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Divieto di rinnovo tacito dei contratti per servizi e forniture

Consiglio di Stato, sez. V, 16.02.2023 n. 1626

L’art. 6 della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (come sostituito dall’art. 44 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 ed il comma 2 è stato modificato dall’art. 23 della legge 18 aprile 2005, n. 62, poi abrogato dall’art. 256 del d.lgs. n. 163 del 2006), nel vietare il rinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, comminandone la nullità, e nel consentire (fino alla modificazione introdotta dalla citata legge n. 62 del 2005) la rinnovazione espressa in presenza di ragioni di pubblico interesse (comma 2) dispone che “E’ vietato il rinnovo tacito dei contratti per la fornitura di beni e servizi, ivi compresi quelli affidati in concessione a soggetti iscritti in appositi albi. I contratti stipulati in violazione del predetto divieto sono nulli”. In ordine al divieto di rinnovo tacito, si è precisato che tale divieto non è stato introdotto per la prima volta dall’art. 44 della legge n. 724 del 1994, “ma era già previsto dalla disposizione di cui all’art. 6 della l. n. 537/1993 che altrettanto disponeva espressamente il ‘divieto del rinnovo tacito dei contratti con le P.A. per la fornitura di beni e servizi “(Cons. Stato, sez. V, 2 ottobre 2002, n. 5116).
Lo scopo della norma è evidentemente quello di tutelare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni o servizi da parte degli appaltatori delle amministrazioni pubbliche non subiscano col tempo una diminuzione qualitativa a causa degli aumenti dei prezzi dei fattori della produzione, incidenti sulla percentuale di utile considerata in sede di formulazione dell’offerta, con conseguente incapacità del fornitore di far fronte compiutamente alle stesse prestazioni: è stato, pertanto, ad essa riconosciuta natura di norma imperativa alla quale si applicano gli artt. 1339 (inserzione automatica di clausole) e 1419 (nullità parziale) del codice civile (Cons. Stato, sez. V, 2 novembre 2009, n. 6709; Cons. Stato, sez. III, 1 febbraio 2012, n. 504; Cons. Stato, sez. V, 22 dicembre 2014, n. 6275; Cons. Stato, sez. V, 21 luglio 2015, n. 3594).
La disposizione è stata ritenuta espressiva di un precetto di portata generale in base al quale il rinnovo dei contratti pubblici scaduti deve essere considerato alla stregua di un contratto originario, necessitante della sottoposizione ai canoni dell’evidenza pubblica, atteso che la procrastinazione meccanica del termine originario di durata del contratto ha l’effetto di sottrarre, in maniera intollerabilmente lunga, un bene economicamente contenibile alle dinamiche fisiologiche del mercato.
Sul punto, questo Consiglio di Stato (sez. IV, sent. n. 6458 del 31 ottobre 2006) ha affermato che l’eliminazione della possibilità di provvedere al rinnovo dei contratti scaduti “ha valenza generale e portata preclusiva di opzioni ermeneutiche ed applicative di altre disposizioni dell’ordinamento che si risolvono, di fatto, nell’elusione del divieto di rinnovazione dei contratti pubblici”.
Non convince lo sforzo ermeneutico delle appellanti finalizzato a sostenere che la proroga sarebbe intervenuta per evitare l’interruzione del servizio e i danni all’utenza, tenuto conto che, come risulta dalle emergenze processuali, gli impugnati provvedimenti hanno consentito alla -OMISSIS- fino al 2016, senza il previo espletamento di alcuna procedura ad evidenza pubblica, la gestione esclusiva di tutte le strutture di approdo destinate al servizio di trasporto pubblico nella laguna veneta, con assegnazione ad un unico operatore. Come è noto, secondo la giurisprudenza prevalente, nel vigente quadro ordinamentale, è consentita solo la ‘proroga tecnica’, l’unica ammessa in materia di pubblici contratti, avente ‘carattere eccezionale’ (ex multis Cons. Stato, sez. III, 3 aprile 2017, n. 1521; Cons. Stato, sez. V, 17 gennaio 2018, n. 274), la quale deve essere fondata su ‘oggettivi e insuperabili ritardi nella conclusione della nuova gara non imputabili alla stazione appaltante’ (Cons. Stato, sez. V, 29 maggio 2019, n. 3588).
Il fondamento del divieto del rinnovo tacito si ricollega ad una molteplicità di esigenze: da un lato la norma tende anzitutto a conferire effettività al principio generale della concorrenza e della gara formale ad evidenza pubblica, quale canone fondamentale dell’attività contrattuale della P.A., contribuendo in tal modo alla dinamicità e trasparenza del mercato; dall’altro, si consente all’amministrazione di assumere obbligazioni di pagamento di somme di denaro unicamente con l’adozione di un provvedimento formale di impegno, previo il positivo riscontro delle relative disponibilità.

Il principio di immodificabilità del contratto non ha carattere assoluto (art. 106 d.lgs. n. 50/2016)

TAR Firenze, 25.02.2022 n. 228

Il principio di immodificabilità del contratto non ha carattere assoluto.
Corte di Giustizia UE, sez. VIII, nella sentenza del 7 settembre 2016, in C. 549-14, ha chiarito che il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza che ne derivano ostano a che, dopo l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’amministrazione aggiudicatrice e l’aggiudicatario apportino alle disposizioni di tale appalto modifiche tali che tali disposizioni presentino caratteristiche sostanzialmente diverse da quelle dell’appalto iniziale.
Ciò avviene, ha stabilito la Corte, solo quando le modifiche previste hanno l’effetto: a) di estendere l’appalto, in modo considerevole, ad elementi non previsti; b) di alterare l’equilibrio economico contrattuale in favore dell’aggiudicatario; c) di rimettere in discussione l’aggiudicazione dell’appalto, nel senso che, «se esse fossero state previste nei documenti disciplinanti la procedura di aggiudicazione originaria, sarebbe stata accolta un’altra offerta oppure avrebbero potuto essere ammessi offerenti diversi.
I principi affermato dalla Corte di Giustizia hanno trovato attuazione nelle direttive e poi nella disciplina interna prevista dal codice dei contratti pubblici il quale, in particolare, all’art. 106 ha fra l’altro esemplificato quelle che sono le modifiche sostanziali incompatibili con la trasparenza e la par condicio e ammesso in via generale quelle modifiche il cui valore resti al di sotto del 10% salvo che alterino la natura complessiva del contratto.
E’ noto poi che la disciplina delle concessioni prevede una elasticità ancora maggiore in tema di rinegoziazione delle condizioni contrattuali.
Il fatto che la concessione determini il trasferimento in capo al concessionario del rischio operativo non vale a connotarne la causa come aleatoria (Consiglio di Stato sez. IV – 19/08/2016, n. 3653); operano quindi anche in riferimento a tale tipologia contrattuale i rimedi volti a ricalibrare il rapporto qualora siano intervenuti fatti obiettivi che alterino in misura significativa l’equilibrio fissato dal piano economico finanziario, fra i quali è espressamente contemplata la revisione del contratto (art. 165 comma 6 D.lgs 50/2016).

