Consiglio di Stato, 17.02.2020 n. 1212
7.1. Il primo giudice ha ritenuto legittima l’ammissione alla gara di -OMISSIS-pur in presenza del predetto precedente penale carico del presidente del collegio sindacale della società, non risultante dal casellario giudiziale, valorizzando i seguenti elementi: che la società, incolpevolmente, ne aveva appreso l’esistenza solo dopo aver presentato la domanda di partecipazione alla gara e ne aveva dato immediata informazione al seggio di gara; che la società aveva adottato adeguate misure di dissociazione dalla condotta penalmente rilevante, estranea alla società; che la società, in quanto partecipata totalitariamente da una s.p.a., a sua volta avente come socio unico altra s.p.a. quotata in borsa, “è dotata del massimo livello delle procedure di verifica e controllo dei propri partecipanti”.
7.2. Le censure che -OMISSIS- ha formulato avverso tali argomentazioni sono fondate.
7.3. Il primo giudice ha ritenuto che gli elementi rappresentati da -OMISSIS-fossero rispondenti a quanto richiesto dal comma 7 dell’art. 80 del d.lgs. 50/2016 (che stabilisce che “Un operatore economico, o un subappaltatore, che si trovi in una delle situazioni di cui al comma 1, limitatamente alle ipotesi in cui la sentenza definitiva abbia imposto una pena detentiva non superiore a 18 mesi ovvero abbia riconosciuto l’attenuante della collaborazione come definita per le singole fattispecie di reato, o al comma 5, è ammesso a provare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti”).
Ma la fattispecie era estranea all’istituto della dissociazione considerato dal primo giudice.
E’ infatti principio ripetuto nella giurisprudenza formatasi nella vigenza del precedente Codice dei contratti pubblici, e ribadito anche con riferimento al nuovo Codice, che nelle procedure a evidenza pubblica preordinate all’affidamento di un appalto l’omessa dichiarazione da parte del concorrente di tutte le condanne penali eventualmente riportate (sempreché per le stesse non sia già intervenuta una formale riabilitazione), anche se attinenti a reati diversi da quelli contemplati nell’art. 38, comma 1, lett. c) d.lgs. n. 50 del 2016, può giustificare senz’altro l’esclusione dalla gara, traducendosi in un impedimento per la stazione appaltante di valutarne la gravità (Cons. Stato, 13 marzo 2019, n. 1649, che cita, ex multis, Cons. Stato, IV, 29 febbraio 2016, n. 834; V, 29 aprile 2016, n. 1641; 27 luglio 2016, n. 3402; 2 dicembre 2015, n. 5451; III, 28 settembre 2016, n. 4019).
La mancata indicazione delle condanne rilevanti ai sensi dell’art. 80 del d.lgs. 50/2016 costituisce indi autonoma causa di esclusione, comportando l’impossibilità della stazione appaltante di valutare consapevolmente l’affidabilità del concorrente, che opera per il tramite dei suoi organi, e di dare in tal modo applicazione alla regola che impone la presenza del requisito dell’onorabilità sin dalla proposizione dell’offerta e per tutta la durata della gara e del rapporto (in caso di aggiudicazione), senza soluzione di continuità. Per converso, l’attività di dissociazione non può giammai assumere valore esimente con riferimento agli amministratori in carica al momento di presentazione della domanda di partecipazione (Cons. Stato, V, 7 giugno 2017, n. 2727; III, 1° luglio 2015, n. 3274).
Non è poi significativa l’assenza di coscienza e volontà da parte di -OMISSIS- nell’omissione dichiarativa, pure valorizzata dal primo giudice: ai fini della sussistenza o meno della fattispecie di cui all’art. 80, comma 5, lett. f-bis del d.lgs. n. 50 del 2016 rileva infatti esclusivamente il fatto materiale e oggettivo del falso, a prescindere dunque dall’animus soggettivo che l’ha ispirato, tant’è che la disposizione attribuisce attribuito al dolo o alla colpa ai soli fini dell’ulteriore adozione, da parte dell’Anac, di sanzioni di carattere interdittivo (art. 80, comma 12).
