Consiglio di Stato, sez. V, 28.02.2023 n. 2084
11.1. Ed invero, come evidenziato da Cons. Stato Sez. IV, 29/09/2021, n. 7442 la disposizione dell’art. 13-bis comma 3, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, (recante “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”) inserito dall’art. 19-quaterdecies, comma 1, d.l. 16 ottobre 2017, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2017, n. 172 non esclude il (e nemmeno implica la rinuncia al) potere di disposizione dell’interessato, che resta libero di rinunciare al compenso – qualunque esso sia, anche indipendentemente dalla equità dello stesso – allo scopo di perseguire od ottenere vantaggi indiretti o addirittura senza vantaggio alcuno, nemmeno indiretto.
11.1.1. La modifica da ultimo inserita nella legge professionale forense è invero sorretta da una ratio legis autonoma volendo rappresentare un equo, ragionevole e giusto punto di equilibrio a tutela dei liberi professionisti, ed in particolare dei giovani che si affacciano nel mondo del lavoro, a seguito della abrogazione dei minimi tariffari e dell’apertura al libero mercato, anche nel quadro euro-unionale.
11.1.2. In quest’ottica prospettica, il sopra riportato comma 3 esprime l’attenzione del legislatore ordinario per le libere professioni quando l’attività è esercitata al di fuori dei rapporti di lavoro dipendente, che di per sé ricadono sotto la copertura costituzionale dell’art. 36 Cost., in relazione alla necessità della congruità del compenso, qualora un compenso sia previsto, ferma rimanendo la possibilità che la prestazione sia resa anche gratuitamente. Ciò in quanto la normativa sull’equo compenso sta a significare soltanto che, laddove il compenso sia previsto, lo stesso debba necessariamente essere equo, mentre non può ricavarsi dalla disposizione (l’ulteriore e assai diverso corollario) che lo stesso debba essere sempre previsto. Pertanto la disciplina sull’equo compenso ha completato e colmato quello scarto negativo che, nel tempo e a causa di svariati fattori, ha provocato nel settore delle libere professioni una deminutio di tutela per coloro che prestano attività professionale al di fuori degli schemi tipici del rapporto dipendente e della tutela costituzionale salariale e retributiva.
11.2. Peraltro, come evidenziato in tale precedente, ferma restando la possibilità che per la prestazione difensiva la pubblica amministrazione non preveda la corresponsione di alcun compenso – e che, per contro, laddove, come nella specie, lo stesso sia previsto, debba rispettare il criterio dell’equo compenso, quale normativamente determinato – la scelta del professionista cui affidare l’incarico non può che essere fondata su criteri predeterminati e resi noti agli offerenti.
Ciò in quanto “la funzione amministrativa, da svolgere nel rispetto dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, non può non incentrare la sua concreta azione sui cardini della prevedibilità, certezza, adeguatezza, conoscibilità, oggettività ed imparzialità dei criteri di formazione dell’elenco al quale attingere e di affidamento degli incarichi”.
Pertanto la Pubblica amministrazione deve prevedere un meccanismo procedimentale che dia idonee garanzie circa il fatto che la concreta azione amministrativa sia ispirata a criteri, canoni e regole di assoluta imparzialità nella selezione e nella scelta dei professionisti, di modo che in questo “nuovo mercato” delle libere professioni nessuno abbia ad avvantaggiarsi a discapito di altri.
Pertanto “deve prescegliere le modalità pratiche ed operative più opportune per attuare i principi sopra enunciati, le quali devono essere:
a) efficaci, cioè produrre un effetto utile per i soggetti interessati;
b) oggettive, cioè basate su criteri verificabili e attinenti ai dati curriculari;
c) trasparenti, cioè basate su dati e documenti amministrativi accessibili;
d) imparziali, cioè tali da consentire la valutazione equa ed imparziale dei concorrenti;
e) procedimentalizzate, cioè idonee ad assicurare, anche mediante protocolli e modelli di comportamento, che non si verifichino favoritismi o, all’inverso, discriminazioni, nella selezione e nella attribuzione degli incarichi;
f) paritarie, cioè che le distinzioni di trattamento debbono rispondere a criteri di stretta necessità, proporzionalità ed adeguatezza del mezzo rispetto allo scopo;
g) proporzionali, cioè tali da assicurare la rispondenza relazionale tra il profilo professionale scelto e l’oggetto dell’incarico, anche sulla base del dato curriculare e di esperienza
h) pubbliche, cioè prevedibili e conoscibili;
i) rotative, compatibilmente con la necessità di rendere efficace ed effettiva l’azione amministrativa”.
11.3. In considerazione di tali rilievi, l’appello è meritevole di accoglimento, in primo luogo in quanto la scelta del professionista non è stata ancorata alla predeterminazione di alcun criterio ne preceduta da alcuna procedimentalizzazione in grado di assicurare nel contempo l’imparzialità ed il buon andamento, ex art. 97 Cost, oltre che la trasparenza dell’agere amministrativo ed il rispetto del principio di buona fede, ed in secondo luogo in quanto, pur essendo stata prevista la corresponsione di un compenso, la scelta del professionista è avvenuta avuto riguardo al criterio del prezzo più basso, senza previo accertamento del rispetto dell’equo compenso, atto a tutelare non sola la categoria forense da fenomeni anticoncorrenziali, ma anche ad assicurare la qualità della prestazione, come dedotto da parte appellante.
Ed invero la sentenza della Corte di Giustizia 23/11/2017, C-427/2016 e C-428/2016 (che il primo giudice richiama a sproposito a sostegno della propria interpretazione dell’art. 19-quattordecies, comma 3) – letta in maniera sistematica – evidenzia come la Corte non abbia escluso a priori la possibilità di introduzione dei minimi tariffari, sottolineando il rischio che la concorrenza nell’offerta di prestazioni al ribasso escluda dal mercato coloro che offrono prestazioni di qualità, per concludere che “l’imposizione di tariffe minime può essere idonea a limitare tale rischio”.
Con la sentenza sez. IV, 04/07/2019, n. 377 nella causa C377/17, la medesima Corte di Giustizia, con riferimento alle tariffe minime di progettazione, ha inoltre affermato che “non si può escludere a priori che la fissazione di una tariffa minima consenta di evitare che i prestatori di servizi non siano indotti, in un contesto come quello di un mercato caratterizzato dalla presenza di un numero estremamente elevato di prestatori, a svolgere una concorrenza che possa tradursi nell’offerta di prestazioni al ribasso, con il rischio di un peggioramento della qualità dei servizi forniti” (v. in tal senso, sentenza del 5 dicembre 2006, Cipolla e a., C-94/04 e C-202/04)” pur ritenendo che la determinazione delle tariffe minime effettuate dalla Germania non fosse idonea al raggiungimento di tale scopo.
E’ peraltro lo stesso comma 3 dell’art. 19 quaterdecies D.L. 148/2017, invocato da parte appellante, a stabilire che la corresponsione di tariffe corrispondenti all’equo compenso costituisca “attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia” dell’azione amministrativa, tenuto conto anche del rilievo per cui se è vero che le prestazioni professionali degli avvocati devono essere espletate con professionalità anche indipendentemente dalla misura dell’onorario, non può tuttavia negarsi che l’interesse ad assumere incarichi per l’Amministrazione da parte dei professionisti più qualificati dipenda largamente anche dall’adeguatezza del corrispettivo offerto e dal rispetto della dignità professionale della classe forense.
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