Istanza di concordato in bianco ed esclusione dalla gara : rimessione all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato, sez. V, ord. 8 gennaio 2021, n. 309 ha rimesso all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato le seguenti questioni:

a) se la presentazione di un’istanza di concordato in bianco ex art. 161, comma 6, legge fallimentare (r.d. n. 267 del 1942) da parte dell’impresa mandante di un raggruppamento temporaneo debba ritenersi causa di automatica esclusione dalle gare pubbliche, per perdita dei requisiti generali, ovvero se la presentazione di detta istanza non inibisca la partecipazione alle procedure per l’affidamento di commesse pubbliche, quanto meno nell’ipotesi in cui essa contenga una domanda prenotativa per la continuità aziendale;

b) se la partecipazione alle gare pubbliche debba ritenersi atto di straordinaria amministrazione e, dunque, possa consentirsi alle imprese che abbiano presentato domanda di concordato preventivo c.d. in bianco la partecipazione alle stesse gare, soltanto previa autorizzazione giudiziale nei casi urgenti, ovvero se detta autorizzazione debba ritenersi mera condizione integrativa dell’efficacia dell’aggiudicazione;

c) in quale fase della procedura di affidamento l’autorizzazione giudiziale di ammissione alla continuità aziendale debba intervenire onde ritenersi tempestiva ai fini della legittimità della partecipazione alla procedura e dell’aggiudicazione della gara;

d) se le disposizioni normative di cui all’art. 48, commi 17, 18, 19 ter, d.lgs. n. 50 del 2016 debbano essere interpretate nel senso di consentire la sostituzione della mandante che abbia presentato ricorso di concordato preventivo c.d. in bianco ex art. 161, comma 6, cit. con altro operatore economico subentrante anche in fase di gara, ovvero se sia possibile soltanto la mera estromissione della mandante e, in questo caso, se l’esclusione del r.t.i. dalla gara possa essere evitata unicamente qualora la mandataria e le restanti imprese partecipanti al raggruppamento soddisfino in proprio i requisiti di partecipazione. 

In termini v. anche Cons. St., sez. V, ord., 8 gennaio 2021, n. 313

La questione da risolvere è relativa alle conseguenze, stabilite nel vigente ordinamento, per il caso di presentazione, in fase di gara, della c.d. domanda di concordato in bianco da parte dell’impresa mandante di un raggruppamento temporaneo. 

La Sezione ha premesso una breve disamina delle caratteristiche proprie dei due istituti disciplinati dalla legge fallimentare: il concordato in bianco e il concordato con continuità aziendale. 

Il “pre-concordato” (o “concordato con riserva” o “concordato in bianco”, com’è stato finora variabilmente definito nella pratica e dai primi commentatori) e il “concordato con continuità aziendale” sono le due figure particolari di concordato preventivo disciplinate ex novo dal d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito dalla l. 7 agosto 2012, n. 134. 

La prima figura è, in effetti, del tutto originale per il nostro ordinamento (anche se non lo è in altri, come quello statunitense, dal quale è stata sostanzialmente importata per realizzare le utilità dell’automatic stay previsto dal chapter 11 del codice fallimentare USA) e si traduce – come si evince dall’art. 161, comma 6, l.fall. – nella possibilità di depositare una domanda di concordato preventivo priva, di fatto, di contenuto, essendo finalizzata solo a chiedere al Tribunale la concessione di un termine (variabile da 60 a 120 giorni e prorogabile per non più di altri 60 giorni) proprio al fine di poter predisporre e poi presentare la vera e propria proposta di concordato, da corredare con quel piano e con quell’altra documentazione (compresa la relazione attestativa dell’esperto) che l’art. 161, comma 2, nel testo originario, esigeva invece che fosse presentata già al momento di deposito del ricorso (è stato peraltro previsto che il ricorrente possa presentare poi entro il termine, al posto della proposta definitiva di concordato, una domanda di omologa di accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis l.fall.). 

