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Costi della manodopera e DURC di congruità : a cosa serve

Consiglio di Stato, sez. V, 01.09.2023 n. 8128

Con un terzo mezzo, l’appellante ripropone “le ulteriori doglianze articolate in primo grado avverso gli illogici e irragionevoli rilievi critici svolti nel provvedimento espulsivo impugnato, al fine di dimostrare ulteriormente la piena congruità del “costo della manodopera” indicato ai sensi della relativa disciplina”, precisando che “a fronte del predetto obiettivo accertamento del rispetto dei valori indicati nelle tabelle ministeriali di riferimento, si rivelano inconferenti e pretestuosi gli ulteriori rilievi mossi nel verbale n. 5 da parte del RUP/Seggio di gara”.

Ribadisce, in particolare – arricchendo ed integrando, in sostanza, le critiche già formulate con il primo motivo –che i costi indicati nella propria offerta sarebbero stati “coerenti (oltre che con le citate tabelle ministeriali) pure con la percentuale di incidenza minima della manodopera sul valore dell’opera, definita dalle Associazioni nazionali del settore edile (c.d. DURC di congruità dell’incidenza della manodopera introdotto dall’art. 8, co. 10-bis, d.l. n. 76 del 16.7.2020 e s.m.i.) […]

4.1.- Il motivo è infondato.

Come è noto, il DURC di congruità individua la percentuale di incidenza minima del costo della manodopera, ovvero quella soglia al di sotto della quale scatta la presunzione di non congruità dei costi del personale. Non vale, peraltro, la reciproca: sicché, al di sopra della soglia così individuata, il costo della manodopera debba ritenersi automaticamente e per ciò solo congruo.

Resta, per tal via fermo, dovendosi sul punto ribadire le conclusioni rese in ordine al primo motivo di appello, che – di là dal prospettato rispetto formale delle percentuali di incidenza indicate nel c.d. DURC di congruità – l’appellante non è stata in grado di fornire puntuale, adeguata e circostanziata dimostrazione delle modalità (e delle condizioni) per poter conseguire una effettiva riduzione delle ore lavorate, tale da incidere, in guisa rilevante, sui costi da sostenere per il personale da utilizzare nella esecuzione della commessa.

Costo manodopera – Verifica anomalia – Non va giustificato soltanto il costo “effettivo” (ore lavorate) ma anche il costo “teorico” (ore contrattuali)

Consiglio di Stato, sez. V, 22.11.2022 n. 10272

7.8. Ciò posto, giova evidenziare come l’errore di fondo che si annida nel ragionamento dell’originaria ricorrente, recepito anche dalla sentenza appellata, risiede nell’erroneo convincimento secondo cui ciò che deve essere giustificato in sede di procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta è il solo costo effettivo della manodopera e non quello teorico contrattuale.
7.8.1. Al contrario, se è vero sono consentiti motivati scostamenti dai valori indicati dalle tabelle ministeriali sul costo del lavoro (che, come affermato dalla consolidata giurisprudenza, non possono costituire parametri inderogabili dal cui mancato rispetto possa essere automaticamente desunta l’inattendibilità dell’offerta economica, non potendo essi, nella loro formulazione statistica, considerare l’effetto di tutti i fattori di incidenza sul costo medio del lavoro, valore quest’ultimo per la cui determinazione tabellare si considerano le ore mediamente lavorate, che scaturiscono detraendo dalle ore contrattuali le ore annue non lavorate, in parte predeterminabili in misura fissa, in altra parte suscettibili di variazione caso per caso: cfr. in termini Cons. Stato, sez. V, 28.1.2019, n. 690; Consiglio di Stato, VI, 20 ottobre 2020, n. 6336: id. 4 dicembre 2019, 8303), è però anche vero che le offerte che si discostino dai costi medi del lavoro indicati nelle tabelle ministeriali possono considerarsi anormalmente basse qualora la discordanza sia considerevole ed ingiustificata.
7.8.2. Orbene, nel caso di specie, lo scostamento del costo orario medio indicato in sede di giustificazioni è stato correttamente quantificato dai provvedimenti impugnati in una riduzione considerevole di circa il 24,29% rispetto a quello individuato dalla concorrente nella propria offerta tecnica e al valore indicato dalle tabelle ministeriali e non è stato affatto giustificato dalla concorrente -OMISSIS-; i chiarimenti resi da quest’ultima sono, pertanto, del tutto insufficienti a escludere l’anomalia dell’offerta in relazione al costo del lavoro.
7.9. Alla luce delle considerazioni svolte non andava, pertanto, rinnovata la verifica di anomalia dell’offerta prima classificata.
7.9.1. Infatti, l’impugnato provvedimento di esclusione è legittimo laddove ha correttamente ritenuto che il costo della manodopera non può che essere determinato dalle ore contrattuali offerte in gara (rispetto alle quali peraltro è stato anche valutato il progetto tecnico), sicché è su tale valore, e non sulle ore lavorate, che deve giustificarsi il costo orario complessivo.
La concorrente ha, invece, utilizzato il monte ore effettivo non solo come divisore per addivenire al costo orario medio (operazione pacificamente consentita secondo il principio giurisprudenziale richiamato dalla sentenza appellata), ma, erroneamente, anche come moltiplicatore per calcolare il costo complessivo della manodopera (che andava invece, come detto, determinato con riferimento al monte ore “contrattuale”, che copre sia le ore lavorate sia le ore non lavorate per le quali devono essere impiegate unità in sostituzione ai fini della regolare esecuzione del servizio).
7.9.2. Anche il richiamo all’orientamento giurisprudenziale che rinvia al costo reale per la determinazione del costo medio orario è suggestivo, ma non coglie nel segno: infatti, come evidenziato, il costo reale può essere utilizzato, quale divisore, per determinare il costo medio orario, ma questo va poi moltiplicato per le ore contrattuali offerte (comprensive delle sostituzioni), in quanto esse rappresentano l’effettivo costo che l’impresa si è impegnata in offerta a sostenere nell’esecuzione del servizio da garantire alla stazione appaltante.