Lavori , servizi e forniture supplementari – Nozione – Affidamento al contraente originale – Presupposti (art. 106 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. III, 07.10.2020 n. 5962

Come correttamente ritenuto dal T.A.R., con motivazione che resiste alle censure proposte nelle impugnazioni proposte da tutte e tre le parti, lo strumento [previsto dall’art. 106, comma 1, lett. b) del d. lgs 18 aprile 2016, n. 50] utilizzato nel caso di specie per l’affidamento in questione, assolutamente derogatorio rispetto al principio del confronto concorrenziale e alla regola della gara, è rigidamente perimetrato da una serie di presupposti non riscontrabili nel caso di specie:
In particolare, l’oggetto della modifica dell’originario contratto deve avere riguardo a lavori, servizi o forniture:
– “supplementari” rispetto all’iniziale oggetto negoziale;
– “resisi necessari” (dunque, per necessità insorta successivamente all’originaria aggiudicazione);
– non ricompresi nell’appalto iniziale.
Inoltre, in aggiunta alle superiori condizioni, la disposizione richiede che la messa a gara comporti, con il possibile cambio di contraente sia il mancato rispetto dei requisiti di intercambiabilità o interoperabilità tra apparecchiature, servizi o impianti esistenti forniti nell’ambito dell’appalto iniziale, ovvero altre difficoltà di tipo economico o tecnico in tal senso; sia notevoli disguidi o una consistente duplicazione dei costi per l’ente aggiudicatore. […]
Invero la nozione di servizi supplementari, dovendo essere interpretata sia in adesione al suo significato letterale che con il rigore imposto dalla deviazione dalle regole concorrenziali che essa (eccezionalmente) importa, ha riguardo non già a prestazioni meramente aggiuntive, bensì a prestazioni ulteriori, funzionalmente connesse a quella originaria, che la integrino in quanto necessarie (per ragioni sopravvenute) ad assicurare quest’ultima: laddove l’estensione controversa ha riguardo a presidi ospedalieri altri ed autonomi rispetto a quello oggetto del contratto aggiudicato mediante gara.
Ciò refluisce anche sulla mancanza dell’ulteriore requisito della documentata esistenza di significative difficoltà di tipo tecnico correlate al cambio di contraente, attesa proprio la diversità degli ambiti ove avrebbe dovuto essere resa la prestazione, e la conseguente autonomia logistica degli stessi in assenza di contrarie risultanze, non acquisite al procedimento né al giudizio.
La citata deliberazione n. 606 del 29 marzo 2018 motiva infatti – mediante rinvio alla richiamata Relazione del 16 marzo 2018 – con riferimento a pretesi “vantaggi di natura tecnica” e all’ “indubbio vantaggio economico” derivanti dall’estensione del contratto, ma non anche in relazione ai “notevoli disguidi” o altre difficoltà di natura tecnica derivanti dal rispetto delle regole concorrenziali e di evidenza pubblica: la disposizione primaria che consente la deroga all’obbligo della gara richiede però, rigorosamente, non la generica sussistenza di un vantaggio di tipo tecnico, ma piuttosto la sussistenza di un requisito logicamente simmetrico e speculare, vale a dire la documentata impossibilità di interazione rispetto agli strumenti dell’appalto iniziale. Sul punto va poi conclusivamente precisato che anche la stessa verifica del presupposto normativo costituito dal mancato rispetto dei requisiti di intercambiabilità o interoperabilità tra apparecchiature, servizi o impianti esistenti forniti nell’ambito dell’appalto iniziale, ovvero da altre difficoltà di tipo economico o tecnico causate dal cambio di contraente, deve tener conto del fatto che la disposizione in esame è dettata in relazione ad un’estensione che presuppone l’unitarietà dell’oggetto negoziale, e non – come riscontrato nella fattispecie in esame – l’autonomia logistica delle prestazioni aggiunte rispetto a quelle originariamente pattuite.
Sotto tale profilo le esigenze di connessione operativa enfatizzate dalla deliberazione n. 606 sono cosa diversa da quelle richieste dal citato art. 106 d. lgs. 50/2016, perché rilevano su un piano di mera opportunità aziendale a fronte di prestazioni analoghe ma distinte, e non su quello della rigorosa ed oggettiva necessità di garantire l’esecuzione di un contratto funzionalmente unitario.

Modifica oggetto degli appalti per adeguamento alle misure anti Covid 19: segnalazione ANAC

Covid-19
Segnalazione Anac a Governo e Parlamento: consentire la modifica dell’oggetto degli appalti per adeguamento alle misure anti-contagio

Inviato al Governo e al Parlamento l’atto di segnalazione numero 7 concernente la disciplina adottata per far fronte all’emergenza sanitaria da Covid-19 e, in particolare, gli effetti delle misure anti-contagio sui contratti pubblici in corso di affidamento.

Con l’atto di segnalazione l’Anac ha suggerito l’opportunità di prevedere, nell’ambito dei provvedimenti in corso di conversione in legge o di ulteriori provvedimenti adottati in conseguenza all’emergenza da Covid-19, l’adozione di specifiche misure volte a consentire – nella fase antecedente l’esecuzione – la modifica dell’oggetto del contratto, in modo da adeguarlo alle misure anti-contagio vigenti.