L’art. 161, comma 6, della legge fallimentare prevede, in particolare, la possibilità per l’imprenditore di presentare un ricorso contenente la domanda di concordato allegando soltanto “i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi” e “l’elenco nominativo dei creditori”, riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione richiesta dai commi 2 e 3 dell’art. 161 entro il termine (prorogabile) fissato dal giudice. 

L’utilità che con tale domanda si mira a realizzare è soprattutto quella di poter fruire, per tutto l’arco temporale fino alla scadenza del termine concesso dal Tribunale (e con effetto a partire dalla data di iscrizione nel Registro delle imprese), di un “ombrello protettivo” contro le aggressioni esecutive dei creditori, le azioni cautelari e l’iscrizione unilaterale di diritti di prelazione (art. 168 l. fall.) pur in assenza di una proposta di concordato vera e propria, solo in presenza della quale potevano prima scattare comparabili (anche se non identiche) misure protettive. 

Con tale previsione, dunque, lo spatium deliberandi concesso al debitore può essere utilizzato sia per predisporre il piano e consentire all’esperto di attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano stesso, sia per raggiungere accordi con i creditori diretti a facilitarne il buon esito (ad esempio la rinuncia al privilegio da parte di alcuni creditori). 

In definitiva, con tale istituto si paralizza temporaneamente quel potere-dovere del Tribunale di dichiarare inammissibile la proposta che esso sarebbe chiamato ad esercitare ai sensi dell’art. 162, comma 2, in ragione del difetto, appunto, dei presupposti previsti dai commi primo e secondo dell’art. 160, e dai primi quattro commi dell’art. 161, ossia, in sintesi, in ragione della mancanza degli elementi minimi di riconoscibilità di una proposta concordataria valida ed ammissibile, secondo la conformazione tipologica ed i requisiti formali e sostanziali previsti dalle predette norme. 

Che si tratti di una paralisi temporanea di questo potere-dovere è dimostrato dal fatto che, a norma dell’art. 161, comma 6, ultimo periodo, se nel termine fissato dal Tribunale il debitore-ricorrente non deposita né una proposta definitiva di concordato (con il corredo documentale di cui si è detto), né, alternativamente (come pure la norma gli concede di poter fare), un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.fall., “si applica l’articolo 162, commi secondo e terzo”, ossia il Tribunale procede a convocare il debitore per contestargli l’inammissibilità della domanda e procedere poi a dichiararla, dichiarando eventualmente anche il fallimento se sia stata presentata un’istanza o richiesta in tal senso e, ovviamente, se ne sussistano i relativi presupposti. 

Il Tribunale può dunque dichiarare inammissibile la domanda per difetto di proposta o per difetti della proposta o della prescritta documentazione, di norma, solo dopo il decorso del termine da esso stesso concesso, essendo rimasto sospeso tale potere-dovere durante il suddetto intervallo temporale. 

Si è poi in generale rilevato come la previsione di cui al comma 6 in realtà contempli una forma minimale di presentazione di domanda con riserva, ma non vieti di integrare la stessa con ulteriori indicazioni. 

Quindi, la circostanza che il ricorso possa essere predisposto in forme assolutamente semplificate non escluderebbe affatto che la domanda, per quanto da catalogare come “prenotativa”, possa essere arricchita da ulteriori elementi, e che quindi più che di domanda “in bianco”, si possa parlare di domanda “con riserva di presentare ulteriore documentazione”, graduando cioè la semplificazione dalla forma minimale prevista dall’art. 161, comma 6, l. fall. a contenuti documentali più ricchi, in funzione delle caratteristiche dell’impresa e degli obiettivi che si intendono perseguire, compreso quello della continuità aziendale. 

Il concordato con continuità aziendale, invece, è disciplinato dal più volte richiamato art.186 bis della Legge Fallimentare e si ha quando “il piano di concordato di cui all’articolo 161, secondo comma, lettera e), prevede la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione”. 