Riferimenti normativi:

art. 97 d.lgs. n. 50/2016

Fornitura senza posa in opera : non sussiste obbligo di indicare costi della manodopera nè oneri di sicurezza aziendali nell’offerta economica

TAR Genova, 02.05.2022 n. 332

Occorre premettere che l’art. 95, comma 10, del d.lgs. n. 50/2016 esclude le forniture senza posa in opera dall’obbligo di indicare nell’offerta economica i costi della manodopera (come pure gli oneri aziendali in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro).
Ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. tt) del d.lgs. n. 50/2016, per appalti pubblici di forniture si intendono i contratti “aventi per oggetto l’acquisto, la locazione finanziaria, la locazione o l’acquisto a riscatto, con o senza opzione per l’acquisto, di prodotti” (con la precisazione che “un appalto di forniture può includere, a titolo accessorio, lavori di posa in opera e di installazione”).
[…]
Né le prestazioni capitolari invocate da -OMISSIS- quali elementi contraddistinguenti lo specifico appalto in discussione, vale a dire la possibilità degli enti di richiedere preparazioni urgenti e consegne il sabato mattina, si rivelano atte a mutare la natura giuridica della fattispecie negoziale, che rimane qualificabile come fornitura senza posa in opera. Infatti, l’oggetto del contratto è sempre la fornitura del prodotto farmaceutico, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. tt) cit., perché non si tratta di servizi aggiuntivi che fuoriescono dall’ambito della compravendita, bensì di attività propedeutiche svolte presso il produttore e/o strumentali rispetto all’esecuzione dell’obbligazione principale di consegna del radiofarmaco, che, come tali, non danno vita ad un appalto misto di servizi e fornitura.
[…]

Verifica costo del lavoro – Determinazione equivalenza CCNL – Raffronto con le tabelle dei minimi salariali (art. 95 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. V, 28.02.2022 n. 1412

La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha posto in risalto che, così come è precluso alla stazione appaltante d’imporre l’applicazione di un determinato CCNL agli operatori economici, stante la discrezionalità a questi spettante – salvo il limite della incompatibilità con il tipo di attività – (cfr. Cons. Stato, V, 3 novembre 2020, n. 6786 e richiami ivi; 13 luglio 2020, n. 4515), allo stesso modo “la difformità tra l’inquadramento professionale attribuito al lavoratore e la qualifica contrattuale spettantegli secondo le declaratorie previste dal contratto collettivo, dev’essere fatta valere – in linea di principio – nell’ambito dei rapporti fra lavoratore e datore di lavoro [salvi i riflessi sulla congruità complessiva dell’offerta, se l’inquadramento è del tutto anomalo o abnorme in relazione ai profili professionali ritenuti necessari per lo svolgimento del servizio; e fatti salvi, altresì, i riflessi in punto di ammissibilità dell’offerta, se il CCNL di settore, applicato dall’offerente, sia del tutto avulso rispetto all’oggetto dell’appalto (ipotesi che non ricorrono nel caso di specie, in cui si discute dell’attribuzione di un determinato livello professionale nell’ambito dello stesso CCNL)]” (Cons. Stato, V, 11 marzo 2021, n. 2086).
Nella specie, risulta che l’amministrazione abbia svolto apposita verifica sul costo del lavoro eseguendo i passaggi consistenti nella determinazione delle equivalenze fra i vari CCNL previsti, determinazione del costo medio, raffronto con le pertinenti tabelle ai fini della verifica del rispetto dei minimi salariali, e raffronto con le peggiori tariffe poste a base d’asta offerte nella “Fase 1” dell’Accordo Quadro, e su ciò non sono affermati specifici errori o lacune.

