Archivi tag: organismo di diritto pubblico

Organismo di diritto pubblico ed applicazione del Codice dei contratti pubblici

Consiglio di Stato, sez. V, 15.07.2021 n. 5348

Aspetto decisivo ed assorbente della stessa è la possibilità o meno di attribuire, nel caso di specie, la natura di organismo di diritto pubblico alla FIGC, ai sensi e per gli effetti dell’art. 3, lett. d), del d.lgs. n. 50 del 2016 e dell’art. 2, comma primo, p.to 4 della direttiva UE n. 24 del 2014 (cfr. già l’art. 2, par. 9 della direttiva 2004/18/CE).
La riconduzione a tale categoria, infatti, comporterebbe l’obbligo per la FIGC di applicare alle proprie gare d’appalto la disciplina prevista dal vigente Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50), ai sensi del combinato disposto degli artt. 1, comma primo e 3, comma primo lett. a) del medesimo decreto legislativo.
Tre sono, come noto, le condizioni perché possa parlarsi di un “organismo di diritto pubblico” ai fini dell’applicazione della normativa in questione: deve trattarsi, in particolare, di un soggetto 1) dotato di personalità giuridica; 2) sottoposto ad influenza pubblica dominante; 3) istituito per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale.
Si tratta, in ispecie, di una tipologia di amministrazione fondata su parametri oggettivi, ossia sulla tipologia delle attività esercitate e sulla natura delle stesse; i requisiti in questione non sono inoltre tra loro alternativi, ma devono essere posseduti cumulativamente (ex multis, Cons. Stato, V, 12 dicembre 2018, n. 7031) e sono valutati dal giudice caso per caso, in quanto l’elenco degli organismi di diritto pubblico – di cui all’allegato IV del Codice dei contratti pubblici – non ha carattere tassativo ma solo esemplificativo.
In questi termini, può ben condividersi la valutazione del primo giudice per cui, ai fini della qualificazione in esame, “occorre in primo luogo analizzare la configurazione data dal legislatore alle federazioni sportive. In merito il d.lgs. n. 242/1999, dopo avere previsto all’art. 1 che il “Il Comitato olimpico nazionale italiano … ha personalità giuridica di diritto pubblico … ed è posto sotto la vigilanza del Ministero per i beni e le attività culturali”, al successivo art. 15 dispone che “Le federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate svolgono l’attività sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO, delle federazioni internazionali e del CONI, anche in considerazione della valenza pubblicistica di specifiche tipologie di attività individuate nello statuto del CONI. Ad esse partecipano società ed associazioni sportive e, nei soli casi previsti dagli statuti delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate in relazione alla particolare attività, anche singoli tesserati” (comma 1), precisando che “Le federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate hanno natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato. Esse non perseguono fini di lucro e sono soggette, per quanto non espressamente previsto nel presente decreto, alla disciplina del codice civile e delle relative disposizioni di attuazione” (comma 2).
Si tratta, pertanto, di enti cui il legislatore ha attribuito personalità giuridica di diritto privato, cui però sono assegnate funzioni di rilievo pubblicistico quali, secondo lo Statuto del CONI, art. 23, quelle “relative all’ammissione e all’affiliazione di società, di associazioni sportive e di singoli tesserati; alla revoca a qualsiasi titolo e alla modificazione dei provvedimenti di ammissione o di
affiliazione; al controllo in ordine al regolare svolgimento delle competizioni e dei campionati sportivi professionistici; all’utilizzazione di contributi pubblici, alla prevenzione e repressione del doping, nonché le attività relative alla preparazione olimpica e all’alto livello di formazione dei tecnici, all’utilizzazione e alla gestione degli impianti sportivi”.
Le Federazioni sportive sono quindi istituzionalmente deputate allo svolgimento delle funzioni sopra elencate, di modo che la connotazione privatistica della forma associativa dalle stesse rivestite convive, per definizione, con la valenza pubblicistica di parte delle attività svolte.
Dall’espressa dizione legislativa risulta la sussistenza del requisito, richiesto per la configurabilità dell’organismo di diritto pubblico, della personalità giuridica; né può dubitarsi del fatto che le fondazioni siano istituite per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale, essendo le stesse, come visto, enti senza fini di lucro deputati al controllo in ordine al regolare svolgimento delle competizioni e dei campionati sportivi professionistici, alla preparazione olimpica, all’utilizzazione e alla gestione degli impianti sportivi”.
Ritiene invece il Collegio di non poter condividere le conclusioni raggiunte nelle sentenze appellate in ordine al il terzo requisito, dato alternativamente: 1) dall’essere l’attività dell’ente finanziata in modo maggioritario dallo Stato, da enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico; 2) dalla circostanza che la gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi; 3) ovvero che l’organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico.