Come chiarito da ultimo dalla Corte costituzionale (nella recente sentenza 7 maggio 2020, n. 85) la disciplina del concordato preventivo con continuità aziendale – rispondente, come noto, alla finalità di favorire il superamento dello stato di crisi dell’azienda – “si caratterizza per la previsione di stabilità dei contratti in essere con le pubbliche amministrazioni, ex art. 186-bis, terzo comma, della legge fallimentare, e, al contempo, per la possibilità che l’impresa partecipi alle procedure di affidamento dei contratti pubblici. 

Sia la giurisprudenza che l’Anac hanno, tuttavia, riconosciuto la possibilità di presentare una domanda di concordato “in bianco” che abbia gli effetti (c.d.) “prenotativi” della presentazione del concordato in continuità aziendale. 

In sintesi, con tale strumento l’operatore economico usufruisce dei benefici del concordato in bianco – come la protezione dalle aggressioni esecutive dei creditori, o dalla dichiarazione di inammissibilità del Tribunale per mancanza di piano e proposta concordatari, la possibilità di usufruire di un maggior lasso di tempo per decidere se procedere ad un concordato liquidatorio, fallimentare o in continuità – e, allo stesso tempo, si riserva la possibilità di presentare ulteriore documentazione finalizzata alla richiesta di un concordato in continuità aziendale. 

Sarebbe, infatti, ben possibile, secondo alcuni, ipotizzare una fattispecie in cui conviva sia l’esigenza economico-aziendale di attivare una procedura concorsuale per la liquidazione dei debiti e il riassetto della società, senza però impegnarsi a specificare immediatamente il progetto, usufruendo di un arco temporale più lungo per la sua definizione, accompagnato dai benefici suesposti caratteristici delle procedure concorsuali, sia la volontà, e la possibilità, alla luce delle risorse della singola società, di pianificare, una volta superato il momento di crisi, la continuazione dell’attività aziendale. 

Anzi, si tende a distinguere la domanda c.d. in bianco (cioè con il contenuto minimale indicato dal comma 6) dalla domanda con riserva arricchita da ulteriori elementi, sottolineandosi come la prima sia compatibile soltanto con una situazione nella quale all’impresa non servono tutte le potenzialità che oggi la legge riconosce. 

Gli aspetti ora evidenziati sono strettamente correlati al “se” la c.d. domanda in bianco sia compatibile con una proposta di concordato preventivo in continuità aziendale ai sensi dell’art. 186-bis, l. fall., e se possa già configurarsi la tipologia del c.d. “concordato con continuità aziendale” come delineata dall’art. 186 bis della legge fallimentare quando sia proposta una semplice domanda di preconcordato. 

Al riguardo, nonostante la disposizione del comma 1 dell’art. 182-quinquies, l. fall. sembrerebbe legittimare la presentazione di una domanda di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale, anche ai sensi dell’articolo 161, comma 6, possono porsi seri dubbi sulla compatibilità fra le due previsioni, sino ad evidenziare la sussistenza di una vera e propria aporia normativa. Ciò in quanto un concordato con continuità aziendale sub specie di preconcordato sembrerebbe non possibile alla stregua di quanto disposto dall’art. 186-bis, comma 1, che definisce in generale la fattispecie del concordato con continuità aziendale, fissandone tre specifiche condizioni: 1) il piano di concordato deve prevedere la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione; 2) il piano deve contenere anche un’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività d’impresa delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura; 3) la relazione del professionista di cui all’articolo 161, comma 3, deve attestare che la prosecuzione dell’attività d’impresa prevista dal piano di concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori. 

Poiché tuttavia non esiste un concordato che possa definirsi con continuità aziendale che manchi di una o più di tali condizioni, e poiché queste mancano tutte in caso di pre-concordato, non sembrerebbe possibile, secondo altra tesi, presentare un pre-concordato con continuità aziendale. 