Riferimenti normativi:

art. 95 d.lgs. n. 50/2016

“Monte ore teorico” vs. “Costo reale” : quale considerare per la verifica di anomalia ?

Al riguardo va confermato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui in sede di verifica dell’anomalia non va assunto a criterio di calcolo il “monte – ore teorico”, comprensivo anche delle ore medie annue non lavorate (per ferie, festività, assemblee, studio, etc.) di un lavoratore che presti servizio per tutto l’anno, ma deve invece considerarsi il “costo reale” (o costo ore lavorate effettive, comprensive dei costi delle sostituzioni) (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 27.12.2021 n. 8624; cfr. sez. V, 15.02.2021 n. 1317 e 12.06.2017 n. 2815) .

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    Costi della manodopera e calcolo del tasso medio di assenteismo

    Consiglio di Stato, sez. V, 10.11.2021 n. 7497

    Il primo giudice, premesso che il tasso di assenteismo dipende in larga parte dalle caratteristiche specifiche del personale impiegato (stato di salute; età anagrafica; appartenenza di genere), osservato trattarsi di un appalto caratterizzato da alta intensità dell’impiego di manodopera e richiamata la giurisprudenza che segnala in materia la necessità di stime prudenziali, ha ritenuto non corretto che -Omissis- avesse fatto riferimento al proprio tasso di assenteismo aziendale, corrispondente a personale diverso da quello da impiegare nell’appalto, e ciò per effetto della c.d. “clausola sociale” di cui alla legge di gara. Ha quindi ritenuto che il denunziato scostamento, “vistoso e significativo”, comportasse “maggiori costi stimabili nella somma (allegata dalla ricorrente e non contestata dalle controparti) di circa € 150.000,00, che non può trovare una sufficiente compensazione nella somma di € 40.000,00 accantonata per far fronte a spese impreviste e nella somma di circa € 34.000,00 di utile stimata dalla controinteressata”. […]
    Ma tale stima non può essere confermata, risultando – come lamenta la parte appellante – sproporzionata rispetto all’effettivo numero dei lavoratori da assorbire in virtù della clausola sociale prevista dalla legge di gara, da cui l’erroneità della sentenza impugnata. […]
    Sicchè assume rilievo la circostanza, evidenziata sia dall’appellante che dal Comune, che gran parte del personale impiegato nel precedente servizio era regolato da rapporti di lavoro precari, a tempo determinato o comunque occasionali, così che solo una minima parte di esso, in quanto assunto a tempo indeterminato, risulta “assorbibile” in virtù della predetta clausola sociale.

    Riferimenti normativi:

    art. 97 d.lgs. n. 50/2016

    Ore annue mediamente lavorate – Stima prudenziale – Voci inapplicabili – Scostamento dalle Tabelle ministeriali – Giustificazione (art. 97 d.lgs. n. 50/2016)

    TAR Firenze, 05.11.2021 n. 1440

    Precedenti pronunce hanno avuto modo di precisare che le tabelle ministeriali costituiscono un parametro di riferimento dal quale è possibile discostarsi, in sede di giustificazione dell’anomalia, seppur “solo sulla scorta di una dimostrazione puntuale e rigorosa, che può tener conto del fatto, ad esempio, che “il dato delle ore annue mediamente lavorate dal personale coinvolge eventi (malattie, infortuni, maternità) che non rientrano nella disponibilità dell’impresa e che, quindi, per definizione, necessitano di stima di carattere prudenziale” (Cons. Stato, sez. V, 28 giugno 2011, n. 3865; Cons. di St., sez. V, 20 febbraio 2017 n. 756).
    Tale dimostrazione è stata fornita dall’odierna controinteressata nelle giustificazioni che ha evidenziato come le tabelle ministeriali comprendessero alcune voci (es. indennità di turno) non applicabili al caso di specie. Si consideri, inoltre, che lo scostamento, proprio in ragione del computo di voci inapplicabili, è risultato inferiore a quello previsto e, ciò, peraltro senza che la ricorrente sia riuscita a dimostrare la complessiva non sostenibilità dell’offerta.