Atto di segnalazione numero 7 dell’8 luglio 2020

Concernente la disciplina adottata per far fronte all’emergenza sanitaria da Covid-19 e, in particolare, gli effetti delle misure anti-contagio sui contratti pubblici in corso di affidamento.
Approvato dal Consiglio dell’Autorità con delibera n. 598 dell’8 luglio 2020
1. Premessa
L’Autorità Nazionale Anticorruzione (di seguito, ANAC), ai sensi dell’art. 213, co. 3, lettere c) e d), del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (nel seguito “Codice”), ha il potere di segnalare al Governo e al Parlamento, con apposito atto, fenomeni particolarmente gravi di inosservanza o di applicazione distorta della normativa di settore nonché di formulare al Governo proposte in ordine a modifiche occorrenti in relazione alla normativa vigente di settore. Considerate le competenze riconosciute all’Autorità, si intendono di seguito formulare osservazioni in merito alla disciplina adottata per far fronte all’emergenza sanitaria da Covid-19 e, in particolare, agli effetti delle misure anti-contagio sui contratti pubblici in corso diaffidamento. Nello svolgimento delle funzioni istituzionali di vigilanza sul mercato dei contratti pubblici durante il periodo emergenziale, l’Autorità ha ricevuto la segnalazione di alcune criticità conseguenti all’adozione dei Protocolli Anti-contagio sottoscritti dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti il 14 e il 24 marzo 2020, sulle gare, afferenti in particolare al settore dei lavori, in corso di svolgimento. Nello specifico, è stata segnalata l’assenza di uno specifico strumento normativo da utilizzare per apportare modifiche all’oggetto del contratto, al fine del suo adeguamento alle misure anti-contagio, in una fase antecedente all’esecuzione.
2. Osservazioni
L’adeguamento alle misure anti-contagio per le gare in corso di svolgimento comporta una modifica dell’oggetto del contratto che, in alcuni casi, può rivelarsi sostanziale, incidendo sui costi della sicurezza, oltre che sui tempi e sulle modalità di esecuzione della prestazione. Il legislatore dell’emergenza non ha regolato la specifica fattispecie, mentre il codice dei contratti pubblici consente la modifica del contratto soltanto in corso di esecuzione, ai sensi dell’articolo 106. Detta norma prevede, infatti, a determinate condizioni, «le modifiche, nonché le varianti dei contratti di appalto in corso di validità» e, dunque, secondo la puntuale indicazione che si trae dalla rubrica dell’articolo e dal tenore letterale di esso, la «modifica di contratti durante il periodo di efficacia». La disposizione scolpisce dunque in modo netto i propri confini operativi, circoscrivendoli al caso nel quale, conseguita l’aggiudicazione, non solo sia già stato stipulato il contratto, ma questo sia anche efficace e in corso di validità. Ciò a presidio dei principi di concorrenza, parità di trattamento dei concorrenti, segretezza delle offerte, espressione dei principi generali di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.). La fase che precede la stipula del contratto valido ed efficace rimane, invece, presidiata dai principi dell’evidenza pubblica i quali non consentono l’apprezzabile modifica dell’oggetto dell’appalto, se non a prezzo di vulnerare la par condicio tra i concorrenti» (ex multis, Tar Lazio, Roma, 4 maggio 2016, n. 5088), né ammettono la possibilità di riformulare l’offerta che rimane invece connotata dall’immutabilità deicontenuti e dalla tassatività dei termini di presentazione» (TAR Lazio Roma 11732/2017). L’applicazione di tali principi, valevoli in via ordinaria, alla situazione di emergenza in atto comporterebbe la necessità di procedere alla modifica dei bandi di gara, differendo il termine per la presentazione delle offerte, qualora non ancora spirato, oppure richiedendo ai concorrenti la presentazione di una nuova offerta, nel caso di termine scaduto. Ciò anche laddove si sia giunti all’aggiudicazione del contratto senza che lo stesso sia stato sottoscritto. Tali previsioni comporterebbero un notevole aggravio dell’azioneamministrativa con aumento dei costi e dei tempi di aggiudicazione proprio in un momento in cui la principale preoccupazione è quella di consentire una celere ripartenza del settore con la ripresa dei cantieri. La particolarità della situazione richiederebbe, quindi, una specifica soluzione che tenga in considerazione la peculiarità del caso concreto e consenta il contemperamento dei contrapposti interessi coinvolti e, in particolare, l’interesse pubblico al corretto svolgimento delle procedure di aggiudicazione e la necessità di consentire una rapida ripresa dell’economia, scongiurando il rischio di restare ancorati a rigidi formalismi procedurali che paralizzerebbero il settore. A tal fine, potrebbe rivelarsi opportuna l’adozione delle seguenti soluzioni, differenziate in base alla fase di svolgimento della procedura di aggiudicazione.
1. Nel caso in cui sia in corso la fase di progettazione o la stessa debba essere avviata: la progettazione può essere aggiornata alla situazione emergenziale in atto. A tale proposito, per far fronte all’eventuale mutamento delle condizioni derivanti dal superamento dell’emergenza, potrebbe essere prevista l’introduzione di una clausola analoga a quella prevista all’articolo 106, comma 1, lettera a), del codice dei contratti pubblici, al fine di rivedere l’importo da corrispondere all’aggiudicatario dei servizi di progettazione.
2. Per le procedure di gara da bandire sulla base di un progetto validato e per le procedure di gara per le quali è stato pubblicato il bando ed è in corso il termine di presentazione delle offerte: può essere prevista una disciplina analoga a quella prevista all’articolo 106, comma 1, lettera a), del codice dei contratti pubblici mediante apposite integrazioni dei documenti di gara e conseguenti attività di pubblicità.
3. Per le procedure di gara per le quali è stata già presentata l’offerta ed è stata avviata la fase di valutazione e per le procedure di gara per le quali è stata predisposta l’aggiudicazione con contrattostipulato o da stipulare: si può prevedere l’estensione dell’applicazione dell’articolo 106, comma 1, lettera c), del codice dei contratti pubblici o in alternativa della previsione di cui all’articolo 106, comma 2, nei limiti indicati dal medesimo articolo.La soluzione proposta, che fa riferimento prevalentemente alle procedure inerenti i lavori ma è estensibile a tutte le procedure di affidamento che presentano la problematica delle misure anti-contagio, non sembra pregiudicare i principi di concorrenza, trasparenza e parità di trattamento, atteso che la situazione da cui origina è oggettiva, nota e generalizzata e considerato che la relativa applicazione è limitata sia riguardo ai casi (le sole procedure che si trovano nella fase ricompresa tra la progettazione e la stipula del contratto) che riguardo ai tempi. In considerazione di tutto quanto sopra esposto
3. L’Autorità segnala
l’opportunità di prevedere, nell’ambito dei provvedimenti in corso di conversione in legge o di ulteriori provvedimenti adottati in conseguenza all’emergenza da Covid-19, l’adozione di specifiche misure volte a consentire la modifica dell’oggetto del contratto, nella fase antecedente all’esecuzione, ai fini del relativo adeguamento alle misure anti-contagio vigenti.
 