Tanto evidenziato, la Sezione preliminarmente rileva l’esistenza di un contrasto nella giurisprudenza di questo Consiglio di Stato in relazione alle su delineate questioni di diritto, rilevanti ai fini della decisione (ed analogo contrasto si rinviene, come si dirà, anche nell’ambito della giurisprudenza dei Tribunali amministrativi regionali). 

La questione dell’ammissibilità della partecipazione alle gare per l’affidamento dei pubblici contratti all’operatore che abbia presentato istanza di concordato preventivo c.d. in bianco ai sensi dell’art. 161, comma 6, legge fallimentare e l’applicabilità a detta procedura della deroga di cui all’art. 186 bis della legge fallimentare, introdotto dalla legge n. 134 del 2012, è stata oggetto di statuizioni giurisprudenziali (sia nella giurisprudenza amministrativa di primo grado sia in quella di ultima istanza), che hanno, infatti, determinato due opposti orientamenti interpretativi. 

Il primo, estensivo, propende per l’applicabilità anche alla fattispecie in esame della deroga prevista dall’art. 186 bis della legge fallimentare con il deposito dell’istanza di ammissione al concordato, secondo cui, nelle more tra il deposito della domanda e l’ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale, l’impresa conserva la facoltà di partecipare alle gare di affidamento dei pubblici contratti: ciò varrebbe, quindi, anche nell’ipotesi in cui l’impresa abbia inizialmente proposto una domanda di ammissione “in bianco” con riserva di presentare, nel termine massimo fissato dal giudice, la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 186 bis Legge Fallimentare (Cons. Stato, sez. V, 21 febbraio 2020, n. 1328; id., sez. III, 20 marzo 2018, n. 1772; si veda anche determinazione ANAC, 8 aprile 2015, n. 5). In base a questo indirizzo giurisprudenziale la presentazione di una domanda di concordato “in bianco”, con riserva di istanza per il concordato con continuità aziendale, non impedisce di per sé la partecipazione ad una procedura di gara e non determina la perdita dei requisiti di partecipazione in capo all’operatore economico. Nelle predette decisioni, si afferma che la presentazione di una domanda di concordato in bianco non sarebbe, dunque, causa di automatica esclusione dalle procedure di affidamento dei pubblici contratti, specie allorquando la domanda abbia contenuti “prenotativi” della presentazione della proposta in continuità, anticipando espressamente tale volontà (non potendo in tal caso ritenersi pendente un procedimento per l’ammissione al concordato liquidatorio tout court: cfr. Determina ANAC 8 aprile 2015). 

Sotto altro concorrente profilo, si è rilevato altresì che l’art. 161, comma 7, della legge fallimentare stabilisce che, dopo la presentazione dell’istanza di ammissione e prima della decisione del Tribunale di cui al successivo art. 163, il debitore possa compiere atti urgenti di straordinaria amministrazione, se autorizzato dal Tribunale, o anche atti di ordinaria amministrazione. 

Si evidenzia, inoltre, che la giurisprudenza, in talune pronunzie (Cons. Stato, sez. III, 8 maggio 2019, n. 2963), ha escluso che la partecipazione ad una pubblica gara in pendenza di domanda per l’ammissione al concordato costituisca un atto di straordinaria amministrazione, necessitante, pertanto, dell’autorizzazione del Tribunale. Tale orientamento ritiene, infatti, opinabile che la partecipazione alla gara possa, in generale, considerarsi un atto di straordinaria amministrazione, poiché per la giurisprudenza civile di legittimità vanno considerati tali solo gli atti che possono oggettivamente incidere in senso negativo sul patrimonio destinato al soddisfacimento dei creditori, mentre sono di ordinaria amministrazione gli atti di comune gestione dell’impresa strettamente aderenti alle finalità e dimensioni del suo patrimonio e quelli che – ancorché comportanti una spesa – lo migliorino o anche solo lo conservino (Cass., sez. I, 29 maggio 2019, n. 14713); e, comunque, la relativa valutazione deve essere frutto di un riscontro caso per caso, nel quale occorre tener conto, in particolare, della specifica finalità che l’atto risulta oggettivamente perseguire (Cass., sez. I, 22 ottobre 2018, n. 26646). 