Al riguardo, la richiamata decisione del 3 febbraio 2021 della Corte di giustizia dell’Unione europea è nel senso che “i criteri alternativi figuranti all’articolo 2, paragrafo 1, punto 4, lettera c), della direttiva 2014/24, quali ricordati al punto 34 della presente sentenza, rispecchiano tutti la stretta dipendenza di un organismo nei confronti dello Stato, delle autorità regionali o locali o di altri organismi di diritto pubblico, e che, per quanto riguarda più precisamente il criterio relativo alla vigilanza sulla gestione, una vigilanza siffatta si basa sulla constatazione di un controllo attivo sulla gestione dell’organismo in questione idoneo a creare una dipendenza di quest’ultimo nei confronti dei poteri pubblici, equivalente a quella che esiste allorché è soddisfatto uno degli altri due criteri alternativi, ciò che può consentire ai poteri pubblici di influire sulle decisioni del suddetto organismo in materia di appalti pubblici (v., in tal senso, sentenza del 27 febbraio 2003, Adolf Truley, C-373/00, EU:C:2003:110, punti 68, 69 e 73 nonché la giurisprudenza ivi citata)”.
Sulla base di tali presupposti, se è vero che, in linea di principio, un controllo a posteriori non soddisfa il secondo dei criteri alternativi previsti dall’art. 2, par. 1, punto 4, lettera c), della direttiva 2014/24/UE – il quale deve essere interpretato “nel senso che la gestione di una federazione sportiva nazionale deve considerarsi posta sotto la vigilanza di un’autorità pubblica, tenendo conto, da un lato, dei poteri di cui tale autorità è investita nei confronti di una federazione siffatta e, dall’altro, del fatto che gli organi fondamentali di detta autorità sono composti in via maggioritaria da rappresentanti dell’insieme delle federazioni sportive nazionali” – in quanto non consente ai poteri pubblici di influire sulle decisioni dell’organismo de quo in tale settore (cfr. Corte giust. UE 12 settembre 2013, IVD, C-526/11, EU:C:2013:543, p.to 29 e giurisprudenza ivi citata), va però verificato, caso per caso, se “nei fatti, i diversi poteri spettanti al CONI nei confronti della FIGC hanno l’effetto di creare una dipendenza di tale federazione rispetto al CONI, tale per cui quest’ultimo possa influire sulle decisioni di detta federazione in materia di appalti pubblici.
A questo proposito, lo spirito di competizione sportiva, la cui organizzazione e concreta gestione sono di spettanza delle federazioni sportive nazionali, come si è detto al punto 55 della presente sentenza, impone di non considerare tali diversi poteri del CONI in un’accezione troppo tecnica, ma di dare agli stessi un’interpretazione più sostanziale che formale”.
Ritiene il Collegio, ad un complessivo esame delle risultanze di causa, che i poteri di direzione e controllo del CONI nei confronti della FIGC non siano tali da imporre a quest’ultima – per la quale, va ricordato, non opera (a differenza della maggior parte delle Federazioni sportive nazionali) il decisivo principio del finanziamento pubblico maggioritario – regole di gestione dettagliate e pervasive.
Non è infatti dato riscontrare – per mutuare le parole della Corte di giustizia – che il riconoscimento della FIGC ai fini sportivi consenta, di per sé solo, al CONI di esercitare (sia pure successivamente) un controllo attivo sulla gestione di tale Federazione, al punto di consentirgli di influire sulle decisioni di quest’ultima in materia di appalti pubblici. Né un potere di tal genere è implicito nella possibilità – attribuita sempre al CONI dall’art. 5, comma 2, lett. a) e dall’art. 15, comma 1, del d.lgs. n. 242 del 1999, oltre che dagli artt. 20, comma 4 e 23, commi 1-bis e 1-ter del relativo Statuto – di adottare nei confronti delle Federazioni sportive italiane atti di indirizzo, deliberazioni, orientamenti e istruzioni concernenti l’esercizio dell’attività sportiva disciplinata dalle stesse.
D’altro canto, le stesse difese del CONI in giudizio danno atto di come le disposizioni appena richiamate siano solamente finalizzate ad imporre alle Federazioni sportive nazionali regole generali ed astratte, relative più in generale all’organizzazione sportiva nella sua dimensione pubblica, ma non anche a consentire un intervento diretto ed attivo nella loro attività di gestione, così da poter influire sulle decisioni in materia di appalti pubblici.
In ordine poi al potere del CONI di approvare – limitatamente ai fini sportivi – gli statuti delle Federazioni sportive nazionali di cui agli artt. 7, comma 5 lett. 1) e 22, comma 5, del proprio Statuto, va rilevato che la sottostante valutazione è in realtà circoscritta al riscontro di conformità degli statuti alla legge, allo Statuto del CONI ed ai principi fondamentali stabiliti dal CONI stesso.
In questi termini, non è dato quindi individuare l’imposizione alla FIGC di vincoli idonei a comprimerne l’autonomia di gestione interna.
Neppure è decisiva, in favore della qualificazione come organismo di diritto pubblico della FIGC, l’attribuzione al CONI del potere di approvare i bilanci consuntivi e quelli di previsione annuali delle Federazioni sportive nazionali, ex artt. 15, comma 3, d.lgs. n. 242 del 1999 e 7, comma 5, lettera g2) e 23, comma 2, del relativo Statuto, non essendo stato fornito dal CONI alcun riscontro da cui poter desumere che, obiettivamente, si sia in presenza di un intervento più pervasivo rispetto alla mera verifica contabile dei bilanci consuntivi e dell’equilibrio del bilancio di previsione, sino a comportare un vero e proprio controllo attivo sulla gestione di detta Federazione.