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    Quinto d’obbligo – Presuppone che l’esigenza di aumento o diminuzione delle prestazioni emerga in corso di esecuzione – Non è utilizzabile prima della stipulazione del contratto (art. 106 d.lgs. n. 50/2016)

    Consiglio di Stato, sez. V, 25.02.2020 n. 1394

    Privi di pregio sono gli argomenti di -Omissis- fondati sulle norme degli art. 106, comma 12, 106, comma 1 lett. e) e 63 del d.lgs. n. 50 del 2016: la fattispecie disciplinata dalla prima non ricorre in caso di estensione al di sopra del c.d. quinto d’obbligo (come nel caso di specie) e comunque (…) la norma – pur se ritenuta applicabile in caso di errore della stazione appaltante, non quindi necessariamente in caso di sopravvenienze straordinarie e imprevedibili – presuppone sempre che l’esigenza di aumento o di diminuzione delle prestazioni contrattuali emerga “in corso di esecuzione”, non essendo consentita una previsione di modifica ex art. 106, comma 12, a monte della stipulazione del contratto, quando cioè vi sia un vizio genetico e noto della legge di gara che renda certa l’inadeguatezza delle prestazioni contrattuali cui parametrare le offerte, come nel caso di specie; a sua volta, invece, l’art. 106, comma 1, lett. e), consente la previsione di modifiche in estensione già nei documenti di gara, ma solo se si tratti di modifiche non essenziali ai sensi di tale norma e del richiamato comma 4 dell’art. 106, e non sono tali le modifiche che, come nel caso di specie, alterano l’equilibrio economico del contratto a favore dell’aggiudicatario in modo non previsto nel contratto iniziale; infine, è vero che la legge di gara prevedeva, per l’affidamento de quo, l’applicazione dell’art. 63, ma soltanto per l’eventuale ripetizione dei servizi analoghi e per l’eventuale proroga, vale a dire per le ipotesi consentite dalla norma di legge, di stretta interpretazione (cfr. Cons. Stato, III, 26 aprile 2019, n. 2687) cui è estranea la fattispecie delle modifiche in estensione, alla quale va ascritta quella che comporta l’aumento delle prestazioni oggetto del contratto a base di gara;

    Obblighi di comunicazione, pubblicità e controllo delle modificazioni del contratto: atto di segnalazione ANAC

    Atto  di segnalazione n. 4 del 13.02.2019 (formato .pdf)

    Concernente  gli obblighi di comunicazione, pubblicità e controllo delle modificazioni del contratto ai sensi dell’art. 106 del d.lgs. 18.04.2016 n. 50.

    Approvato dal Consiglio dell’Autorità con delibera n. 112 del 13.02.2019

    1. Premessa

    Nell’esercizio  del potere di segnalazione di cui all’art. 213, comma 3, lett. d), del decreto  legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (di seguito, “Codice”) l’Autorità  Nazionale Anticorruzione (ANAC) intende formulare alcune proposte di modifica normativa, con particolare riferimento agli obblighi di comunicazione delle modifiche al contratto in  corso di efficacia e al relativo regime sanzionatorio in caso di inadempimento,  come disciplinati dal comma 8 e 14 dell’art. 106 del Codice.

     

    1. Il quadro normativo di riferimento

    Il comma  1 dell’art. 106, in linea con quanto disposto dall’art. 72 della direttiva europea n. 24/2014 e riprendendone quasi pedissequamente la formulazione letterale, disciplina le ipotesi di modifica del contratto in corso di  esecuzione che non necessitano di una nuova procedura di affidamento, distinguendo le seguenti 5 fattispecie:

    1. modifiche  contrattuali a prescindere dal valore monetario previste nei documenti di gara  iniziali;
    2. lavori,  servizi e forniture supplementari;
    3. varianti  in corso d’opera propriamente dette, riferite a modificazioni resesi necessarie  a seguito di circostanze impreviste e imprevedibili che non alterino la natura  del contratto;
    4. sostituzione  dell’aggiudicatario originario con un nuovo contraente, qualora ricorrano  determinate circostanze (ad esempio, caso di morte o ristrutturazioni  societarie);
    5. modifiche  non sostanziali.

    Per le  modifiche di cui alle lett. b) e c) il legislatore ha fissato quale limite di  aumento del prezzo il 50% del valore iniziale.

    Il comma  2 contempla una ulteriore modifica del contratto in termini esclusivamente di  importo. È infatti consentita la modifica del contratto (con la sola condizione  che non modifichi la natura dello stesso) qualora la variazione sia contenuta  nei limiti di valore della soglia di rilevanza comunitaria e del 10% del valore  iniziale del contratto per i servizi e le forniture ovvero del 15% per i  lavori. Nell’ambito delle stesse modifiche rientrano anche quelle per errore  progettuale, nel rispetto dei medesimi limiti d’importo.

