TAR Torino, 17.01.2018 n. 88 ord.
Il TAR Piemonte ha sospeso il giudizio ritenendo rilevante e decisiva la questione oggetto della domanda di rinvio pregiudiziale.
B) La normativa nazionale e la sua interpretazione.
L’art 120 comma 2 bis del c.p.a. (come modificato dall’art 204 d. lgs. 50/2016) ha previsto il c.d. rito super accelerato, avverso gli atti di ammissione ed esclusione dei concorrenti dalla gara di appalto.
Nell’art 120 cpa, al comma 2 bis, è stata introdotta la seguente disposizione:
“Il provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni ad essa all’esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali va impugnato nel termine di trenta giorni, decorrente dalla sua pubblicazione sul profilo del committente della stazione appaltante, ai sensi dell’articolo 29, comma 1, del codice dei contratti pubblici adottato in attuazione della legge 28 gennaio 2016, n. 11. L’omessa impugnazione preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale. E’ altresì inammissibile l’impugnazione della proposta di aggiudicazione, ove disposta, e degli altri atti endoprocedimentali privi di immediata lesività”.
A sua volta l’art 29 d. lgs. 50/2016 stabilisce che “Al fine di consentire l’eventuale proposizione del ricorso ai sensi dell’ articolo 120, comma 2-bis, del codice del processo amministrativo, sono altresì pubblicati, nei successivi due giorni dalla data di adozione dei relativi atti, il provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni all’esito della verifica della documentazione attestante l’assenza dei motivi di esclusione di cui all’articolo 80, nonché’ la sussistenza dei requisiti economico-finanziari e tecnico-professionali. Entro il medesimo termine di due giorni è dato avviso ai candidati e ai concorrenti, con le modalità di cui all’articolo 5-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante il Codice dell’amministrazione digitale o strumento analogo negli altri Stati membri, di detto provvedimento, indicando l’ufficio o il collegamento informatico ad accesso riservato dove sono disponibili i relativi atti. Il termine per l’impugnativa di cui al citato articolo 120, comma 2-bis, decorre dal momento in cui gli atti di cui al secondo periodo sono resi in concreto disponibili, corredati di motivazione.”
In base al combinato disposto delle due norme riportate, per il caso che qui rileva, la ditta partecipante ad una gara, che vuole contestare l’ammissione di un altro partecipante, lamentando il difetto dei requisiti soggettivi e di quelli economico-finanziari e tecnico-professionali e, quindi, l’illegittimità della decisione della stazione appaltante di non aver escluso il partecipante, deve proporre ricorso entro 30 giorni dalla comunicazione ex art 29 d.lgs. 50/2016.
La previsione di questo rito, c.d. super accelerato, per l’impugnativa dei provvedimenti di esclusione o di ammissione, risponde alla necessità di consentire la definizione del giudizio prima che si giunga al provvedimento di aggiudicazione; ovverosia, in sostanza, a definire la platea dei soggetti ammessi alla gara in un momento antecedente all’esame delle offerte e alla conseguente aggiudicazione.
L’intento del legislatore è stato infatti quello di definire prontamente la platea dei soggetti ammessi alla gara in un momento antecedente all’esame delle offerte (Cons. St, commissione speciale, parere n. 885 dell’1 aprile 2016), creando un «nuovo modello complessivo di contenzioso a duplice sequenza, disgiunto per fasi successive del procedimento di gara, dove la raggiunta certezza preventiva circa la res controversa della prima è immaginata come presupposto di sicurezza della seconda» (Cons. St., sez.V^, ordinanza n. 1059 del 15 marzo 2017).
Una volta che il provvedimento di aggiudicazione intervenga in corso di causa, questo deve essere necessariamente impugnato con ricorso autonomo o con motivi aggiunti, in entrambi i casi con duplicazione degli oneri contributivi.
Ravvisa però il Collegio alcuni profili di criticità dell’attuale sistema, anche alla luce degli orientamenti interpretativi fino ad oggi intervenuti.
Si può infatti prospettare l’ipotesi in cui sia censurata l’ammissione/mancata esclusione di una ditta partecipante che, tuttavia, conclusa la gara, potrebbe non essere risultata aggiudicataria; così come la stessa ricorrente potrebbe, a conclusione del procedimento, porsi in una posizione tale da non avere alcun interesse a contestare l’aggiudicazione.