Al riguardo, è la stessa difesa del CONI a riconoscere che “il CONI non ha, in materia, il potere di apporre un proprio veto sull’approvazione del bilancio, il quale, infatti, in caso di mancata approvazione da parte della Giunta, può (rectius: deve) essere approvato dall’Assemblea federale”.
Trattasi dunque di una forma di controllo solamente indiretto nei confronti delle attività economiche svolte dalle Federazioni, per di più limitato al rispetto dei vincoli di destinazione (in sé piuttosto generici) apposti alla contribuzione pubblica – contribuzione che nel caso della FIGC è minoritaria ai fini della copertura delle spese da questa sostenute, in quanto pari ad appena il 21% circa delle entrate della Federazione – ossia la promozione dello sport giovanile, la preparazione olimpica e lo svolgimento di attività di alto livello.
Analogamente dicasi per il potere – attribuito al CONI dall’art. 5, comma 2, lettera e), del d.lgs. n. 242 del 1999, nonché dall’art. 6, comma 4, lettere e) ed el), dall’art. 7, comma 5, lettera e) e dall’art. 23, comma 3, del relativo Statuto – di controllare l’esercizio delle attività a valenza pubblicistica affidate alle Federazioni sportive nazionali nonché, più in generale, il buon funzionamento delle stesse, circoscritto ai settori del regolare svolgimento delle competizioni, della preparazione olimpica, dell’attività sportiva di alto livello e dell’utilizzazione degli aiuti finanziari.
Tali conclusioni non vengono neppure contraddette dal combinato disposto degli artt. 7 e 9 della Deliberazione CONI n. 1271 del 2004, per cui il Comitato “può richiedere documenti e disporre ispezioni per verifiche nella gestione amministrativo contabile delle Federazioni sportive nazionali e delle Discipline sportive associate riferita al contributo erogato. La Giunta Nazionale, qualora attraverso gli atti in suo possesso o gli accertamenti svolti, riscontri irregolarità relative all’utilizzazione dei finanziamenti per attività o spese non attinenti alle finalità delle Federazioni sportive nazionali […] adotta i provvedimenti necessari e può proporre al Consiglio Nazionale l’irrogazione delle sanzioni di cui all’articolo 9”.
Sebbene a detto riscontro possa far seguito, a seconda della gravità dell’infrazione riscontrata, la sospensione o la riduzione dei contributi – ovvero ancora la decadenza dagli stessi – laddove l’irregolarità non sia stata rimossa, non è dato desumere che “riguardi altresì la gestione in corso delle suddette federazioni, segnatamente sotto il profilo dell’esattezza delle cifre, della regolarità, della ricerca di economie di spesa, della redditività e della razionalità” (Corte giust. UE, 27 febbraio 2003, Adolf Truley, C-373/00, EU:C:2003:110, punto 73).
Circa poi il potere del CONI di nominare, a norma dell’art. 7, comma 5, lettera hi) del suo Statuto, dei revisori dei conti in propria rappresentanza nelle Federazioni sportive nazionali (lo Statuto della FIGC prevede, all’art. 31, che “Il Collegio dei revisori dei conti è composto dal Presidente, eletto dall’Assemblea, e da due componenti, nominati dal CONI”), è lo stesso Comitato Olimpico Nazionale a riconoscere, nei propri scritti difensivi, che ai detti “revisori dei conti non è consentito determinare la politica generale o il programma della Federazioni”. Il che a fortiori esclude che tali revisori possano influire sulla politica di gestione della Federazione suddetta, segnatamente in materia di appalti pubblici, non essendo decisivo a sminuire il precedente rilievo l’appunto per cui il collegio dei revisori dei conti – organo che esercita il controllo contabile della FIGC – nella sua composizione, subirebbe pur sempre la maggioranza delle nomine dal CONI (due revisori dei conti ed il Presidente, quest’ultimo eletto dall’Assemblea federale).
Analogamente non è possibile desumere la sussistenza dei presupposti per qualificare la FIGC quale organismo di diritto pubblico dal generale potere del CONI di commissariare le Federazioni sportive nazionali in caso di gravi irregolarità nella gestione, di gravi violazioni dell’ordinamento sportivo, di impossibilità di funzionamento di tali federazioni o di problemi di regolarità delle competizioni sportive (ex atrt. 5, comma 2, lettera e-ter ed art. 7, comma 2, lettera f) del d.lgs. n. 242 del 1999, nonché art. 6, comma 4, lettera fi, art. 7, comma 5, lettera f e art. 23, comma 3, dello Statuto del CONI), non emergendo dagli atti di causa – e segnatamente dalle difese del Comitato Olimpico Nazionale – elementi da cui desumere che l’esercizio di tale potere implichi un controllo permanente sulla gestione di tali Federazioni.
Alla luce delle considerazioni che precedono, deve dunque concludersi che la Federazione Italiana Giuoco Calcio non è riconducibile al novero degli organismi di diritto pubblico, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 3, lett. d), del d.lgs. n. 50 del 2016 ed all’art. 2, comma primo, p.to 4 della direttiva UE n. 24 del 2014. Ne consegue il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, in favore di quello civile, in ordine alla specifica vertenza per cui è causa, con conseguente applicazione del regime processuale di cui all’art. 11 Cod. proc. amm.