    I commi  8 e 14 invece, in adempimento ai principi espressi dalla legge delega1,  disciplinano il regime di pubblicità e di controllo delle modifiche  contrattuali da parte dell’ANAC, stabilendo modalità di comunicazione diverse e  un diverso regime sanzionatorio in caso di inadempimento dei relativi obblighi.

    In  particolare, il comma 8 prevede che la stazione appaltante comunichi all’ANAC  le modificazioni al contratto di cui al comma 1, lettera b) (lavori, servizi e  forniture supplementari) e al comma 2 (modificazioni contrattuali de minimis ed errori progettuali). In  caso di mancata o tardiva comunicazione è prevista l’irrogazione da parte  dell’Autorità di una sanzione amministrativa carico della stazione appaltante  di importo compreso tra 50 e 200 euro per giorno di ritardo; la norma  prescrive, inoltre, che l’Autorità pubblichi sulla sezione del sito  Amministrazione Trasparente l’elenco delle modificazioni contrattuali  comunicate, indicando l’opera, l’amministrazione o l’ente aggiudicatore,  l’aggiudicatario, il progettista, il valore della modifica.

    Il comma  14 disciplina invece la comunicazione delle c.d. “varianti in corso d’opera”  (quelle di cui al comma 1, lett. c), prevedendo anche in questo caso modalità  distinte di comunicazione secondo l’importo della variante e il valore del  contratto (sotto o sopra soglia). In particolare, per le varianti relative ad  appalti e concessioni di importo inferiore alla soglia comunitaria e quelle di  importo inferiore o pari al 10% dell’importo dell’originario affidamento  relative agli appalti pari o superiori alla soglia comunitaria (prima periodo)  è prevista la comunicazione da parte del RUP all’Osservatorio tramite le  sezioni regionali.

    Mentre  per i contratti pubblici di importo pari o superiore alla soglia comunitaria  (secondo periodo) è previsto che le varianti eccedenti il 10% dell’importo  originario del contratto, incluse le varianti in corso d’opera riferite alle  infrastrutture prioritarie, siano trasmesse dal RUP all’ANAC, unitamente a una  serie di documenti.

    Quest’ultima  disposizione riproduce il contenuto dell’abrogato art. 37 del d.l. 90/2014, introdotto dal legislatore in funzione deterrente e  allo scopo di attivare un sollecito intervento di vigilanza dell’Autorità, al  fine di arginare il fenomeno della lievitazione del costo delle opere  pubbliche. La norma trovava  infatti inizialmente applicazione solo per i lavori e non anche per i servizi e  le forniture come ora previsto dal nuovo Codice.

    Il comma  14 stabilisce che nel caso in cui l’ANAC accerti l’illegittimità della variante  in corso d’opera, essa esercita i poteri di cui all’art. 213, mentre, in caso  di inadempimento agli obblighi di comunicazione e di trasmissione delle  varianti, si applicano le sanzioni amministrative pecuniarie di cui all’art.  213, comma 13.

    Infine,  il comma 5 prevede un particolare regime di pubblicità per le modifiche di cui  al comma 1, lett. b) (lavori e servizi e forniture supplementari) e lett. c)  (modifiche resesi necessarie per eventi imprevisti e imprevedibili), imponendo  l’obbligo della pubblicazione di un avviso in Gazzetta Ufficiale europea o  nazionale, secondo il valore del contratto sopra o sotto soglia comunitaria.

     

    1. Motivi della segnalazione e proposte di  modifica normativa

    Dall’insieme  delle disposizioni sopra descritte emerge un quadro normativo estremamente  disomogeneo e in parte ambiguo che potrebbe incidere sull’efficacia della  norma.

    L’art.  106 infatti, nel disciplinare gli obblighi di comunicazione all’ANAC delle  modifiche contrattuali, contempla diverse finalità: trasparenza, pubblicità e  controllo, ma i diversificati adempimenti previsti in ragione delle diverse  tipologie di modifica del contratto appaiono non del tutto adeguati e  proporzionati allo scopo e possono dunque rappresentare un onere eccessivo e  ingiustificato per le stazioni appaltanti.

    Si nota,  inoltre, un disallineamento tra le puntuali disposizioni dell’art. 106 in  merito alle modalità di comunicazione all’ANAC delle variazioni contrattuali e  al regime sanzionatorio in caso di inadempimento, con quanto previsto, in  generale, dall’art. 213 (commi 8, 9 e 13) sul funzionamento della banca dati  sui contratti pubblici e sul ruolo dell’Autorità nell’attività di raccolta dei  dati e delle informazioni rilevanti, mentre, per altri aspetti, il richiamo dell’art.  106 al medesimo art. 213 per l’ipotesi di variante in corso d’opera illegittima  fa sorgere dubbi interpretativi in ordine all’effettivo regime sanzionatorio da  applicare.

    La  presente segnalazione muove dunque dall’intento di semplificazione e di  razionalizzazione del suddetto quadro normativo, allo scopo di ridurre gli  oneri informativi a carico delle stazioni appaltanti assicurando, al contempo,  l’acquisizione dei dati e delle informazioni necessarie a svolgere una efficace  attività di vigilanza sul corretto utilizzo delle varianti e degli strumenti di  modifica del contratto in corso di esecuzione, in conformità al principio di  economicità efficacia e trasparenza.

     

    Il  regime di trasparenza  

    Prendendo  in esame la prima delle criticità rilevate, si evidenzia che il comma 8  dell’art. 106 prevede un regime di trasparenza per le modifiche relative ai  lavori, servizi e forniture supplementari e per le modifiche consentite entro  determinati limiti quantitativi fissati dal comma 2, comprese quelle derivanti  da errori progettuali, mediante la comunicazione e successiva pubblicazione  sulla sezione del sito Amministrazione Trasparente dell’ANAC. Lo stesso regime  di trasparenza, invece, non è previsto per le varianti in corso d’opera  propriamente dette.