In tale ipotesi si impone ad un soggetto partecipante alla gara un onere “inutile” al fine dell’interesse finale perseguito da chi partecipa, cioè l’aggiudicazione dell’appalto.
Nella differente ipotesi, in cui nessuna ditta partecipante faccia valere tempestivamente la mancata esclusione di altro partecipante, che risulti poi aggiudicatario, è preclusa la possibilità di fare valere vizi relativi all’illegittima ammissione dell’aggiudicataria, con la conseguenza che potrebbe conseguire l’aggiudicazione una ditta priva dei requisiti di partecipazione, nell’ipotesi in cui la stazione appaltante sia incorsa in errore nella valutazione degli stessi.
Secondo l’orientamento formatosi in merito alla nuova disciplina, il rito super accelerato è da ritenersi conforme ai principi costituzionali.
E’ stato infatti affermato che “la circostanza che, nella fase di ammissione, non sia ancora delineabile in capo ad alcuno dei concorrenti l’utilità finale rappresentata dall’aggiudicazione della gara, non è ostativa all’emersione anticipata di un distinto interesse di natura strumentale (sia pure di nuovo conio come definito in dottrina) che, comunque, rimane proprio e personale del concorrente, e quindi distinto dall’interesse generale alla correttezza e trasparenza delle procedure di gara.
Del resto, l’interesse legittimo è una posizione non solo “differenziata” rispetto alla generalità di consociati ma anche “qualificata” proprio dalla rilevanza che l’ordinamento le attribuisce.
Sicché la necessità di tutela anticipata di tale interesse, nel caso in esame, dipende dalla stessa configurazione bifasica ideata dal legislatore al fine di evitare regressioni del procedimento, per effetto di iniziative di natura contenziosa relativi ai vizi che – alla strega dei comuni principi di buona fede e correttezza nello svolgimento delle trattative – i concorrenti potrebbero far rilevare già dalle fasi preliminari della gara.
D’altro lato, il diritto di difesa a tutela della ulteriore e distinta posizione soggettiva rappresentata dalla vincita della gara, non ne risulta limitato o definitivamente scalfito, in contrasto con le garanzie di cui agli artt. 24 e 113 Cost., poiché delle illegittimità relative alla fase di ammissione ci si può comunque dolere nei termini di decadenza previsti dall’art. 120, comma 2- bis, c.p.a..
Al riguardo, non appare inutile ricordare che anche la Corte costituzionale, in relazione all’introduzione di forme celeri per la definizione delle controversie amministrative ovvero di abbreviazione dei termini – avvenuta a partire dalla fine degli anni 90 del secolo scorso, proprio per il settore delle pubbliche commesse, in esame – ha costantemente affermato che le stesse non possano considerarsi costituzionalmente illegittime nella misura in cui venga assicurato il rispetto di alcuni valori processuali fondamentali, quali, in primo luogo, l’integrità del contraddittorio nonché la completezza e sufficienza del quadro probatorio (C. Cost., 26.6.2007, n. 237; cfr. anche 20 luglio 2016, n. 191 e la capostipite n. 427 del 1999).
E se, nel caso di specie, l’anticipazione della tutela ad una fase antecedente l’aggiudicazione della gara, rende sicuramente più oneroso l’esercizio del diritto di difesa, a fini di riequilibrio – come ritenuto dal Consiglio di Stato nel cit. parere n. 855/2016, reso sullo schema originario del nuovo codice dei contratti – dovrebbe essere sufficiente un intervento del legislatore ordinario volto a ridurre il contributo unificato per il contenzioso a valle e, in ogni caso, a garantire la tempestiva conoscenza degli atti e della relativa motivazione (cfr., anche, al riguardo, il parere n. 782 del 30 marzo 2017, reso sul correttivo al codice). (TAR Lazio, sez. II n. 8577/2017)
Non sono tuttavia mancate decisioni che seppur incidentalmente hanno rilevato il possibile contrasto dell’art. 120 c. 2bis c.p.a. con la Carta Costituzionale e con le fonti del diritto europeo, affermando che “il legislatore ha introdotto una sorta di presunzione legale di lesione, non direttamente correlata alla lesione effettiva e concreta di un bene della vita secondo la dimensione sostanzialistica dell’interesse legittimo. (…) il nuovo rito superaccelerato sembra porsi in contrasto con le garanzie costituzionali di azione in giudizio e tutela contro gli atti della P.A. ex art. 24 e 113 Cost. e questo a causa dell’onere di immediata impugnativa di provvedimenti a fronte dell’assenza di un interesse concreto ed attuale al ricorso” (T.A.R. Campania, Sez. IV, 20/12/2016, n. 5852). E ancora “la novella legislativa dell’art. 120 c. 2bis c.p.a. confligge con il quadro giurisprudenziale storicamente consolidatosi atteso che veicola nell’ordinamento l’onere di immediata impugnazione dell’ammissione di tutti gli operatori economici – quale condizione di ammissibilità della futura impugnazione del provvedimento di aggiudicazione – anche in carenza di un’effettiva lesione od utilità concreta” (T.A.R. Puglia, Sez. III, 08/11/2016, n. 1262).