FIGC – Natura di organismo di diritto pubblico – Codice dei contratti – Applicazione (art. 3 d.lgs. n. 50/2016)

TAR Roma, 13.04.2018 n. 4100

Al riguardo assume rilievo decisivo la questione della qualificabilità o meno della Federazione Italiana Giuoco Calcio come organismo di diritto pubblico, dirimente al fine di individuare l’ambito di applicazione delle regole di evidenza pubblica.
Secondo l’art. 1 del Codice dei contratti pubblici, infatti, il codice stesso disciplina i contratti di appalto e di concessione delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori aventi ad oggetto l’acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere; ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera a), del Codice, nel novero delle “amministrazioni aggiudicatrici” rientrano – oltre alle amministrazioni dello Stato, agli enti pubblici territoriali e agli altri enti pubblici non economici – gli “organismi di diritto pubblico”, i quali, secondo quanto previsto alla successiva lettera d) del menzionato art. 3, sono così definiti: “qualsiasi organismo, anche in forma societaria, il cui elenco non tassativo è contenuto nell’allegato IV: 1) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; 2) dotato di personalità giuridica; 3) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico”.
Alla lettera o) del medesimo art. 3 del Codice è poi chiarito che sono “stazioni appaltanti” le “amministrazioni aggiudicatrici di cui alla lettera a)”, ivi inclusi, dunque, gli organismi di diritto pubblico.
Quindi, la qualificazione della FIGC come “organismo di diritto pubblico” è dirimente in quanto ne conseguirebbe che la stessa è tenuta all’applicazione delle norme di evidenza pubblica di cui al Codice.
Per valutare la ricorrenza dei presupposti previsti dal citato art. 3 ai fini della riconducibilità dell’ente a tale nozione, occorre in primo luogo analizzare la configurazione data dal legislatore alle federazioni sportive.
In merito il d.lgs. n. 242/1999, dopo avere previsto all’art. 1 che il “Il Comitato olimpico nazionale italiano … ha personalità giuridica di diritto pubblico … ed è posto sotto la vigilanza del Ministero per i beni e le attività culturali”, al successivo art. 15 dispone che “Le federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate svolgono l’attività sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO, delle federazioni internazionali e del CONI, anche in considerazione della valenza pubblicistica di specifiche tipologie di attività individuate nello statuto del CONI. Ad esse partecipano società ed associazioni sportive e, nei soli casi previsti dagli statuti delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate in relazione alla particolare attività, anche singoli tesserati” (comma 1), precisando che “Le federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate hanno natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato. Esse non perseguono fini di lucro e sono soggette, per quanto non espressamente previsto nel presente decreto, alla disciplina del codice civile e delle relative disposizioni di attuazione” (comma 2).
Si tratta, pertanto, di enti cui il legislatore ha attribuito personalità giuridica di diritto privato, cui però sono assegnate funzioni di rilievo pubblicistico quali, secondo lo Statuto del CONI, art. 23, quelle “relative all’ammissione e all’affiliazione di società, di associazioni sportive e di singoli tesserati; alla revoca a qualsiasi titolo e alla modificazione dei provvedimenti di ammissione o di affiliazione; al controllo in ordine al regolare svolgimento delle competizioni e dei campionati sportivi professionistici; all’utilizzazione di contributi pubblici, alla prevenzione e repressione del doping, nonché le attività relative alla preparazione olimpica e all’alto livello di formazione dei tecnici, all’utilizzazione e alla gestione degli impianti sportivi”.
Le Federazioni sportive sono quindi istituzionalmente deputate allo svolgimento delle funzioni sopra elencate, di modo che la connotazione privatistica della forma associativa dalle stesse rivestite convive, per definizione, con la valenza pubblicistica di parte delle attività svolte.
Dall’espressa dizione legislativa risulta la sussistenza del requisito, richiesto per la configurabilità dell’organismo di diritto pubblico, della personalità giuridica; né può dubitarsi del fatto che le federazioni siano istituite per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale, essendo le stesse, come visto, enti senza fini di lucro deputati al controllo del regolare svolgimento delle competizioni e dei campionati sportivi professionistici, della preparazione olimpica, dell’utilizzazione e alla gestione degli impianti sportivi.
L’analisi deve quindi incentrarsi sulla sussistenza del requisito di cui al terzo punto, che prevede, in alternativa, il finanziamento in misura maggioritaria delle attività da parte dello Stato, degli enti pubblici territoriali o di altri organismi di diritto pubblico, oppure il controllo, da parte dei medesimi enti, sulla gestione, anche nella forma della designazione diretta dei componenti degli organi di amministrazione, direzione o vigilanza.
Nel caso di specie, è incontestato che non si versi nell’ipotesi del finanziamento maggioritario di provenienza pubblica, in quanto il finanziamento in favore della FIGC da parte del CONI è inferiore al 50% dei fondi dalla stessa posseduti.