    Al  riguardo, se è certamente condivisibile l’esigenza di rendere pubblici e  conoscibili a chiunque vi abbia interesse le variazioni del contratto rispetto  alle iniziali previsioni progettuali, tale interesse dovrebbe riconoscersi per  tutte le tipologie di modifica, non solo, quindi, quelle di cui al comma 1,  lett. b), e al comma 2, ma anche quelle di cui al comma 1, lett. c), e al comma  14, ovvero per le varianti in corso d’opera propriamente dette, tanto più che  quest’ultime sono in grado di incidere maggiormente sul costo iniziale del  contratto; ragione per cui è anche previsto un particolare regime di vigilanza  da parte dell’ANAC, oltre che un regime di pubblicità legale, ai sensi del  comma 5 del medesimo articolo che, come sopra riportato, ne impone l’obbligo  della pubblicazione di un avviso in Gazzetta Ufficiale europea o nazionale,  secondo il valore del contratto sopra o sotto soglia comunitaria.

    Si  propone, pertanto, di estendere il regime di trasparenza anche alle modifiche  contrattuali di cui al comma 1, lettera c), ovvero alle varianti in corso  d’opera propriamente dette.

    Per  quanto riguarda, invece, le modalità di pubblicazione previste dalla norma, non  può non evidenziarsi che l’indicazione della sezione Amministrazione  Trasparente del sito istituzionale dell’ANAC appaia impropria e fuorviante per gli stessi stakeholders, considerato  che le informazioni in questione si riferiscono all’attività di altre amministrazioni e non all’attività propria  dell’Autorità.

    Al  riguardo, si propone di eliminare dalla norma il riferimento alla sezione  Amministrazione Trasparente e di indicare, come sede di pubblicazione, una specifica  sezione del sito istituzionale dell’ANAC, liberamente consultabile da tutti i  cittadini, in cui saranno rese disponibili oltre a tutte le altre informazioni  sui contratti, anche quelle relative alle modifiche di cui all’art. 106.

    Tale modalità  di pubblicazione, in alternativa a quella prevista dall’attuale comma 8 dell’art.  106, si ritiene sicuramente più funzionale alla trasparenza nel senso voluto  dal legislatore, poiché consentirebbe, rispetto alla statica pubblicazione  degli elenchi previsti dall’attuale formulazione della norma, la pubblicazione  integrata di tutte le informazioni relative ad uno stesso contratto, ivi  comprese quelle relative alle modificazioni contrattuali, consentendo di  effettuare ricerche sulla base di criteri predefiniti, rendendo così più  agevole, per i cittadini, il controllo sul costo effettivo del singolo appalto  e sul corretto operato delle amministrazioni pubbliche nella fase esecutiva dei  contratti.

     

    Modalità  di comunicazione e di trasmissione dei dati e dei documenti relativi alle  modifiche contrattuali all’ANAC

    Strettamente  connesso al tema della pubblicazione è quello della trasmissione all’Autorità dei  dati informativi relativi alle modifiche contrattuali.

    Al  riguardo, considerato che molte delle informazioni previste dall’art. 106 del  Codice sono comunque già acquisite all’Osservatorio dei contratti pubblici ai  sensi dell’art. 213, comma 9, considerato altresì che quest’ultimo attribuisce  all’ANAC il compito di definire le modalità di funzionamento dell’Osservatorio  dei contratti pubblici nonché le informazioni obbligatorie, i termini e le  forme di comunicazione che le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori sono  tenuti a trasmettere all’Osservatorio medesimo, si ritiene di interesse  prioritario evitare sovrapposizioni di oneri informativi a carico delle  stazioni appaltanti e omogenizzare il sistema di acquisizione dei dati  informativi alla banca dati nazionale di contratti pubblici (BDNCP).

    A tale  scopo, si suggerisce di sostituire le puntuali indicazioni sulle modalità di  comunicazione dei dati informativi e dei documenti relativi alle modifiche  contrattuali contenute all’interno dell’art. 106 (comma 8 e comma 14) con  l’espresso rinvio al citato art. 213, comma  9, ovvero con la precisazione che “l’Autorità,  con propria deliberazione, individua, ai sensi dell’art. 213, comma 9, le  informazioni rilevanti e le relative modalità di trasmissione delle  informazioni previste dal comma 8 e dal   comma 14 del medesimo art.106”.

    La  modifica della norma nel senso indicato consentirebbe all’Autorità, nell’ambito  delle prerogative che le sono riconosciute in merito alla gestione della BDNCP,  di organizzare al meglio i flussi informativi in un’ottica di completa  digitalizzazione e di gestire l’attività di vigilanza sulle varianti in maniera  più efficiente richiedendo solo la trasmissione dei dati necessari ad elaborare  determinati indici di anomalia. Nella  sostanza, la modifica della norma nel senso proposto porterebbe  all’eliminazione dell’obbligo di invio della documentazione cartacea relativa alle  varianti eccedenti il 10% dell’importo originario del contratto, per i  contratti di importo pari o superiore alla soglia, con evidente effetto di  semplificazione sia per le stazioni appaltanti che per la stessa Autorità  (costretta, tra l’altro, a un’ulteriore attività di raccordo tra quanto  comunicato tramite i sistemi informativi e quanto trasmesso in forma cartacea).

    La  documentazione necessaria ad accertare la legittimità delle varianti verrebbe  pertanto richiesta al momento in cui, sulla base degli indici di anomalia  desunti dalla BDNCP o di altri elementi in possesso dell’Autorità, venga avviata  un’attività di vigilanza, salva la possibilità per l’Autorità, mediante propria  delibera, di mantenere l’invio documentale nelle more dell’aggiornamento dei  sistemi informatici.

    Il  regime sanzionatorio

    Come  sopra esposto, l’art. 106 comma 8 del Codice prevede, per il caso di mancata o  tardiva comunicazione   delle modificazioni del contratto di cui al  comma 1, lettera b) (lavori, servizi e forniture supplementari) e al comma 2  (modificazioni contrattuali de minimis ed errori progettuali) l’irrogazione, da parte dell’Autorità, di una sanzione  amministrativa di importo compreso tra 50 e 200 euro per giorno di ritardo,  mentre, in caso di inadempimento agli obblighi di comunicazione e di  trasmissione delle varianti, il comma 14 richiama la disciplina generale delle  sanzioni amministrative per omesse comunicazioni all’Autorità di cui all’art.  213, comma 13, del Codice.