La previsione di un rito “ad hoc” per la fase di ammissione/esclusione aggrava il partecipante alla gara dell’onere di proporre una doppia impugnazione, seppure nell’ambito dello stesso giudizio, qualora il provvedimento di aggiudicazione della gara, sia sopraggiunto quando il giudizio ex art 120 comma 6 bis non sia ancora definito.
Infatti, seppur il prevalente orientamento giurisprudenziale (cfr. T.A.R. Napoli, sez. VIII, 19 gennaio 2017, n. 434; TAR Bari, sez. I, 7 dicembre 2016, n. 1367) ritiene che si possa ricorrere all’istituto dei motivi aggiunti (da formulare ossia avverso il successivo provvedimento di aggiudicazione), tuttavia questo impone comunque un aggravio processuale ed economico.
C) Il diritto della Unione: i principi europei in materia di diritto di difesa e di presupposti dell’azione. Il principio di effettività sostanziale della tutela.
Premesso quanto sopra circa la disciplina nazionale, si devono richiamare le norme rilevanti nel caso in esame, del diritto dell’Unione Europea.
Gli artt. 6 e 13 della CEDU riconoscono il diritto ad un giusto ed effettivo processo, sotto il profilo sostanziale, garantendo una tutela attraverso un’adeguata qualificazione della situazione giuridica soggettiva da proteggere e una tutela processuale attraverso le tre componenti fondamentali del principio di effettività: pienezza e completezza della tutela e ragionevole durata del processo.
L’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea stabilisce il diritto dell’individuo ad “un ricorso effettivo davanti ad un giudice”, quando siano stati violati i propri diritti e le proprie libertà.
In tema di appalti, l’art. 1 Dir. 89/665/CEE, modificato dall’art. 1 Dir. 2007/66/CE, stabilisce che “gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto riguarda gli appalti disciplinati dalla Dir. 2004/18/CE, le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace”.
Tale Direttiva, all’art. 1 (“Ambito di applicazione e accessibilità delle procedure di ricorso”), fissa i fondamentali principi di efficacia, celerità, non discriminazione ed accessibilità, che nell’ordinamento interno possono condensarsi nelle formule dell’effettività e satisfattività della tutela. Essa, infatti, stabilisce, nel testo novellato, che:
“1. … Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto riguarda gli appalti disciplinati dalla direttiva 2004/18/CE, le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e, in particolare, quanto più rapido possibile, secondo le condizioni previste negli articoli da 2 a 2 septies della presente direttiva, sulla base del fatto che hanno violato il diritto comunitario in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici o le norme nazionali che lo recepiscono.
2. Gli Stati membri garantiscono che non vi sia alcuna discriminazione tra le imprese suscettibili di far valere un pregiudizio nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto, a motivo della distinzione effettuata dalla presente direttiva tra le norme nazionali che recepiscono il diritto comunitario e le altre norme nazionali.
3. Gli Stati membri provvedono a rendere accessibili le procedure di ricorso, secondo modalità che gli Stati membri possono determinare, a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione.”
La disposizione (e specificatamente l’art. 1, comma 3,) riconnette espressamente e chiaramente il principio di effettività della tutela delle posizioni soggettive di derivazione europea in materia di appalti alla nozione di interesse, là dove impone agli Stati membri di apprestare un sistema di giustizia che garantisca un utile accesso a “chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione”.