Secondo alcune delle sentenze sopra richiamate, la circostanza che le autorizzazioni del Tribunale civile siano state adottate in corso di gara e finanche dopo il provvedimento di aggiudicazione risulterebbe poi irrilevante, trattandosi di condizioni integrative dell’efficacia dell’aggiudicazione, che possono, quindi, intervenire anche in pendenza del procedimento di appalto (cfr. per una compiuta disamina sulle condizioni di ammissione alle gare pubbliche delle imprese che hanno presentato istanza di concordato preventivo in bianco e con continuità aziendale e sul relativo regime autorizzatorio Cons. Stato, sez. V, 3 gennaio 2019, n. 69).

12. Il secondo orientamento, restrittivo, cui ha aderito anche la sentenza appellata, esclude a priori ogni possibilità di partecipare alle pubbliche gare per l’impresa che abbia presentato la domanda di concordato preventivo ai sensi dell’art. 161, comma 6, legge fallimentare, quand’anche ci sia la relativa autorizzazione da parte del Tribunale, se detta partecipazione non è straordinaria e urgente (Cons. Stato, sez. VI, 13 giugno 2019, n. 3984).

L’istanza del debitore di ammissione al concordato preventivo “in bianco” costituirebbe, per un parte della giurisprudenza, finanche una condizione impeditiva alla partecipazione alle procedure per l’aggiudicazione delle commesse pubbliche (Cons. Stato, sez. III, 18 ottobre 2018, n. 5966).

Prima dell’ammissione al concordato solo l’urgenza può fungere, pertanto, da causa giustificatrice in una fase in cui nessuno è ancora in grado di sapere quale proposta concordataria verrà presentata e sulla base di quale piano. Ove l’atto non fosse urgente, il suo compimento potrebbe trovare giustificazione solo in relazione ad una programmazione futura, in ragione cioè del suo inserimento nel piano concordatario, ovvero nella sua utilità (o non dannosità) alla stregua di una valutazione positiva compiuta dal Giudice Delegato dopo l’ammissione al concordato, in sede di autorizzazione rilasciata ex art. 167 l.fall.. 

Secondo questo indirizzo, la partecipazione alle gare pubbliche, come l’acquisizione delle relative commesse, non possono, dunque, annoverarsi tra le attività di ordinaria amministrazione, necessitando comunque di provvedimenti autorizzativi giurisdizionali che accertino l’effettiva possibilità di contrarre con la Stazione appaltante e di eseguire le obbligazioni oggetto di appalto. 

Anche le previsioni recate dall’art. 186 bis della legge fallimentare confermerebbero la correttezza di tale ricostruzione. 

L’art. 186 bis L.F., nel consentire, a determinate condizioni, la possibilità per l’impresa di partecipare alle procedure di gara, riguarda le sole ipotesi in cui “il piano di concordato di cui all’articolo 161, secondo comma, lettera e) prevede la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione” e in cui il piano abbia i contenuti di cui al comma secondo lettere a) e c) della disposizione e sia accompagnato dalla relazione del professionista di cui all’articolo 161, terzo comma L.F., la quale “ deve attestare che la prosecuzione dell’attività d’impresa prevista dal piano di concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori” (art. 186 bis comma 2 lettera b L.F.). L’art. 186 bis L.F., pertanto, presuppone l’avvenuta presentazione, anche prima dell’ammissione, di un piano di concordato e della relazione del professionista che, invece, mancano nelle fattispecie di c.d. “concordato in bianco”. 