    A parere  dell’Autorità il diversificato regime sanzionatorio previsto per le  modificazioni del contratto diverse dalle varianti in corso d’opera non appare  supportato da adeguate motivazioni. Si noti, inoltre, che il comma 8 non  determina il massimo edittale della sanzione applicabile e non indica  espressamente il soggetto responsabile delle comunicazioni, diversamente da  quanto previsto dall’art. 213, comma 13, applicabile alle varianti in corso  d’opera.

    La previsione  di una specifica sanzione per il ritardo delle comunicazioni relative ai lavori  servizi e forniture supplementari e alle modificazioni de minimis, inoltre, non appare in linea con le indicazioni  espresse dalla legge delega (cfr. nota 1) la quale, nell’esprimere la necessità di un apposito regime sanzionatorio  per il ritardo delle comunicazioni delle variazioni in corso d’opera, ha fatto  esplicito riferimento agli appalti di importo pari o superiore alla soglia  comunitaria, mentre l’ipotesi sanzionatoria contemplata dal comma 8 dell’art.  106 non fa nessuna distinzione di valore.

    Si  propone pertanto, di eliminare dall’art. 106, comma 8, la sanzione da ritardo e  di sostituire la relativa disposizione con il rinvio alle sanzioni  amministrative pecuniarie di cui all’art. 213, comma 13, come previsto per il  caso di omessa comunicazione delle varianti in corso d’opera.

    I poteri  dell’Autorità in caso di varianti illegittime

    Il comma  14 (penultimo periodo) dell’art.106 prevede che nel caso in cui l’ANAC accerti  l’illegittimità di uva variante in corsa d’opera esercita i poteri di cui  all’art. 213.

    La  suddetta norma, nel disciplinare, in generale, i poteri dell’Autorità in  materia di contratti pubblici, contempla, come sopra rilevato, anche un potere  sanzionatorio. Pertanto, al fine di chiarire che l’eventuale accertamento, da  parte dell’Autorità, di una variante contrattuale illegittima non costituisce  una ulteriore fattispecie sanzionatoria (in aggiunta all’ipotesi di ritardo od  omissione della comunicazione della variante stessa), si suggerisce di integrare  la suddetta disposizione dell’art. 106 con il richiamo ai poteri di cui  all’art. 213, comma 3 (relativi all’attività di vigilanza), e all’art. 211,  commi 1-bis e 1-ter (in meritoal potere di  impugnazione degli atti e provvedimenti relativi a procedure disciplinate dal  Codice ),  introdotti dall’articolo 52-ter,  comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito con modificazioni  dalla legge 21 giugno 2017, n. 96.

    L’art.  1, lett. ee), della legge 28 gennaio 2016, n. 11, prevede l’introduzione di  misure volte a contenere il ricorso a variazioni progettuali in corso d’opera,  distinguendo in modo dettagliato tra variazioni sostanziali e non sostanziali,  in particolare nella fase esecutiva e con specifico riferimento agli insediamenti  produttivi strategici e alle infrastrutture strategiche private di preminente  interesse nazionale di cui al comma 1 dell’articolo 1 della legge 21 dicembre  2001, n. 433 e successive modificazioni. Previsione che ogni variazione in  corso d’opera debba essere adeguatamente motivata e giustificata unicamente da  condizioni impreviste e imprevedibili e, comunque, sia debitamente autorizzata  dal responsabile unico del procedimento, con particolare riguardo all’effetto  sostitutivo dell’approvazione della variazione rispetto a tutte le  autorizzazioni e gli atti di assenso comunque denominati e assicurando sempre  la possibilità, per l’amministrazione committente, di procedere alla  risoluzione del contratto quando le variazioni superino determinate soglie rispetto  all’importo originario, garantendo al contempo la qualità progettuale e la  responsabilità del progettista in caso di errori di progettazione e prevedendo,  altresì, l’applicazione di uno specifico regime sanzionatorio in capo alle  stazioni appaltanti per la mancata o tardiva comunicazione all’ANAC delle  variazioni in corso d’opera per gli appalti di importo pari o superiore alla  soglia comunitaria.

    Esecuzione del contratto – Subentro impresa esecutrice – Autorizzazione – Revoca – Giurisdizione

    TAR Napoli,  14.02.2019 n. 847 

    La domanda di annullamento della revoca dell’autorizzazione al subentro dell’esecutrice di lavori rientra nell’ambito della giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo, secondo quanto disposto dal comma 1 dell’art. 7 c.p.a., costituendo la revoca espressione di un potere amministrativo autoritativo, frutto di una valutazione tipicamente amministrativa.

    Ugualmente rientra nell’ambito della giurisdizione amministrativa la relativa domanda risarcitoria.

