TAR Firenze, 10.04.2018 n. 508
Sulla base della definizione contenuta nell’art. 3, comma 1, lett. t) del d.lgs. n. 50 del 2016, si prevede che sono “imprese pubbliche, le imprese sulle quali le amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante o perché ne sono proprietarie, o perché vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù delle norme che disciplinano dette imprese. L’influenza dominante è presunta quando le amministrazioni aggiudicatrici, direttamente o indirettamente, riguardo all’impresa, alternativamente o cumulativamente: 1) detengono la maggioranza del capitale sottoscritto; 2) controllano la maggioranza dei voti cui danno diritto le azioni emesse dall’impresa; 3) possono designare più della metà dei membri del consiglio di amministrazione, di direzione o di vigilanza dell’impresa”. (…) Ne consegue che sussistono tutti i presupposti affinché la società P. possa essere qualificata tra le imprese pubbliche e tra gli “Enti aggiudicatori”, secondo la definizione dell’art. 3, comma 1, lett. e), enti questi ultimi tenuti all’osservanza della disciplina contenute nelle sole parti II e III del d.lgs. 50/2016, disciplinanti gli appalti e le concessioni nei suddetti “settori speciali” e non anche la parte I, concernente i settori ordinari.
Dette disposizioni trovano applicazione, sotto il profilo oggettivo, esclusivamente agli appalti o alle concessioni aggiudicati per lo svolgimento dell’attività speciale, mentre non trovano applicazione “agli appalti e concessioni aggiudicati dagli enti aggiudicatori per scopi diversi dal perseguimento delle attività di cui agli articoli da 115 a 121” (art. 14 comma 1 d.lgs. 50/2016, ma nello stesso senso, art. 207 del previgente d.lgs. 163/2006).
Come sottolineato a partire dall’Adunanza Plenaria (sentenza n. 16/2011), l’intervento del diritto comunitario, finalizzato ad attrarre alla disciplina di evidenza pubblica settori in precedenza ritenuti regolati dal diritto privato, ha comportato la necessità di mantenere i connotati di specialità di detti settori, rispetto a quelli ordinari, mediante una disciplina più flessibile, che lascia maggiore libertà alle stazioni appaltanti, e soprattutto restrittiva quanto all’ambito oggettivo e soggettivo di applicazione. (…)
Si consideri, inoltre, che l’assoggettabilità alla disciplina dettata per i settori speciali non può essere desunta sulla base del solo criterio soggettivo, relativo cioè al fatto che ad affidare l’appalto sia un ente operante nei settori speciali, ma anche in applicazione di un parametro di tipo oggettivo, dovendo necessariamente verificare la riferibilità del servizio all’attività speciale (Cons. St., sez. VI, 13.05.2011 n. 2919). Un appalto o una concessione può considerarsi “strumentale” all’attività speciale dell’ente aggiudicatore quando si pone, rispetto a detta attività, in un rapporto funzionale di mezzo a fine (Cons. Stato, Ad. Plen., 1.8.2011, n. 16; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III ter, 24.3.2017, n. 3878; T.A.R., Campania, Salerno, Sez. I, 1.12.2017, n. 1690. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 30.11.2016, n. 2276; T.A.R. Campania Salerno Sez. I, Sent., del 01.12.2017, n. 1690).
Al contrario non sussiste l’obbligo di applicare tali norme con riferimento ad affidamenti che sono solo collegati al settore speciale di riferimento e, quindi, tutte le volte che il servizio affidato non rientri nei settori speciali, né sia strettamente strumentale all’attività propria del concessionario di pubblico servizio.
In conclusione se l’appalto non risulta direttamente riferibile e strumentale al settore speciale, si determina l’inapplicabilità della disciplina di cui al d.lgs. 50/2016, essendosi in presenza di un appalto “estraneo” ed il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo a conoscere le controversie riguardanti la gestione di detti servizi, così come confermato anche da recenti pronunce (Cons. Stato Sez. V, 03.02.2015, n. 497).
RISORSE CORRELATE
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