Obbligo del certificato di qualità per tutte le imprese riunite (Artt. 37 e 43)

 

Cons. Stato, sez. III, 19.11.2014 n. 5695
(sentenza integrale)
(estratto)
Ritiene il Collegio che, anche prescindendo dall’interpretazione delle singole previsioni del disciplinare di gara, il T.A.R. non abbia erroneamente interpretato il complessivo significato della lex specialis né ne abbia altrettanto erroneamente tratto la conclusione che l’odierna appellante avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara.
Valga qui rilevare che il disciplinare di gara, nell’art. 4, p. 10, ha incluso tra i requisiti di ammissione il possesso di una “certificazione ISO 9001:2008 settore EA33” e, per quanto nulla abbia previsto espressamente per l’ipotesi di raggruppamento temporaneo di imprese, nemmeno ha espressamente introdotto alcuna deroga, per tale ipotesi, al principio generale – di cui fra breve meglio si dirà – alla stregua del quale i requisiti soggettivi di ammissione devono essere posseduti da ciascuno e tutti degli associati in raggruppamento.
Né va sottaciuto che il r.t.i., di cui U. è mandataria, è di tipo orizzontale e, stando alla suddivisione dei compiti all’interno del raggruppamento, sia U. che S. coinvolte entrambe, anche se con quote differenziate, nell’erogazione della quasi totalità delle prestazioni, oggetto dell’appalto, con la conseguenza che entrambe avrebbero dovuto eseguire prestazioni rientranti nel campo applicativo del settore EA33.
Il problema centrale di questo giudizio ruota, allora, attorno all’interpretazione dell’art. 43 del d. lgs. 163/2006 con specifico riferimento alla certificazione di qualità ISO 9001: 2008.
Anche prima del d. lgs. 163/2006, a dire il vero, il consolidato insegnamento di questo Consiglio è sempre stato nel senso che “sul piano sostanziale … la certificazione di qualità, diretta a garantire che un’impresa è in grado di svolgere la sua attività almeno secondo un livello minimo di qualità accertato da un organismo a ciò preposto, è un requisito che deve essere posseduto da tutte le imprese chiamate a svolgere prestazioni tra loro fungibili” (v., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 25.7.2006, n. 4668; Cons. St., sez. V, 30.5.2005, n. 2756; Cons. St., sez. VI, 13.5.2002, n. 2569; Cons. St., sez. V, 18.10.2001, n. 5517).
Il consolidato orientamento di questo Consiglio è stato condiviso e ribadito, per parte sua, anche dall’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici costantemente e, ad esempio, nel parere precontenzioso n. 254 del 10.12.2008, laddove la medesima Autorità ha chiarito come nei raggruppamenti “il requisito soggettivo” in parola debba essere“posseduto da tutte le imprese chiamate a svolgere prestazioni tra loro fungibili”.
Non possono pertanto condividersi le contrarie argomentazioni dell’appellante, pur suggestive (p. 11-13 del ricorso), volte a dimostrare che si tratterebbe di “soluzione inaccettabile, che inficia ogni residuo margine di certezza negli operatori e vanifica l’affidamento riposto nella lex specialis e nella sua corretta e pedissequa applicazione”.
Anche le pregevoli argomentazioni difensive, spese dall’appellante nella memoria del 21.10.2014 (pp. 4-7) e tese a dimostrare che la certificazione di qualità ISO 9001:2008 settore A, in quanto – secondo il disciplinare di gara – di carattere tecnico e professionale, avrebbe natura oggettiva e non dovrebbe essere posseduta da tutti i singoli concorrenti, sono smentite proprio dalla peculiare natura di tale certificazione.
Esse non intaccano la correttezza delle decisive argomentazioni dal primo giudice nel § 10.3 della sentenza impugnata (pp. 33-34).
Basti qui rammentare infatti, come ha chiarito l’Autorità di Vigilanza dei Contatti Pubblici nel parere precontenzioso n. 206 del 19.12.2012 proprio in relazione a vicenda analoga a quella qui controversa, che tale attestazione di qualità è disciplinata dall’art. 43 del d. lgs. 163/2006, che la qualifica in termini sostanziali come attestazione dell’“ottemperanza dell’operatore economico a determinate norme in materia di garanzia di qualità”.