    Riferimenti normativi:

    art. 97 d.lgs. n. 50/2016

    Costo del personale – Verifica di anomalia – Valutazione del costo “reale” della singola ora – Legittimità – Monte ore “teorico” / numero di personale impiegato – Irrilevanza (art. 97 d.lgs. n. 50/2016)

    Consiglio di Stato, sez. III, 20.11.2019 n. 7927

    Non può essere sindacata l’opzione seguita dall’aggiudicataria, e condivisa dalla stazione appaltante, di porre in relazione diretta il monte ore generale previsto dal bando con il costo della singola ora, in luogo di quella volta a rapportare il monte ore alle unità effettivamente impiegate; e ciò vieppiù in considerazione della mancanza di perspicue argomentazioni idonee ad inficiare l’attendibilità di siffatto metodo di analisi nella stima dei valori economici in campo.
    Del pari, non può essere condiviso l’ulteriore motivo di doglianza che valorizza, con inaccettabile pretesa di automaticità, il significativo scostamento, pari in media al 16%, dei ribassi che qualificano l’offerta dell’aggiudicataria rispetto alle voci di costo del lavoro mutuate dalle tabelle ministeriali di settore (nella specie D.M. del 2.10.2013).
    Com’è noto, si è più volte affermato in giurisprudenza che i valori del costo del lavoro risultanti dalle tabelle ministeriali costituiscono un semplice parametro di valutazione della congruità dell’offerta, con la conseguenza che l’eventuale scostamento delle voci di costo da quelle riassunte nelle tabelle ministeriali non legittima di per sé un giudizio di anomalia o di incongruità occorrendo, perché possa dubitarsi della sua congruità, che la discordanza sia considerevole e palesemente ingiustificata (Consiglio di Stato sez. V, 26/11/2018, n. 6689, sez. III, 18/09/2018, n. 5444 ; sez. V, 07/05/2018, n. 2691; Sezione V n. 1465 del 30 marzo 2017; Consiglio di Stato, sez. III, 13/03/2018, n. 1609).
    Un eventuale scostamento può, invero, essere rivelatore di inattendibilità e anti-economicità se sia consistente e rilevante ma necessita, comunque, di essere approfondito nelle sue concrete implicazioni rilevando, in definitiva, come possibile espressione di un’insanabile anomalia nei soli casi in cui si riveli privo di plausibile giustificazione.
    Né è possibile fissare, a priori, in mancanza di vincolanti prescrizioni di legge, una soglia minima cogente al di sotto della quale l’eventuale differenziale debba, per definizione, ritenersi intollerabile con conseguente presunzione qualificata e non suscettiva di prova contraria di inattendibilità dell’offerta.
    Nell’economia della disciplina di settore non vi sono automatismi di sorta di talchè l’eventuale scostamento, anche significativo, delle voci di costo che compongono l’offerta dalle tabelle ministeriale non vale, di per sé, a fondare, in via definitiva ed irreversibile, un giudizio di anomalia costituendo questo solo il possibile risultato di una mirata procedura all’interno della quale vanno esplorate e valutate le possibili cause giustificative dello scostamento rilevato.
    Lo stesso è a dirsi quanto alle tariffe regionali (…) che costituiscono pur sempre grandezze medie, sintesi di rilevazioni statistiche e che, nella stessa prospettiva della Regione Marche, valgono ad offrire un punto di riferimento (…) per la quantificazione degli importi a base d’asta dei capitolati d’appalto al fine di evitare che eventuali ribassi vadano ad incidere sul costo del lavoro. (…)

    Nelle gare pubbliche, per il costo orario del personale, da dimostrare in sede di verifica dell’anomalia dell’offerta, non va assunto a criterio di calcolo il “monte-ore teorico”, comprensivo cioè anche delle ore medie annue non lavorate (per ferie, festività, assemblee, studio, malattia, formazione, etc.) di un lavoratore che presti servizio per tutto l’anno, ma va considerato il “costo reale” (o costo ore lavorate effettive, comprensive dei costi delle sostituzioni); il costo tabellare medio, infatti, è indicativo di quello “effettivo”, che include i costi delle sostituzioni cui il datore di lavoro deve provvedere per ferie, malattie e tutte le altre cause di legittima assenza dal servizio (Consiglio di Stato sez. V, 12/06/2017, n. 2815; Consiglio di Stato sez. III, 02/03/2017, n. 974; Cons. Stato, III, 2 marzo 2015, n. 1020, 13 dicembre 2013, n. 5984).