Va, quindi, esaminato il controllo effettuato da quest’ultimo ente sulla Federazione.
A questo riguardo deve rilevarsi che, secondo lo Statuto del CONI, le federazioni sportive nazionali “svolgono l’attività sportiva e le relative attività di promozione, in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO e del CONI, anche in considerazione della rilevanza pubblicistica di specifici aspetti di tale attività. Nell’ambito dell’ordinamento sportivo, alle Federazioni sportive nazionali è riconosciuta l’autonomia tecnica, organizzativa e di gestione, sotto la vigilanza del CONI” (art. 20, comma 4).
In particolare, il CONI provvede al riconoscimento delle Federazioni, verificando che rispondano ai seguenti requisiti: a) svolgimento, nel territorio nazionale e sul piano internazionale, di una attività sportiva, ivi inclusa la partecipazione a competizioni e l’attuazione di programmi di formazione degli atleti e dei tecnici; b) affiliazione ad una Federazione internazionale riconosciuta dal CIO, ove esistente, e gestione dell’attività conformemente alla Carta Olimpica e alle regole della Federazione internazionale di appartenenza; c) ordinamento statutario e regolamentare ispirato al principio di democrazia interna; d) procedure elettorali e composizione degli organi direttivi in conformità al disposto dell’art. 16, comma 2, del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, assicurando il riconoscimento di una sola Federazione sportiva nazionale per ciascuno sport (art. 21 dello Statuto CONI).
Il riconoscimento della personalità giuridica è concesso a seguito del controllo del Consiglio Nazionale del CONI e, in caso di venir meno dei requisiti sopra riportati, è revocato dallo stesso organo.
Allo stesso modo, i bilanci delle Federazioni sportive nazionali sono approvati annualmente dal Consiglio Federale e sono sottoposti alla approvazione della Giunta Nazionale del CONI.
Ancora, gli statuti delle Federazioni sportive sono approvati dalla Giunta Nazionale del CONI, che “ne valuta la conformità alla legge, allo Statuto del CONI ed ai Principi fondamentali emanati dal Consiglio Nazionale. In caso di difformità la Giunta Nazionale rinvia alle Federazioni, entro 90 giorni dal deposito in Segreteria Generale, lo statuto per le opportune modifiche, indicandone i criteri” (art. 22 dello Statuto CONI); in caso di omessa modifica, la Giunta Nazionale può nominare a tal fine un Commissario ad acta e, nei casi più gravi, previa diffida, il Consiglio Nazionale può revocare il riconoscimento.
Infine, “Nell’esercizio delle attività a valenza pubblicistica, di cui al comma 1, le Federazioni sportive nazionali si conformano agli indirizzi e ai controlli del CONI ed operano secondo principi di imparzialità e trasparenza”; la Giunta Nazionale, sulla base dei criteri e delle modalità stabilite dal Consiglio Nazionale, approva i bilanci delle Federazioni sportive nazionali e stabilisce i contributi finanziari in favore delle stesse, eventualmente determinando specifici vincoli di destinazione, con particolare riguardo alla promozione dello sport giovanile, alla preparazione olimpica e all’attività di alto livello, e vigila sul corretto funzionamento delle Federazioni sportive nazionali (art. 23 Statuto citato).
Dal quadro complessivo così delineato emerge che, pur essendo espressamente riconosciuta dalla legge e dallo Statuto del CONI l’autonomia delle Federazioni, il controllo esercitato dal Comitato Olimpico si concretizza nella titolarità di poteri salienti nella vita e nell’attività delle stesse (e, quindi, della FIGC), a cominciare dal riconoscimento, ancorato all’analisi dei requisiti sopra elencati, per continuare con l’approvazione dello statuto e del bilancio di tali enti, fino alla verifica complessiva in ordine allo svolgimento dell’attività di promozione sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO e del CONI.
Il complesso di tali poteri deve ritenersi integrante il contenuto della nozione comunitaria di controllo, recepita dal legislatore nazionale nel disciplinare la figura dell’organismo di diritto pubblico.
Infatti, se è pur vero, sul piano formale, che il finanziamento pubblico nel caso di specie non è maggioritario, nondimeno i diffusi poteri di ingerenza, desumibili dagli elementi dianzi indicati, fanno ritenere che l’attività della Federazione sia sottoposta al controllo del sovraordinato ente pubblico CONI.
Né rileva, al riguardo, la sussistenza di una sfera di autonomia statutariamente prevista, per quanto concerne l’attività di promozione sportiva e le attività connesse, o strumentali.
Detta autonomia, infatti, attiene alla fase attiva dell’esercizio delle funzioni affidate alla Federazione, ma non esclude il controllo, quale relazione interorganica nell’ambito della quale l’operato degli organi attivi viene può essere sindacato per valutare la relativa rispondenza alla legge, o alla convenienza amministrativa, o a regole tecniche di varia natura, relazione che non richiede un controllo di tipo strutturale, tale da configurare una significativa ingerenza nella vita dell’ente.
Appare evidente, dunque, come l’elemento fondante dell’organismo di diritto pubblico sia appunto quello, riconducibile alla rilevanza degli interessi generali perseguiti, in rapporto ai quali non può venire meno una funzione amministrativa di controllo, anche qualora la gestione fosse produttiva di utili (come dimostra il carattere espressamente disgiunto dei requisiti, di cui al precedente punto “c”): è propria dell’Amministrazione, infatti, la cura concreta di interessi della collettività, che lo Stato ritiene corrispondenti a servizi da rendere ai cittadini e che pertanto, ove affidati a soggetti esterni all’apparato amministrativo vero e proprio, debbono comunque rispondere a corretti parametri gestionali, anche sul piano dell’imparzialità e del buon andamento (Cons. Stato, sez. VI, 31 ottobre 2017, n. 5026).

