Certificazione di qualità – Avvalimento – Condizioni (art. 89 d.lgs. n. 50/2016)

TAR Genova, 01.02.2021 n. 78

Da un primo punto di vista, come esattamente osservato dalla ricorrente, la certificazione di qualità ISO 9001: 2015 non pare riconducibile ai requisiti di capacità tecnico organizzativa ed economico finanziaria, contemplati dall’art. 83 , comma 1, lett. b) e c) d.lgs. 50/16, in relazione ai quali il successivo art. 89 consente l’avvalimento.
La certificazione di qualità è, significativamente, disciplinata dall’art. 87 d.lgs. 50/16 e tale collocazione rende evidente la eterogeneità di tale istituto rispetto ai requisiti che sono contemplati all’art. 83.
La certificazione di qualità, infatti, attiene all’organizzazione e ai processi aziendali di produzione, viene conseguita a seguito della conformazione dell’organizzazione ad una serie di norme relative ai processi produttivi e viene accertata da un ente indipendente. La natura eminentemente soggettiva di tale certificazione emerge in maniera inequivocabile dalla sua disciplina.
Le norme ISO 9000, infatti, sono state definite dalla International Organisation for Standardization allo scopo di delineare i requisiti per i sistemi di gestione della qualità all’interno delle aziende.
L’impresa certificata ISO garantisce che i servizi e prodotti immessi sul mercato corrispondano a determinate caratteristiche e che tutte le fasi relative alla loro realizzazione siano ripercorribili e verificabili.
Ma se così è appare evidente che tale certificazione è semplicemente l’attestazione di un “modo di essere” dell’impresa che non può essere “prestato” con l’avvalimento se non a determinate, ed estremamente rigorose, condizioni. Infatti, stante la natura della certificazione, deve essere escluso ogni prestito meramente cartolare della stessa pena la frustrazione dello scopo per cui tale requisito è imposto. Se infatti, la p.a. può contrattare solo con aziende che siano permeate nella loro organizzazione e nei loro processi produttivi da valori che garantiscono gli obbiettivi del sistema di certificazione di qualità appare evidente come il prestito a imprese che, per definizione, ne siano prive frustri gli scopi della norma, non potendosi prestare qualcosa che è intrinseco ad una ben individuata organizzazione aziendale.
Ammettere simile “prestito” significherebbe eludere le finalità per cui è imposto. Né ciò può essere giustificato da un malinteso favor concorrenziale posto che l’impresa priva di tale certificazione non concorre su un piano di parità con quella che deve rispettare rigorosi standard di qualità ma si avvantaggia della possibilità di non conformare la propria organizzazione a tali norme.
In linea di principio, pertanto, l’avvalimento della certificazione di qualità deve essere escluso.
In questo senso la previsione della certificazione di qualità in una norma l’art. 87 diversa da quella generalmente riferentesi ai requisiti cui fa riferimento l’art. 89 sull’avvalimento appare un elemento determinante.
E, d’altronde, in coerenza, si è espressa l’ANAC con deliberazioni 837/17 e 120/16 nonché taluna giurisprudenza (C.S. III 25 febbraio 2014 n. 887).
Altra giurisprudenza ha ammesso il “prestito” della certificazione quando l’ausiliaria metta a disposizione l’intera organizzazione aziendale comprensiva di tutti i fattori della produzione e di tutte le risorse che complessivamente considerate le hanno consentito di acquisire la certificazione di qualità da mettere a disposizione (C.S. V 27 luglio 2017 n. 3710).
Simile posizione interpretativa può essere condivisa a patto che sia debitamente precisata.
La certificazione di qualità è intrinseca ad una specifica organizzazione aziendale e non può essere “comunicata” ad un’altra organizzazione aziendale senza una attività notevolmente dispendiosa in termini di tempi, mezzi, organizzazione e formazione. Ne ciò può avvenire al di fuori del controllo di un ente certificatore.
Ne consegue che il prestito, per essere valido, non può limitarsi all’organizzazione aziendale ma deve essere accompagnato dalla garanzia che sia proprio l’organizzazione aziendale dell’impresa ausiliaria che svolga il lavoro o il servizio cui si era impegnata l’impresa ausiliata. Solo in questo modo la stazione appaltante può essere sicura che la commessa venga realizzata da una organizzazione rispettosa delle norme ISO. L’avvalimento, in altre parole, deve essere non solo effettivo ma anche necessariamente complessivo, nel senso che nessuna parte dell’organizzazione aziendale della ausiliata può svolgere la commessa e, specularmente, solo la organizzazione della ausiliaria deve svolgere in toto la commessa. L’avvalimento in altre parole deve essere integralmente sostitutivo di una organizzazione di impresa ad un’altra.
Ma a queste condizioni è lecito dubitare della residua giustificazione economica dell’avvalimento.
In conclusione, solo in casi estremamente circoscritti e ben più restrittivi di quelli ammessi dalla giurisprudenza più liberale, può ammettersi l’avvalimento della certificazione ISO 9001.
Per certo, deve essere escluso l’avvalimento interno ad un raggruppamento di imprese dal momento che il “prestito” della certificazione ISO 9001 spoglia una impresa a favore dell’altra della certificazione e con essa della organizzazione aziendale. Orbene se tale spoglio può essere ammesso, salvo poi indagarne la liceità della causa, ove effettuato da parte di una impresa esterna al raggruppamento ciò non può avvenire tra due imprese interne al raggruppamento stesso, dal momento che ammettere una simile ipotesi significa, in sostanza, elidere completamente l’apporto della ausiliata che non svolgerebbe, dovendo utilizzare l’intera organizzazione della ausiliaria, alcuna parte dell’appalto.