Le norme ivi richiamate sono quelle identificate a livello europeo con l’acronimo ISO9001, che definiscono i principi che l’imprenditore deve seguire nel sistema di gestione per la qualità dell’organizzazione, ma non disciplinano il modo in cui l’imprenditore deve realizzare le proprie lavorazioni.
“La certificazione di qualità ISO 9001– ha condivisibilmente chiarito l’Autorità nel citato parere –non copre, quindi, il prodotto realizzato o il servizio reso, ma attesta semplicemente che l’imprenditore opera in conformità a specifici standard internazionali per quanto attiene la qualità dei propri processi produttivi (cfr. AVCP, parere n. 97 del 19.5.2011)”.
Ciò permette di assimilare la certificazione di qualità in oggetto ad un requisito soggettivo, in quanto attinente ad uno specifico status dell’imprenditore: l’aver ottemperato a determinate disposizioni normative preordinate a garantire alla stazione appaltante che l’esecuzione delle prestazioni contrattuali avverrà nel rispetto della normativa in materia di processi di qualità (cfr. AVCP, determinazione n. 2 del 1.8.2012).
Nel caso di specie, dunque, la certificazione ISO 2001 in nessun modo può considerarsi, proprio per la natura del suo oggetto, un requisito di carattere oggettivo, dato che occorre distinguere nettamente fra i requisiti tecnici di carattere oggettivo, afferenti in via immediata alla qualità del prodotto o servizio che vanno accertati mediante sommatoria di quelli posseduti dalle singole imprese, dai requisiti di carattere soggettivo, che devono essere posseduti singolarmente da ciascuna associata (v., ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 14.02.2005, n. 435).
Al principio del favor partecipationis, invocato dall’appellante, non può del resto accordarsi assoluta e incondizionata prevalenza, come ha ben sottolineato anche il primo giudice, di fronte all’esigenza, certo preminente e ben nota ad un operatore del settore, di assicurare il possesso di minimi standards di qualità in capo a tutte le imprese partecipanti al raggruppamento o all’associazione temporanea, possesso dimostrato proprio dalla certificazione ISO:2001 di cui si controverte.
Di qui la conclusione che, diversamente da quanto ha sostenuto l’odierna appellante (pp. 14-16), non può ritenersi né contraddittoria né erronea l’impugnata decisione, laddove ha ritenuto l’illegittimità del chiarimento n. 12, non potendo il chiarimento, nell’introdurre una deroga – non espressamente consentita dalla lex specialis – alla normativa in materia, porsi in contrasto con l’art. 43 del d. lgs. 163/2006.
Ed è del tutto irrilevante, infine, che la mandante S. sia comunque in possesso delle certificazione ISO9001 per il settore della “progettazione, installazione e assistenza di sistemi di sicurezza e controllo accessi”, come l’appellante ha sostenuto nel ricorso (p. 16) e, più diffusamente, nella memoria del 21.10.2014 (pp. 14-15), in asserita piena coincidenza con l’oggetto dell’appalto, sia perché, come ha puntualmente rilevato il T.A.R. (p. 31 della sentenza impugnata) con motivazione, peraltro, non oggetto di specifica doglianza, S. aveva l’accreditamento solo per i settori EA19 (Macchine elettriche ed apparecchiature elettriche ed ottiche) e EA28 (Imprese di costruzione, installatori di impianti e servizi) e non, a quanto consta, per il settore EA33, sia perché, se pure fosse vero che essa possegga anche la certificazione di qualità esattamente coincidente con l’oggetto dell’appalto, avrebbe dovuto produrla nei termini previsti dal bando e non certo in questa sede.
Né vale in senso contrario invocare l’affidamento riposto in un chiarimento palesemente illegittimo che, comunque, non avrebbe potuto modificare la previsione della lex specialis, ove correttamente interpretata, e in ogni caso violare principi normativi saldamente radicati in materia, costantemente ribaditi sia da questo Consiglio che dalla competente Autorità di Vigilanza.