In tal senso, peraltro, si è espressa l’ANAC, con delibera n. 372 del 26.3.2016, affermando, con riferimento alle federazioni sportive, che “nel caso di specie sembra potersi affermare la sussistenza di un controllo pubblico sulla gestione. Infatti, le Federazioni, sebbene dotate di autonomia tecnica, organizzativa e di gestione, sono soggette alla vigilanza e ai controlli del CONI (ente pubblico non economico) sia in fase di costituzione – attraverso il riconoscimento ai fini sportivi (condizione, questa, necessaria, per l’ottenimento della personalità giuridica di diritto privato) – sia nel corso di tutta la loro attività”.
L’ANAC, a conclusione dell’analisi sulla sussistenza delle condizioni per affermare la riconducibilità delle federazioni sportive alla nozione di organismo di diritto pubblico, ha quindi optato per la soluzione positiva.

Né può rilevare, in senso contrario, la circostanza della non ricomprensione della FIGC nell’elenco delle amministrazioni pubbliche redatto dall’Istat – che annovera quasi tutte le altre Federazioni sportive -, in ossequio alla normativa comunitaria, recante il Sistema Europeo dei conti nazionali e regionali (Reg. n. 223/96 – SEC 95 e Reg. n. 549/2013 – SEC 2010 – entrato in vigore il primo settembre 2014), introdotto al fine di disporre di conti economici omogenei e comparabili sulla base di principi unici e non diversamente interpretabili (cfr. n. 14 dei considerata del Reg. n. 549/2013).
Nel settore della Pubblica amministrazione il SEC95 (prg. 2.69) riconosce la qualifica di “unità istituzionale”: a) agli “organismi pubblici”, che gestiscono e finanziano un insieme di attività principalmente consistenti nel fornire alla collettività beni e servizi non destinabili alla vendita; b) alle “istituzioni senza scopo di lucro” dotate di personalità giuridica che, come i primi, agiscono da produttori di beni e servizi non destinabili alla vendita, ma per esse alla duplice condizione che “siano controllate e finanziate in prevalenza da Amministrazione pubbliche”, sì da incidere in modo significativo sul disavanzo e sul debito pubblico, situazione quest’ultima ritenuta ricorrente nel caso in cui i ricavi per proprie prestazioni di servizi, in condizioni di mercato, non riescono a coprire una quota superiore al 50% dei costi di produzione.
Giova evidenziare che, a fronte del ricorso proposto dalla FIGC avverso l’inclusione nell’elenco, questo Tribunale ha analizzato i presupposti richiesti dal SEC95 per l’inserimento dell’ente nell’elenco ISTAT, vale a dire la sua soggezione al controllo di un’Amministrazione pubblica e l’insufficienza delle sue entrate a coprire in misura superiore al 50% la spesa complessiva sopportata per lo svolgimento della sua attività istituzionale, con conseguente necessità di un continuo e sostanzioso contributo pubblico per ottenere il pareggio di bilancio (Tar Lazio, sentenza n. 6201/2011).
Muovendo dal presupposto che ciò che il SEC95 richiede, perché possa ritenersi che un’Amministrazione pubblica esercita il controllo su un’unità istituzionale, è che essa sia in grado di “influenzarne la gestione, indipendentemente dalla supervisione generale esercitata su tutte le unità analoghe”, il Tar ha escluso che i controlli esercitati dal CONI sulla FIGC presentassero tale valenza; rilevando poi che la ricorrente aveva dimostrato l’assenza del secondo requisito afferente al finanziamento pubblico maggioritario, il Tar ha ritenuto insussistenti le condizioni richieste per l’inclusione nell’elenco Istat.
La soluzione di tale questione, tuttavia, è ancorata, come visto, a presupposti eterogenei – corrispondenti alle diversa finalità prese di mira con l’istituzione del citato elenco – e non sovrapponibili a quelli individuati per la ravvisabilità dell’organismo di diritto pubblico, di tal che deve escludersi che le due qualificazioni debbano necessariamente concorrere.
Occorre poi rilevare, a fronte dell’eccezione sollevata dalla Federazione, che, ai fini della qualificazione come organismo di diritto pubblico, il soddisfacimento di bisogni di interesse generale privi di natura commerciale o industriale non deve necessariamente rivestire carattere esclusivo, essendo sufficiente che una parte dell’attività dell’ente presenti tale qualità, ben potendo l’ente medesimo perseguire al contempo interessi di carattere commerciale e industriale (Corte giustizia UE, sez. IV, 5 ottobre 2017, n. 567).
Per completezza deve comunque evidenziarsi che, anche a prescindere dalla riconducibilità delle federazioni alla figura dell’organismo di diritto pubblico, la giurisprudenza ha comunque affermato, in casi analoghi, la sussistenza della giurisdizione amministrativa e la sottoposizione dell’attività contrattuale delle federazioni sportive alle regole di evidenza pubblica: è stato ritenuto, in particolare, che “la licitazione privata con cui la Figc sceglie il contraente di un contratto atipico di sponsorizzazione della squadra nazionale di calcio non costituisce una fase della c.d. vita interna della Federazione ma rappresenta il momento in cui questa, come organo del Coni, disciplina interessi fondamentali, strettamente connessi con l’attività sportiva” (Cons. St., sez. VI, 10.10.2002, n. 5442); nel medesimo senso Cons. Stato, sez. VI, 10.9.2007, n. 4743, secondo cui “l’attività posta in essere da una federazione sportiva volta alla individuazione e scelta del contraente per un contratto avente ad oggetto l’assicurazione, a favore di tutti i tesserati, per la responsabilità civile e gli infortuni personali derivanti dallo svolgimento di un’attività sportiva, non costituisce una fase della c.d. vita interna della Federazione stessa, ma rappresenta il momento in cui questa, quale organo del C.O.N.I., provvede alla tutela dei suoi iscritti per i rischi ai quali questi sono esposti nell’esercizio dell’attività sportiva. …. In quanto finalizzata alla realizzazione di interessi fondamentali ed istituzionali dell’attività sportiva, la Federazione agisce, dunque, quale organo del C.O.N.I., ponendo in essere atti amministrativi (e non meramente privatistici), con la conseguenza che la giurisdizione sull’eventuale controversia nascente da tale situazione deve essere riconosciuta al Giudice Amministrativo”.