Il principio di efficacia presuppone quindi che l’azione sia volta a soddisfare un interesse attuale e concreto del soggetto ricorrente, che agisce a tutela di una sua lesione al bene della vita costituito dall’aggiudicazione della gara di appalto cui ha partecipato.
Tale principio postula che l’operatore economico al quale dev’essere assicurato un sistema di giustizia effettivo abbia e conservi un interesse all’aggiudicazione dell’appalto (in tal senso la sentenza della Corte di Giustizia UE 5.4.2016, C 689/13 Puligenica/Airgest spa).
Corollario indefettibile di detti principi è che la tutela giurisdizionale può (e deve) esserci solo ove vi sia stata una lesione di un diritto o di un interesse legittimo, e che vi sia un interesse, concreto ed attuale, ad una pronuncia dell’autorità giudiziaria.
Consegue anche che il legislatore non potrebbe mai imporre al privato cittadino di azionare lo strumento processuale prima che detta lesione concreta e attuale di un diritto o di un interesse legittimo sia reale ed effettiva.
Ne consegue che il principio di effettività sostanziale non può dirsi rispettato quando la possibilità di contestare le decisioni delle amministrazioni giudicatrici sia affidata all’iniziativa di soggetti che non hanno alcuna garanzia di poter ricavare vantaggi materiali dal favorevole esito della controversia o che addirittura potrebbero correre il rischio di favorire propri concorrenti, come potrebbe accadere qualora il ricorso contro l’atto di ammissione alla gara sia stato proposto da uno dei concorrenti poi collocati in posizione non utile ai fini dell’aggiudicazione.D) Le questioni di rilevanza europea.
Il rito di cui all’art 120 co. 2 bis c.p.a. implica una tutela di tipo oggettiva, in cui l’azione non si configura caratterizzata da un interesse attuale del ricorrente e da una lesione concreta della sua situazione giuridica soggettiva.
L’operatore economico è obbligato ad impugnare le ammissioni di tutti i concorrenti alla gara, senza sapere ancora chi sarà l’aggiudicatario e, parimenti, senza sapere se lui stesso si collocherà in graduatoria in posizione utile per ottenere e/o contestare l’aggiudicazione dell’appalto. Si impone quindi al concorrente di promuovere l’azione giurisdizionale senza alcuna garanzia che detta iniziativa possa garantirgli una concreta utilità, facendo carico anche all’operatore che abbia presentato un’offerta risultata poi non competitiva in esito alla selezione, di assumere gli oneri connessi all’esperimento immediato del giudizio, ossia di promuovere un ricorso inutile e non efficace.
Le norme censurate hanno pertanto introdotto una tipologia di contenzioso che si qualifica per essere un giudizio di diritto oggettivo, contrario ai principi comunitari sopra richiamati, che forgiano il diritto di azione come diritto del solo soggetto titolare di un interesse attuale e concreto, interesse che, nell’ipotesi delle gare di appalto, consiste unicamente nel conseguimento dell’aggiudicazione, o, al più, quale modalità strumentale al perseguimento del medesimo fine, nella chance derivante dalla rinnovazione della gara. Si rende in tal modo recessivo il principio della immediatezza della lesione derivante dal provvedimento impugnato rispetto alla (necessaria) attualità della reazione giurisdizionale, anticipandola obbligatoriamente ad un momento procedimentale nel quale la selezione degli interessi dei singoli partecipanti non è ancora tale da poter far riconoscere in capo a ciascun concorrente un effettivo e concreto interesse (ed utilità) all’impugnativa.
Peraltro, il soggetto privato obbligato a proporre un giudizio secondo lo schema del rito “superaccelerato” non solo non ha un interesse concreto ed attuale ad una pronuncia dell’autorità giudiziaria, ma subisce anche un danno dall’applicazione dell’art. 120 c. 2bis c.p.a., non solo con riferimento agli esborsi economici ingentissimi collegati alla proposizione di plurimi ricorsi avverso l’ammissione di tutti i concorrenti alla gara (in un numero potenzialmente molto elevato), ma anche per la potenziale compromissione della propria posizione agli occhi della Commissione di gara della S.A., destinataria dei plurimi ricorsi, che è chiamata nelle more del giudizio a valutare l’offerta tecnica del ricorrente; e per le nefaste conseguenze in merito al rating d’impresa disciplinato dall’art. 83 CCP, che individua come parametro di giudizio (negativo) l’incidenza dei contenziosi attivati dall’operatore economico nelle gare d’appalto.