Il tenore letterale della disposizione in esame riferisce esplicitamente l’eccezione, rispetto alla regola dell’esclusione di cui alla lettera b) dell’art. 80, d.lgs. n. 50 del 2016, al solo caso in cui l’operatore “si trovi” in continuità aziendale e, quindi, sia stato già ammesso al concordato e non anche ai casi di “procedimenti in corso” e, quindi, in cui sia stata presentata la sola domanda di concordato “in bianco”. 

L’opzione ermeneutica c.d. restrittiva, seguita nel ritenere ostativa alla partecipazione alla gara la presentazione di un’istanza di concordato “in bianco”, risulterebbe coerente con la normativa comunitaria. La Corte di Giustizia UE, sez. X, sentenza 28 marzo 2019, C-101/18 ha chiarito che il diverso trattamento che la legislazione italiana prevede (tra gli operatori economici che hanno presentato un ricorso per l’ammissione al concordato preventivo, in merito alla loro capacità di partecipare a procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, a seconda che tali operatori economici abbiano o meno incluso nel loro ricorso di concordato un piano che prevede la prosecuzione della loro attività) non è in contrasto con la giurisprudenza comunitaria: ciò in quanto gli Stati membri hanno la facoltà di non applicare affatto le cause di esclusione previste dalla direttiva citata o di inserirle nella normativa nazionale con un grado di rigore che potrebbe variare a seconda dei casi, in funzione di considerazioni di ordine giuridico, economico o sociale prevalenti a livello nazionale, potendo essi attenuare o rendere più flessibili i criteri stabiliti da tali disposizione e finanche determinare le condizioni in cui la causa di esclusione facoltativa non si applica, autorizzando l’ operatore economico a carico del quale “sia in corso un procedimento di concordato preventivo” a partecipare a procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, secondo le condizioni definite da tale legislazione. 

In conclusione, secondo l’orientamento restrittivo, le norme pubblicistiche in tema di procedure di aggiudicazione consentono la partecipazione alla gara solo all’impresa: già ammessa al concordato con continuità aziendale, con relativo piano approvato; munita della specifica autorizzazione per la singola gara. 

Altra problematica, strettamente correlata a quelle sopra evidenziate, attiene al momento in cui debba intervenire, per evitare l’esclusione dalla gara, l’autorizzazione contemplata dall’art. 186 bis della legge fallimentare necessaria per l’ammissione al concordato con continuità aziendale. 

Si tratta di questioni che sono state di recente affrontate da questo Consiglio di Stato con la sentenza della V sez., 21 febbraio 2020, n. 1328, che ha confermato la legittimità dell’esclusione sancita nei confronti di una mandante cooptata (ai sensi dell’art. 92, comma 5, del regolamento di esecuzione di cui al d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207) la quale, essendo interessata da una procedura di concordato “in bianco” con riserva ai sensi dell’art. 161, comma 6, della legge fallimentare, aveva ottenuto, solo successivamente all’intervenuta aggiudicazione definitiva, l’autorizzazione contemplata dall’art. 186-bis della legge fallimentare, necessaria per l’ammissione al concordato con continuità aziendale. 

L’eccezione al principio di continuità dei requisiti – affermato, in generale, dalla costante giurisprudenza amministrativa (per tutti: Cons. Stato, Ad. plen., 20 luglio 2015, n. 8) – di cui beneficiano le imprese in concordato con continuità aziendale in base al sopra citato art. 80, comma 5, lett. b), del Codice dei contratti pubblici, in tanto può operare, in deroga al divieto per le altre procedure concorsuali, “in quanto l’autorizzazione del tribunale fallimentare ai sensi dell’art. 186-bis, comma 4, l. fall. intervenga, dunque, prima della conclusione della fase ad evidenza pubblica”. Una volta definita quest’ultima, restano, invece, irrilevanti per l’Amministrazione le vicende intervenute nella sfera soggettiva dell’operatore economico. 

