest’ultima si suddivide in due ipotesi, consistenti nella «grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara» e nel «errore grave nell’esercizio della loro attività professionale», che tuttavia hanno un nucleo comune, incentrato sullo svolgimento dell’attività di impresa sulla capacità tecnica e correttezza esecutiva manifestata dall’operatore economico nello svolgimento di quest’ultima.
7. Esulano quindi dal perimetro applicativo della norma i fatti illeciti commessi al di fuori dell’esecuzione di rapporti contrattuali, a qualsiasi titolo sanzionati dall’ordinamento. Tali ipotesi risultano infatti incompatibili sul piano letterale e logico con la nozione di «errore» impiegata nella lettera f), nel contesto di una disposizione che per altre cause ostative, relative a fatti lesivi di interessi generali e non circoscritti alla sfera imprenditoriale, impiega invece le espressioni «gravi infrazioni» (lett. e) o «violazioni gravi» (lett. “g” e “i”); o ancora «hanno violato il divieto» (lett. d).
8. In contrario rispetto a quanto finora rilevato non induce il richiamo, operato dal giudice di primo grado, alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea 18 dicembre 2014, C-470/13.
E’ infatti vero che con questa pronuncia il giudice europeo ha stabilito che nell’ipotesi di «errore grave» commesso «nell’esercizio dell’attività professionale» previsto dall’art. 45, comma 2, lett. d), della direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004 (relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi) «un’infrazione alle regole della concorrenza, in particolare qualora tale infrazione sia stata sanzionata con un’ammenda» (§ 35). Tuttavia, è altrettanto vero – come sottolinea il CNS – che la pronuncia è stata resa in un giudizio sorto su un rinvio pregiudiziale avente ad oggetto la compatibilità con il diritto euro-unitario di previsioni legislative di uno Stato membro dell’Unione che attribuivano espressa rilevanza all’infrazione al diritto della concorrenza ai fini della partecipazione al procedure di affidamento di contratti pubblici. La questione esaminata dalla Corte di giustizia era dunque se potesse essere ricondotta alla nozione utilizzata dall’art. 45, comma 2, lett. d), della direttiva 2004/18/CE la fattispecie prevista dalla legislazione ungherese in materia di contratti pubblici, la quale consente alle amministrazioni aggiudicatrici di impedire la partecipazione a procedure di affidamento agli operatori economici che hanno commesso «un’infrazione connessa alla propria attività economica e professionale, e constatata con decisione giurisdizionale passata in giudicato al massimo cinque anni prima».
9. Invece, nel caso di specie questa “interposizione” legislativa interna difetta.
Se infatti nel caso esaminato dal giudice europeo si verteva su una causa ostativa incentrata sull’«infrazione connessa alla propria attività economica e professionale», espressamente prevista dalla legge nazionale, nel caso di specie l’art. 38, lett. f), d.lgs. n. 163 del 2006 si limita per contro a riprodurre la formulazione normativa della direttiva europea, attraverso la nozione di «errore professionale», non ulteriormente specificata.
La Corte di giustizia ha quindi ritenuto che l’illecito anticoncorrenziale, rientrante nella causa di esclusione prevista dal legislatore interno, sia a sua volta riconducibile alla fattispecie dell’errore grave commesso nell’esercizio dell’attività professionale prevista dalla direttiva. Ciò nell’ambito di un giudizio di conformità del diritto interno rispetto allo strumento normativo sovranazionale finalizzato ad armonizzare le legislazioni degli Stati aderenti all’Unione europea, condotto secondo il tipico approccio “funzionale” che contraddistingue il diritto di quest’ultima, ovvero incentrato sulla verifica della corretta attuazione sul piano interno delle finalità perseguite a livello europeo.
10. Nel caso del previgente codice dei contratti pubblici manca invece il presupposto normativo “interno” e cioè l’opzione espressa del legislatore nazionale nel senso di declinare la nozione europea nel senso di ricondurvi anche l’illecito antitrust.
A fronte di ciò l’indagine deve essere affidata ai comuni criteri di interpretativi delle leggi, sanciti dall’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale (c.d. preleggi).
11. A questo specifico riguardo, la differente formulazione della norma italiana rispetto a quella ungherese esaminata dalla Corte di giustizia ha carattere sostanziale: quest’ultima si riferisce a violazioni di legge commesse nell’ambito dell’attività di impresa ed a vantaggio di questa; la seconda, nel limitarsi ad impiegare il concetto di «grave errore professionale», deve invece ritenersi limitataad inadempimenti di obblighi assunti dall’impresa stessa nei propri rapporti contrattuali.
Quindi, va evidenziato che le intese restrittive della concorrenza non possono essere ricondotte all’attività professionale dell’impresa, ma costituiscono fatti illeciti commessi appunto a vantaggio di quest’ultima, in violazione delle norme a tutela del fisiologico esplicarsi delle attività economiche.
12. Pertanto, de iure condito – e più precisamente secondo il diritto vigente all’epoca dei fatti di causa – gli assunti della ricorrente non possono quindi essere condivisi, come peraltro ha precisato questa Sezione nella sopra citata sentenza 17 aprile 2017, n. 3505, sulla base del raffronto con l’attuale codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.
Infatti, premesso che l’art. 80, comma 5, lett. c), di quest’ultimo testo normativo include nei «gravi illeciti professionali» anche «il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio», come pure il fornire «informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione», nel precedente in esame si è evidenziato che questa previsione ha carattere innovativo rispetto a quella del previgente codice e che la stessa non è pertanto estensibile in via retroattiva a procedure di affidamento soggette a quest’ultimo.
Alle medesime conclusioni deve quindi giungersi per la gara oggetto del presente giudizio, anch’essa bandita prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 50 del 2016.
13. Va poi sottolineato che anche in occasione del parere reso da questo Consiglio di Stato sulle Linee guida ANAC n. 6 (Indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del codice) si è evidenziato che la nozione di illecito professionale accolta da quest’ultima disposizione «abbraccia molteplici fattispecie, anche diverse dall’errore o negligenza, e include condotte che intervengono non solo in fase di esecuzione contrattuale, come si riteneva nella disciplina previgente [Cons. St., V, 21.7.2015 n. 3595], ma anche in fase di gara» (parere della Commissione speciale 3 novembre 2016 n. 2286).
14. Palesemente inconferente è invece l’ulteriore precedente della Corte di giustizia richiamato dal giudice di primo grado, e cioè la sentenza 13 dicembre 2012, C-465/11.
In quel caso la questione pregiudiziale verteva sulla conformità all’art. 45, comma 2, lett. d), della direttiva 2004/18/CE della legislazione polacca nella parte in cui prevedeva come causa di esclusione automatica dalle procedure di gara ipotesi di risoluzione o inadempimento contrattuali. Quindi, come sottolinea il CNS, nella pronuncia in esame la Corte di giustizia ha ritenuto tale ipotesi di esclusione automatica non conforme alla normativa europea.