In tale quadro, che si prospetta potenzialmente idoneo a dissuadere i concorrenti da iniziative processuali anticipate rispetto al verificarsi della lesione concreta, sembrano trovare fondamento le critiche sollevate da parte della dottrina che ha attribuito alla novella legislativa l’intendimento di ridurre le facoltà di difesa e, al contempo, le occasioni di sindacato del giudice amministrativo sull’esito delle gare pubbliche.
La violazione ai principi comunitari sopra richiamati, ed in particolare laddove si rende l’accesso alla giustizia amministrativa eccessivamente gravoso, si ravvisa in quanto l’attuale sistema impone a ogni ditta concorrente di:
1) impugnare il provvedimento di ammissione di tutte le altre ditte partecipanti;
2) proporre il relativo ricorso in una fase del procedimento in cui la cognizione dei documenti di gara degli altri concorrenti è resa problematica dalla disciplina dettata nell’art. 53 del d.lgs. n. 50/2016, che al comma terzo vieta di comunicare o comunque di rendere noti gli atti di gara, l’accesso ai quali è differito all’aggiudicazione e, al suo comma quarto, rende punibile, ai sensi dell’art. 326 c.p. (rivelazione di segreti d’ufficio), la condotta del pubblico ufficiale o degli incaricati di pubblico servizio (endiadi in cui sono compresi tutti i funzionari addetti alla procedura di gara) inosservante del divieto. La cogenza di tale incondizionato divieto, oltre a porre questioni di coordinamento con l’art. 29 cit., lascia prevedere una giustificata ritrosia dei soggetti responsabili della procedura a rendere ostensibile, oltre al provvedimento di ammissione, la documentazione amministrativa dei concorrenti, costringendo gli operatori a proporre ricorsi “al buio” ovvero, come confermato dalle già numerose pronunce intervenute sul punto, a presentare ulteriori ricorsi per l’accertamento del diritto di accesso alla documentazione necessaria per la proposizione del ricorso ex art. 120, comma 2 bis, c.p.a.;
3) formulare censure avverso ogni atto di ammissione, per evitare di incorrere nell’inammissibilità di un ricorso cumulativo (ogni ammissione potrebbe risultare affetta da vizi propri e distinti rispetto all’altra, con diversità oggettiva e soggettiva per ogni ricorso), con la necessaria proposizione di tanti ricorsi quante sono le ditte ammesse e quindi con la conseguenza di dover versare il contributo unificato per ogni ricorso (può dirsi acclarata la funzione dissuasiva all’azione giurisdizionale indotta dal cumulo di tributi giudiziari dovuti in caso di impugnazione separata degli atti di ammissione e di aggiudicazione nell’ambito della stessa procedura di gara).
Risulta netto il contrasto con il principio di effettività sostanziale della tutela assicurato dalla direttiva recepita (89/665), laddove prevede una decadenza di motivi ricorsuali deducibili nel momento in cui l’esigenza di tutela soggettiva diviene concreta ed attuale, cioè con l’aggiudicazione.
Inoltre, per quanto possa estendersi la nozione di interesse processualmente rilevante fino a comprendervi l’accezione anche di un interesse strumentale alla rinnovazione della procedura, non possono certo ravvisarsi gli estremi della condizione dell’azione in una situazione in cui dall’accoglimento del ricorso non derivi neanche il limitato effetto dell’indizione di una nuova procedura.
La corretta attuazione dei principi sopra richiamati suggerirebbe l’approdo (o per meglio dire il ritorno) ad una soluzione che consenta di attendere la definizione della procedura e la piena discovery, prima di proporre ricorso per motivi relativi alla ammissione dell’aggiudicatario.
Sotto ulteriore profilo, la normativa interna in esame comporta, ad avviso del Collegio, altresì la violazione del principio di proporzionalità, che, com’è noto, costituisce parte integrante dei principi generali del diritto comunitario ed esige che la normativa nazionale non ecceda i limiti di ciò che è idoneo e necessario per il conseguimento degli scopi pur legittimamente perseguiti da ciascuno Stato. Alla stregua di tale principio, infatti, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere a quella meno restrittiva e penalizzante, in modo che gli inconvenienti causati dalle stesse misure non siano sproporzionati rispetto ai fini da raggiungere (cfr., ad es.: sent. Corte di giustizia UE 12.7.2001, causa C-189/01; id., 12/9/2013, n. 660; 8/5/2013, n. 197; 13/12/2012, n. 395; Grande sezione, 27/11/2012, n. 566; Grande sezione, 21/12/2011, n. 28).