Ad analoga conclusione dovrebbe pervenirsi quindi, come dedotto dalla ricorrente, nel caso di specie, anche laddove si volesse aderire alla tesi secondo cui le Federazioni sportive sarebbero assoggettate alle regole di evidenza pubblica sancite dal Codice soltanto ove svolgano attività a valenza pubblicistica, mantenendo, in tutti gli altri casi, la propria natura di associazioni di diritto privato.
Il contratto in esame ha infatti ad oggetto servizi di trasporto e facchinaggio da svolgersi, oltre che presso le sedi federali di Roma, in occasione delle trasferte delle Squadre Nazionali, in Italia e all’estero.
L’art. 1 del Capitolato tecnico prevede che “L’affidamento … ha ad oggetto i servizi di trasporto e facchinaggio. Tali servizi dovranno essere effettuati secondo le esigenze della Committente … presso le sedi federali di Roma … e, inoltre, in occasione delle trasferte delle Squadre Nazionali, in Italia e all’estero”; il successivo art. 3 specifica che “I servizi effettuati presso le sedi federali di Roma riguardano prestazioni di piccola e media entità …; i servizi svolti in occasione delle trasferte delle Squadre Nazionali sono generalmente di media entità e più articolati e, in caso di partecipazione a Campionati Europei e/o Mondiali, potrebbero richiedere prestazioni complesse. [….] L’80% dei servizi richiesti riguarda le trasferte delle Squadre Nazionali e nell’ambito di tali servizi il 70% genera movimentazione su tutto il territorio nazionale”.
Il Capitolato evidenzia quindi che le attività dedotte in contratto, al pari di quelle oggetto dei precedenti citati, e a differenza di quelle prese in esame dalla sentenza di questa Sezione n. 3372/2017, relative al servizio di pulizia delle sedi della Federazione, non attengono unicamente alla vicende della vita interna dell’ente ma sono anche strumentalmente connesse alle funzioni pubblicistiche alla stessa rimesse e, pertanto, finalizzate a soddisfare le esigenze di interesse generale, quali la partecipazione delle squadre nazionali ai campionati europei e mondiali, per il cui perseguimento, pertanto, la Federazione opera esercitando le sue prerogative pubblicistiche svolgendo attività amministrativa.