Con riguardo, poi, all’esigenza di non fare gravare sull’impresa sottoposta a procedura di concordato i tempi di quest’ultima, ed in particolare quelli del procedimento di autorizzazione ex art. 186-bis, comma 4, l. fall., considerato che la procedura concorsuale «non è di istantanea definizione», la Sezione ha sottolineato, in senso contrario, che “tanto meno eventuali dilazioni possono essere riversate sull’amministrazione”: l’equo bilanciamento dei contrapposti interessi, in relazione al quale il dato fondamentale da tenere in considerazione è che si discute di un’impresa in stato di crisi che, nondimeno, aspira ad eseguire un appalto pubblico, in deroga alle regole generali sui requisiti di partecipazione alle relative gare, induce a ritenere che debbano essere posti a carico di quest’ultima i rischi connessi ai ritardi con cui sia rilasciata l’autorizzazione del tribunale fallimentare rispetto alla definizione del procedimento di gara e non già sull’Amministrazione, estranea alla procedura concorsuale ed interessata a contrarre con un soggetto di cui sia certa la capacità economica e finanziaria per aggiudicarsi una commessa pubblica. 

La Sezione si domanda, inoltre, se a seguito della presentazione di un’istanza di concordato in bianco ex art. 161, comma 6, l.f. da parte della mandante, a ciò debba conseguire soltanto la mera estromissione di quest’ultima, con possibilità di operarne la sostituzione anche con altra impresa, nuova e diversa da quelle facenti parte dell’originaria compagine, ovvero se, nel caso in cui la mandataria o le imprese residue non soddisfano autonomamente i requisiti di partecipazione, da ciò debba irrimediabilmente discendere l’esclusione dell’intero raggruppamento e l’illegittimità dell’aggiudicazione disposta a suo favore. 

Al riguardo, va, sempre in linea generale, premesso che la cogenza del principio di immutabilità della compagine dei raggruppamenti temporanei è stata ribadita dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 8 del 4 maggio 2012, che ne ha anche precisato la portata. 

Nell’ambito di tale pronuncia si è chiarito che la funzione del principio in esame è costituita dalla necessità di consentire all’Amministrazione la verifica preliminare della sussistenza dei requisiti di partecipazione alla gara, e di impedire condotte elusive delle verifiche stesse concretizzantesi nella sostituzione degli attori economici in epoca successiva al relativo espletamento. 

In tal modo ricostruita la ratio, si è anche evidenziato come al principio non debba essere attribuita valenza assoluta, tale da impedire, sempre e comunque, il mutamento dei soggetti economici, in quanto detta ricostruzione risulterebbe eccessivamente penalizzante per gli operatori del mercato e, nel contempo, sarebbe ultronea rispetto allo scopo stesso da esso perseguito, che è quello di evitare elusioni del controllo (in tal senso, Cons. Stato, sez. III, 4 dicembre 2015, n. 5519).

Deve, pertanto, ritenersi ammessa la sostituzione dell’operatore economico in tutte quelle fattispecie nelle quali il mutamento delle imprese non è idoneo ad alterare la par condicio competitorum, in quanto non si pone come elusivo della previa verifica dei requisiti da parte della stazione appaltante. Tali sono, come precisato dall’Adunanza Plenaria, le modifiche che vanno nel senso di una diminuzione dei soggetti partecipanti, che devono, quindi, ritenersi sempre ammissibili. 

E’, infine, dubbio, se debbano ritenersi precluse, in quanto produttive dell’effetto elusivo sopra descritto, le variazioni soggettive “in aumento”, ovvero volte a introdurre nel R.T.I. soggetti che esso inizialmente non contemplava, e che portano all’aggiunta o alla sostituzione delle imprese partecipanti. 