    Non sussiste, invece, la giurisdizione amministrativa con riguardo alla richiesta di risarcimento del danno formulata nei confronti dei convenuti funzionari comunali sussistendo la giurisdizione del giudice ordinario, in base a quanto affermato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nel loro ruolo di giudice dei conflitti di giurisdizione ex art. 111, ultimo comma, Cost., a partire dall’ordinanza n. 13659 del 2006, secondo cui “ai fini della risoluzione del problema processuale non rileva stabilire se il F. abbia agito quale organo dell’Università, ovvero, a causa del perseguimento di finalità private, si sia verificata la cd. “frattura” del rapporto organico. Nell’uno, come nell’altro caso, l’azione risarcitoria è proposta nei confronti del funzionario in proprio, e, quindi, nei confronti di un soggetto privato, distinto dall’amministrazione, con la quale, al più, può risultare solidalmente obbligato (art. 28 Cost.). La questione di giurisdizione, infatti, dalla quale esulano le altre sopra accennate, va risolta esclusivamente sulla base dell’art. 103 Cost., che non consente di ritenere che il giudice amministrativo possa conoscere di controversie di cui non sia parte una pubblica amministrazione, o soggetti ad essa equiparati”. Tale lettura è stata di recente confermata anche dall’ordinanza n. 19677 del 2016, con cui le SS. UU. della Corte di Cassazione, nel richiamare l’ordinanza del 2006 e quelle n. 5914 del 2008, n.11932 del 2010 e n. 5408 del 2014, hanno ribadito che “presupposto della giurisdizione amministrativa secondo la Carta costituzionale è, …omissis…, che la tutela giurisdizionale coinvolgente le situazioni giuridiche nella giurisdizione di legittimità ed in quella esclusiva debba avere luogo con la partecipazione in posizione attiva o passiva della pubblica amministrazione o del soggetto che, pur non facendo parte dell’apparato organizzatorio di essa, eserciti le attribuzioni dell’Amministrazione, così ponendosi come pubblica amministrazione in senso oggettivo”, e hanno rilevato che “il profilo della giurisdizione amministrativa in questi termini trova conferma nel codice del processo amministrativo, atteso che, …omissis… , l’art. 7, comma 1, nell’individuare la giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie, di diritti soggettivi, riferisce tali controversie a ‘l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo’ e le dice riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni…omissis… Tale precisazione evidenzia in modo indubitabile che la controversia riguarda quelle forme di esercizio del potere in quanto poste in essere dall’Amministrazione, il che non lascia dubbi sul fatto che soggettivamente la controversia esige che una delle parti sia la pubblica amministrazione e l’altra il soggetto che faccia la questione sull’interesse legittimo o sul diritto soggettivo. Il dubbio sulla possibilità che la controversia possa riguardare la lesione di interessi legittimi o di diritti soggettivi fra tale soggetto e colui che agisca per l’Amministrazione con nesso di rappresentanza organica è, pertanto, chiaramente fugato. Lo è ancora di più quando si legge il comma 2 dello stesso articolo, là dove esso proclama che per pubbliche amministrazioni, ai fini del presente codice, si intendono anche i soggetti ad esse equiparati o comunque tenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo: è nuovamente palese che ci si riferisce al profilo oggettivo della pubblica amministrazione o di chi ad essa è equiparato” (TAR Venezia, 28.08.2018 n. 871).

    Accordo quadro – Natura trilaterale – Ampliamento soggettivo durante il periodo di efficacia – Possibilità – Variante dell’importo contrattuale – Consentita entro il quinto d’obbligo (art. 54 , art. 106 d.lgs. n. 50/2016)

    Consiglio di Stato, sez. III, 21.09.2018 n. 5489

    Su di un piano generale, l’accordo quadro (art. 54 d.lgs. n. 50/2016), per sua natura, è connotato in senso trilatero, concorrendo a comporne la struttura soggettiva, da un lato, l’Amministrazione stipulante e l’impresa offerente, dall’altro lato, i soggetti pubblici beneficiari della fornitura da esso contemplata e dai quali promanano, nella fase esecutiva dell’accordo, i cd. ordinativi di acquisto: ebbene, se l’accordo quadro può considerarsi “rigido”, per quanto riguarda i soggetti stipulanti, a diversa conclusione deve pervenirsi con riferimento ai beneficiari della fornitura da esso veicolata, la cui individuazione attiene alle finalità dell’accordo quadro e, in quanto tale, è suscettibile di subire modifiche durante il periodo di efficacia dello stesso (entro i limiti, essenzialmente quantitativi, di cui si dirà infra), senza che ne risulti tradita o depotenziata l’originaria matrice concorrenziale, insita nelle regole di trasparenza e par condicio che ne hanno contrassegnato il procedimento di aggiudicazione.

    Tale conclusione vale, in primo luogo ed a fortiori, laddove l’incremento dei soggetti beneficiari della fornitura convogliata dall’accordo quadro non determini lo sforamento del volume prestazionale indicato negli atti di gara; ma a non diversa conclusione, sebbene subordinatamente alla verifica del rispetto delle specifiche condizioni contemplate dalle pertinenti disposizioni, deve pervenirsi con riguardo all’ipotesi in cui l’ampliamento soggettivo della fornitura disciplinata dall’accordo quadro si traduca nel suo allargamento dimensionale. (…)

    Come si è detto, infatti, la platea dei soggetti beneficiari dell’accordo quadro non attiene alla sua (immodificabile) struttura soggettiva, ma alla sfera finalistica del suddetto strumento contrattuale: sì che la stessa si presta naturalmente ad essere adattata (eventualmente in chiave integrativa) alle sopravvenute esigenze dell’Amministrazione, assumendo rilievo, al fine di verificare il rispetto dei limiti della variante contrattuale ed in base alla disciplina vigente ratione temporis, la sola necessità di non superare il quinto del prezzo contrattuale complessivo originario (art. 106 d.lgs. n. 50/2016).

    Contratto d’appalto – Proroga – Eccezionalità (art. 106 d.lgs. n. 50/20106)

    Consiglio di Stato, sez. III, 03.04.2017 n. 1521

    Sostiene l’appellante che l’evidente necessità della proroga alla quale aspira lo legittima a proporre ricorso; per le stesse ragioni afferma la fondatezza dell’impugnativa.
    La tesi non può essere condivisa, in quanto è certamente vero che l’Amministrazione deve assicurare la fornitura dei pasti presso i diversi plessi organizzativi che da essa dipendono, ma questo non significa certo che il servizio debba essere assicurato mediante proroga del contratto precedentemente in essere.
    La proroga, anzi, come giustamente evidenziato dal primo giudice, costituisce strumento del tutto eccezionale, utilizzabile solo qualora non sia possibile attivare i necessari meccanismi concorrenziali.
    Questi, nel caso di specie, sono consistiti in una procedura di finanza di progetto alla quale l’odierno appellante è rimasto estraneo, e non può quindi contestarne l’esito.
    Non vale poi addurre l’affermata nullità del relativo contratto in quanto anche a voler seguire tale ragionamento da esso non potrebbe conseguire l’obbligo, per l’Amministrazione, di affidare ulteriormente il servizio all’appellante senza esperire confronto concorrenziale.