Non trovano pertanto applicazione in materia gli istituti – di derivazione penalistica – del falso innocuo e del falso inutile (ex multis, Cons. Stato, IV, 7 luglio 2016, n. 3014), la completezza delle dichiarazioni costituendo, in materia di pubblici appalti, un autonomo valore da perseguire, in quanto strumentale alla celere decisione in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla procedura: proprio per tale motivo, ai sensi dell’art. 80, una dichiarazione falsa o incompleta è di per sé inaffidabile, anche al di là delle effettive intenzioni del suo autore; non è pertanto decisivo ai fini di cui si discute che la società, nel rendere a suo tempo la dichiarazione per cui è causa, abbia fatto incolpevolmente affidamento sul certificato del casellario giudiziale dell’ex presidente del collegio sindacale, dal quale non risultava alcun precedente.
Da quanto sopra deriva l’infondatezza delle difese con cui il -OMISSIS- sostiene che, siccome la condanna in parola consiste in una pena non superiore ai 18 mesi, e considerando ulteriormente che l’esistenza del precedente penale (volutamente celato dall’interessato) è stata comunicata da -OMISSIS-non appena questa ne è venuta a conoscenza, la società era ammessa a provare, ai sensi del combinato disposto dei commi 7 e 8 dell’art. 80 del Codice dei contratti pubblici e al fine di evitare l’esclusione dalla gara, di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti.(…)
7.5. Non appare però superfluo segnalare che la sentenza appellata, illustrati al capo 5.2 i già citati elementi difensivi rappresentati da -OMISSIS- li ha fatti propri al capo successivo, con la locuzione “sulla scorta di tali elementi…” che precede la valutazione di infondatezza delle censure di -OMISSIS-, e che così facendo, il primo giudice è incorso, innanzitutto, in un errore sul fatto, validando, mediante la descritta tecnica espositiva, l’affermazione di -OMISSIS-di aver “risolto” il rapporto con il presidente del suo collegio sindacale non appena conosciuto il precedente penale: emerge infatti incontestatamente dal fascicolo di causa e costituisce fatto esposto anche nella comunicazione 18 settembre 2018 che quest’ultimo ha presentato le dimissioni dalla carica rivestita in seno alla società il 9 agosto 2018.
Da tale errore discende un errore ulteriore, che colpisce quella che, nella rappresentazione della sentenza (nella parte in cui, come detto, recepisce acriticamente le argomentazioni di -OMISSIS-, è la principale misura dissociativa che è stata (erroneamente) attribuita alla società: la “risoluzione” del rapporto con il predetto soggetto e l’adozione delle “misure organizzative necessarie alla ricostituzione dell’organo” cui egli precedentemente partecipava.
Infatti, per quanto sopra, non è ravvisabile il ruolo attivo esercitato dalla società nell’allontanamento di tale soggetto evocato dalla medesima (anche nelle memorie difensive qui proposte) con il riferimento a una “risoluzione” giammai avvenuta, mentre la ricostituzione dell’organo si rivela una mera e necessaria conseguenza delle dimissioni presentate dal soggetto stesso.
Sicchè, le iniziative rappresentate in giudizio da -OMISSIS-– anche laddove esse potessero essere qualificate come misure dissociative, il che, come visto, non è – si riducono, in sostanza, alla denuncia penale sporta dalla società in relazione alle “false certificazioni” rese dall’ex presidente del collegio sindacale in occasione delle autocertificazioni periodiche, atteso che, come ulteriormente chiarito da -OMISSIS-nella memoria depositata il 14 maggio 2019 (pag. 5, punto c), la società non ha neanche avviato azione volta a ottenere il risarcimento del danno, ritenendo che “un danno attuale e concreto non era ancora stato subito”.