Consiglio di Stato, sez. V, 08.04.2021 n. 2846
È controversa, in relazione all’oggetto dell’appalto in contestazione, la possibilità di affidarne l’esecuzione, consentendone la partecipazione alla gara, ad operatore economico non in possesso della iscrizione all’albo dei consulenti del lavoro e non strutturato in forma di società di professionisti.
Come è noto, l’art. 1 della legge 11 gennaio 1979, n. 12 (recante Norme per l’ordinamento della professione di consulente del lavoro) prevede che “tutti gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti, quando non sono curati dal datore di lavoro, direttamente od a mezzo di propri dipendenti” siano riservati a “coloro che siano iscritti nell’albo dei consulenti del lavoro” (ovvero – con onere, in tal caso, di darne comunicazione agli ispettorati del lavoro territorialmente competenti – a “coloro che siano iscritti negli albi degli avvocati […], dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali”).
L’art. 2 della legge prevede, in particolare che – fatto salvo il regime meno restrittivo operante a favore delle imprese artigiane e delle piccole imprese (art. 1, commi 4 e 5) – costituisca “oggetto dell’attività” in tal senso riservata lo “svolgimento per conto di qualsiasi datore di lavoro” di “tutti gli adempimenti previsti da norme vigenti per l’amministrazione del personale dipendente”, oltre alla “assistenza fiscale nei confronti dei contribuenti non titolari di reddito autonomo e di impresa”, eventualmente comprensiva, in tal caso, di ogni altra funzione “affine, connessa e conseguente”, svolta “su delega ed in rappresentanza degli interessati”.
Tale normativa (che va integrata con l’art. 10 della legge 12 novembre 2011, n. 183, che ammette lo svolgimento in forma societaria dell’attività riservata, fissandone forme, limiti e condizioni) introduce un regime vincolistico incentrato su un sistema ordinistico, preordinato alla salvaguardia degli interessi di chi fruisce, in ambiti e in materie tecnicamente complesse e particolarmente delicate, dell’attività di professionisti, di cui, perciò, si pretende la sottoposizione a controllo sia in sede di accesso alla professione che di svolgimento della stessa, anche sotto il profilo del rispetto della deontologia nei rapporti con la clientela.
La finalità protettiva – che, prefigurando speciali divieti a contrarre su base soggettiva, struttura, per un verso, una incisiva limitazione legale alla autonomia negoziale privata ed introduce, per altro verso, una compressione al libero gioco concorrenziale tra gli operatori economici – trae alimento dalla peculiare rilevanza degli interessi, ancorati a beni fondamentali o di rilevo costituzionale, quali devono essere considerati quelli attinenti alla corretta gestione (sotto i concorrenti profili economico, contabile, contributivo, assistenziale e fiscale) dei rapporti di lavoro (cfr. artt. 1, 4, 36, 38, 53 Cost.).
Si giustifica, per tal via, da un lato la nullità civilistica (virtuale, atteso il carattere imperativo e la connotazione proibitiva della disciplina vincolistica: cfr. art. 1418, comma 1 c.c.) dei contratti stipulati in violazione del limite legale (cfr., da ultimo, Cass., sez. III, 8 luglio 2020, n. 14247) e, dall’altro lato, la legittima e proporzionata limitazione, sotto il profilo pubblicistico, del canone di massima concorrenza nell’accesso alle commesse pubbliche (cfr. art. 30 d. lgs. n. 50/2016).
Nondimeno, proprio a ragione del carattere eccezionale e derogatorio del divieto, tali limitazioni devono essere oggetto, relativamente alla definizione del relativo ambito operativo, di stretta interpretazione, in conformità alla ratio ed alla luce di un canone di adeguatezza e proporzionalità.
Occorre, a tal fine, distinguere, assecondando del resto il tratto normativo testuale (cfr. Cons. Stato, sez. V, 1° luglio 2020, n. 4186), tra:
a) gli “adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale” che il datore di lavoro ha l’obbligo di curare, sotto la propria e personale responsabilità ed eventualmente avvalendosi di propri dipendenti, in quanto “capo dell’impresa” (cfr. art. 2086 c.c.);
b) le “attività strumentali ed accessorie”, tipicamente inerenti lo “svolgimento delle operazioni di calcolo e stampa” (cfr. art. 1, comma 4 l. n. 12/79), che hanno carattere servente e, di per sé, non valgono ad elidere o sottrarre, quando non accompagnate da apposita delega di funzioni (cfr. art. 2, comma 2) la responsabilità datoriale.
Solo nel primo caso l’affidamento al professionista iscritto all’albo investe quest’ultimo (che si trova ad operare “per conto” del datore di lavoro e sotto la propria “responsabilità personale”: cfr. art. 2, commi 1 e 4 l. n. 12/79 cit.) degli “adempimenti previsti da norme vigenti per l’amministrazione del personale dipendente”: per ogni altro profilo, deve ritenersi che si tratti di mera attività consulenziale (o, propriamente, di mero supporto), non riservata (cfr. ancora Cass., sez. III, 8 luglio 2020, n. 14247).
[…]
Alle luce delle considerazioni che precedono, non possono condividersi le conclusioni cui è pervenuto il primo giudice che – richiamando precedenti di questo Consiglio riferiti a vicende non comparabili a quello in esame (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 4186/2020 cit., a confronto con Id., sez. V, 8 maggio 2018, n. 2748 e Id., sez. VI, 16 gennaio 2015 n. 103) – ha ritenuto che le prestazioni oggetto di affidamento, o almeno alcune di esse, fossero tali da rientrare, in quanto implicanti il possesso di specifiche cognizioni lavoristico-previdenziali, tra quelle da assoggettare imperativamente al descritto regime di riserva legale dell’iscrizione agli albi professionali previsto dall’art. 1 della citata legge n. 12/1979.