La misura di cui trattasi è ridondante sotto diversi profili.
Da un lato essa genera il rischio di una proliferazione dei ricorsi nella fase di “qualificazione”, cioè di ammissione delle imprese, e di una conseguente paralisi dei procedimenti di gara, soprattutto di quelli relativi ad appalti di rilevante importo, rispetto ai quali il gravoso onere economico dell’iniziativa giudiziaria non rappresenta una remora, con buona pace delle esigenze di celerità procedimentale e di deflazione del contenzioso che si immaginano garantite dalla riforma.
Da altro lato e al contrario, l’attuale sistema può facilmente comportare, specialmente per appalti di non elevatissimo importo, rinunce da parte dell’interessato alla scelta di proporre il ricorso giurisdizionale. In una fase anticipata in cui gli operatori non possono confidare nelle utilità derivanti dall’aggiudicazione, l’entità degli esborsi necessari per la difesa processuale può costituire motivo di forte dissuasione al ricorso agli strumenti processuali che potrebbero essere fatti valere in giudizio, compromettendo anche il diritto di difesa.
La stessa normativa, imponendo a tutti i concorrenti di far valere le cause di esclusione mediante l’immediata contestazione degli atti di ammissione alla gara, sanzionando la decadenza dalla possibilità di contestare l’ammissione dei concorrenti stessi al momento della formazione della graduatoria e dell’aggiudicazione dell’appalto, priva l’aggiudicatario del rimedio del ricorso incidentale da opporre a chi contesti l’aggiudicazione senza possedere i requisiti di ammissione alla gara.
Al contempo ancora più grave, come sembra dimostrare il caso all’esame di questo TAR, è il rischio che l’operare del nuovo meccanismo preclusivo finisca per rendere inattaccabili aggiudicazioni disposte in favore di soggetti privi dei requisiti di partecipazione, posti a presidio della corretta esecuzione delle prestazioni contrattuali. Il Collegio ritiene un tale esito contrastare anche, e soprattutto, con quella che è l’esigenza sottesa a tutta la regolamentazione europea e nazionale in materia di appalti pubblici: e cioè l’esigenza di assicurare che le commesse pubbliche vengano affidate al soggetto maggiormente idoneo, esigenza alla quale il confronto concorrenziale è funzionale e che inevitabilmente rimarrebbe frustrata ove si consentisse, in forza di quello che è un meccanismo di natura meramente processuale, di tenere ferma l’aggiudicazione pronunciata a favore di un aggiudicatario che risulti non possedere i requisiti di partecipazione alla gara.F) Formulazione dei quesiti sottoposti alla Corte.
In conclusione, il Collegio ritiene di dover sottoporre all’esame della Corte di Giustizia dell’Unione Europea i due seguenti quesiti:
1) se la disciplina europea in materia di diritto di difesa, di giusto processo e di effettività sostanziale della tutela, segnatamente, gli articoli artt. 6 e 13 della CEDU, l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e l’art. 1 Dir. 89/665/CEE, 1 e 2 della Direttiva, ostino ad una normativa nazionale, quale l’art. 120 comma 2 bis c.p.a, che, impone all’operatore che partecipa ad una procedura di gara di impugnare l’ammissione/mancata esclusione di un altro soggetto, entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento con cui viene disposta l’ammissione/esclusione dei partecipanti;
2) se la disciplina europea in materia di diritto di difesa, di giusto processo e di effettività sostanziale della tutela, segnatamente, gli articoli artt. 6 e 13 della CEDU, l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e l’art. 1 Dir. 89/665/CEE, 1 e 2 della Direttiva, osti ad una normativa nazionale quale l’art. 120 comma 2 bis c.p.a, che preclude all’operatore economico di far valere, a conclusione del procedimento, anche con ricorso incidentale, l’illegittimità degli atti di ammissione degli altri operatori, in particolare dell’aggiudicatario o del ricorrente principale, senza aver precedentemente impugnato l’atto di ammissione nel termine suindicato.
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