A tale riguardo, la giurisprudenza ha affermato che i mutamenti di tipo additivo dovranno essere ritenuti ammissibili nelle soli ipotesi in cui essi siano espressamente previsti dal legislatore e che detti casi, peraltro, ponendosi come derogatori rispetto a un principio fondamentale e strumentale alla tutela della concorrenza, vanno considerati tassativi e di stretta interpretazione. 

In termini generali, deve rammentarsi che l’art. 48, comma 9, d.lgs. n. 50 del 2016 reca un divieto di qualsiasi modificazione alla composizione dei raggruppamenti temporanei rispetto a quella risultante dall’impegno presentato in sede di offerta. 

Le ipotesi derogatorie contemplate dai commi 18 e 19 ter dell’art. 48, d.lgs. n. 50/2016 dovrebbero dunque, secondo i fautori di tale tesi, essere interpretate in maniera restrittiva ed in modo tale da non pregiudicare la leale e trasparente concorrenza tra gli operatori economici partecipanti alle gare pubbliche. 

Inoltre, l’art. 48, comma 19, d.lgs. n. 50 del 2016 vieta la modifica soggettiva del raggruppamento ove “finalizzata ad eludere la mancanza di un requisito di partecipazione alla gara”. 

A ciò si aggiunga che il consolidato orientamento giurisprudenziale ha precluso qualunque ipotesi di modifica soggettiva finalizzata ad eludere la sanzione dell’estromissione dalla gara per la mancanza e/o perdita dei requisiti generali e/o speciali da parte di una delle imprese raggruppate (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 4 maggio 2012, n. 8; si veda anche, in senso conforme, id., sez. V, 28 agosto 2017, n. 4086; id. 20 gennaio 2015, n. 169; id., sez. VI, 12 giugno 2012, n. 3428).

L’opposta interpretazione sostenuta dalle appellanti potrebbe comportare un vulnus sia del principio della par condicio sia delle regole dell’evidenza pubblica, perseguendo l’effetto di affidare la commessa ad un soggetto estraneo alla gara, pure in presenza di altri concorrenti collocati in posizione utile in graduatoria. 

Le previsioni dell’art. 48, commi 18 e 19 ter, d.lgs. n. 50 del 2016 andrebbero coordinate, quindi, con il disposto di cui al comma 19 della stessa norma, che, nel vietare espressamente che si possa utilizzare il recesso per eludere il profilo della mancanza dei requisiti in capo a una o più delle imprese raggruppate, sembrerebbe essere applicazione di un principio di carattere generale che non può non incidere sulla portata applicativa del comma 19 ter. È, infatti, proprio il disposto di cui al comma 19 dell’art. 48 cit. a vietare che le modifiche soggettive del r.t.i. possano essere utilizzate per eludere la mancanza di un requisito di partecipazione alla gara: per la stessa ragione non si potrebbe, infatti, eludere il problema della mancanza dei requisiti sostituendo un’impresa idonea a un’altra deficitaria. 

È stato poi anche chiarito dalla giurisprudenza (Cga 22 maggio 2020, n. 298)

che l’art. 48, commi 18 e 19-ter, d.lgs. n. 50 del 2016, rappresentando ipotesi derogatorie alla regola generale di immodificabilità soggettiva dei partecipanti alla gara, intervengono proprio a consentire ad un soggetto collettivo di sopperire alla sopravvenuta lacuna dei requisiti di ordine generale di un’impresa componente del raggruppamento, al fine di non perdere la pretesa di partecipare alla gara (o di eseguire il contratto). Esse non configurano, invece, una dispensa dalla regola per la quale i partecipanti alla gara devono possedere i requisiti (anche di ordine generale) già al momento di presentazione delle offerte (e devono in quell’occasione dichiarare di averli). La concreta applicazione delle due disposizioni citate presuppone, pertanto, che la causa di esclusione relativa a uno dei componenti del raggruppamento sopravvenga rispetto al tempo di presentazione dell’offerta, allorquando, invece, il raggruppamento era, in origine, in possesso dei requisiti prescritti. ​​​​​​​