Se ne deve concludere che lo svolgimento della gara, nel caso di specie, doveva seguire le modalità procedurali previste dal d.lgs. n. 50 del 2016, essendo la Federazione tenuta all’osservanza di dette disposizioni nelle procedure selettive bandite, con conseguente sussistenza della giurisdizione amministrativa sulla controversia concernente l’annullamento degli atti della gara in oggetto.
Tale conclusione è conforme, del resto, ai principi affermati dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, secondo la quale, in ossequio ad esigenze di certezza del diritto, nonché alla ratio di estendere, nei casi dubbi, le ipotesi di assoggettabilità alle regole dell’evidenza pubblica in relazione alle figure organizzative che sono comunque riconducibili all’ambito pubblicistico, una volta acclarato lo status di organismo di diritto pubblico di un determinato soggetto, quest’ultimo è sempre e comunque tenuto all’osservanza delle regole di evidenza pubblica e ciò non soltanto in relazione alle attività volte al soddisfacimento di “esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale”, ma anche con riferimento alle ulteriori attività propriamente commerciali e industriali (cfr. Corte Giustizia CE, 15 gennaio 1998, C-44/96, Mannesmann).

Fondazione – Organismo di diritto pubblico – Presupposti – Applicazione Codice dei contratti (art. 3 d.lgs. n 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. V, 12.02.2018 n. 858

La Fondazione teatrale può ritenersi avente natura di organismo di diritto pubblico allorquando in possesso dei seguenti requisiti di matrice comunitaria:
a) il requisito personalistico, trattandosi di soggetto dotato di personalità giuridica di diritto privato;
b) il requisito dell’influenza dominante del soggetto pubblico, trattandosi di ente finanziato dagli enti pubblici locali e dotato di organo direzionale a designazione pubblica maggioritaria;
c) il requisito teleologico, perché destinato a perseguire interessi che corrispondono a quelli generali (cfr. per analogo caso, Cass., SS.UU., 8 febbraio 2006, n. 2637).
Ne consegue che lo svolgimento della gara secondo le modalità procedurali del Codice dei contratti non è solo frutto di una scelta volontaria della Stazione appaltante, essendo quest’ultima invece tenuta all’osservanza di dette disposizioni nelle procedure selettive bandite.

Società il cui capitale è detenuto da un’amministrazione aggiudicatrice – Nozione – Organismo di diritto pubblico (art. 3 d.lgs. n 50/2016)

Corte Giustizia Unione Europea, 05.10.2017 (C567/15)

L’articolo 1, paragrafo 9, secondo comma, della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, come modificata dal regolamento (UE) n. 1251/2011 della Commissione, del 30 novembre 2011, deve essere interpretato nel senso che una società che, da un lato, è detenuta interamente da un’amministrazione aggiudicatrice la cui attività consiste nel soddisfare esigenze di interesse generale e che, dall’altro, effettua sia operazioni per tale amministrazione aggiudicatrice sia operazioni sul mercato concorrenziale, deve essere qualificata come «organismo di diritto pubblico» ai sensi di tale disposizione, purché le attività di tale società siano necessarie affinché detta amministrazione aggiudicatrice possa esercitare la sua attività e, al fine di soddisfare esigenze di interesse generale, tale società si lasci guidare da considerazioni diverse da quelle economiche, circostanze che spetta al giudice del rinvio verificare. Non incide, a tale riguardo, il fatto che il valore delle operazioni interne possa in futuro rappresentare meno del 90%, o una parte non essenziale, del fatturato totale della società.

Organismo di diritto pubblico – Qualificazione – Requisiti – Conseguenze in punto di giurisdizione (Art. 3, d.lgs. n. 163/2006 – Art. 3, d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. V, 26.07.2016 n. 3345

Ai sensi dell’art. 3, comma 26, del D. Lgs. 12/4/2006 n. 163:
“L’«organismo di diritto pubblico» è qualsiasi organismo, anche in forma societaria:
– istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale;
– dotato di personalità giuridica;
– la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico”.
Orbene, la A. s.p.a. è dotata di personalità giuridica, è partecipata in modo maggioritario da soggetti pubblici ed è stata istituita per soddisfare specificatamente anche esigenze di interesse generale, ma non persegue i propri obiettivi con “carattere non industriale o commerciale”, difettando, così, del c.d. requisito “teleologico”.
Difatti, non è sufficiente ad integrare il suddetto requisito che il soggetto sia “istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale”, ma occorre, anche, che tali esigenze siano perseguite operando con metodo non economico, ovvero senza rischio d’impresa (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 30/1/2013 n. 570).
(…)
La circostanza che la A. S.p.a. abbia autonomamente deciso di affidare il servizio di che trattasi uniformandosi alla disciplina pubblicistica dettata dal codice dei contratti pubblici non ha carattere dirimente in ordine alla sussistenza della giurisdizione, che, evidentemente, va individuata in base a criteri legali e non può dipendere dalle scelte di una delle parti, pena altrimenti la violazione del principio del giudice naturale di cui all’art. 25, comma 1, Cost. (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23/6/2016, n. 2809).