    Costo del lavoro – Scelta del Contratto Collettivo Nazionale – Limiti (art. 23 , art. 95 , art. 97)

    Consiglio di Stato, sez. VI, 28.02.2019 n. 1409

    Sul piano normativo, l’art. 23, comma 16, del decreto legislativo n. 50 del 2016, nell’ambito della parte dedicata alla fase della progettazione, prevede che: i) «per i contratti relativi a lavori, servizi e forniture, il costo del lavoro è determinato annualmente, in apposite tabelle, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali sulla base dei valori economici definiti dalla contrattazione collettiva nazionale tra le organizzazioni sindacali e le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali»; ii) «in mancanza di contratto collettivo applicabile, il costo del lavoro è determinato in relazione al contratto collettivo del settore merceologico più vicino a quello preso in considerazione».
    L’art. 95 dello stesso decreto, nel disciplinare i criteri di aggiudicazione, dispone che: i) «nell’offerta economica l’operatore deve indicare i propri costi della manodopera e gli oneri aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (…)»; ii) «le stazioni appaltanti, relativamente ai costi della manodopera, prima dell’aggiudicazione procedono a verificare il rispetto di quanto previsto all’articolo 97, comma 5, lettera d)» (comma 10).
    Il richiamato art. 97, comma 5, nel disciplinare le offerte anormalmente basse, dispone che: i) «la stazione appaltante richiede per iscritto, assegnando al concorrente un termine non inferiore a quindici giorni, la presentazione, per iscritto, delle spiegazioni»; ii) «essa esclude l’offerta solo se la prova fornita non giustifica sufficientemente il basso livello di prezzi o di costi proposti» ovvero «se ha accertato, con le modalità di cui al primo periodo, che l’offerta è anormalmente bassa in quanto», tra l’altro, «d) il costo del personale è inferiore ai minimi salariali retributivi indicati nelle apposite tabelle di cui all’articolo 23, comma 16».
    La giurisprudenza di questo Consiglio ha già avuto modo di affermare che «la scelta del contratto collettivo da applicare rientra nelle prerogative di organizzazione dell’imprenditore e nella libertà negoziale delle parti, col solo limite che esso risulti coerente con l’oggetto dell’appalto» (Consiglio di Stato, sez. V, 1 marzo 2017, n. 932; Consiglio di Stato, sez. V, 12 maggio 2016 n. 1901; Consiglio di Stato, sez. III, 10 febbraio 2016 n. 589).
    Sul piano di analisi della fattispecie concreta, alla luce del riportato quadro normativo e giurisprudenziale, risulta come l’appellante non abbia violato le disposizioni di disciplina del settore, in quanto ha applicato un contratto collettivo congruente con l’oggetto dell’appalto, che si discosta in minima parte dalle voci di costo indicate nella tabelle ministeriali.

    Verifica di anomalia – Personale impiegato nell’esecuzione di una pluralità di appalti – Costo del lavoro – Va giustificato pro quota con riferimento al singolo appalto (art. 97 d.lgs. n. 50/2016)

    TAR Milano, 30.01.2019 n. 207

    Le parti intimate non negano la circostanza sopra addotta – vale a dire l’omessa indicazione dei costi per i due soggetti suindicati – ma sostengono che questi ultimi svolgerebbero le loro funzioni di controllo e vigilanza non solo nell’appalto di cui è causa, ma anche in altre commesse, non essendo destinati in via esclusiva all’esecuzione del contratto di cui è causa.
    Tale tesi difensiva non può trovare accoglimento, giacché a fronte dell’obbligo dell’aggiudicataria di impiegare tali figure professionali nell’attuale appalto, i costi relativi non possono che trovare giustificazione nell’appalto medesimo, non essendo consentito che la remunerazione per l’appaltatore possa trovare il proprio esclusivo fondamento in altri e differenti rapporti contrattuali. In altri termini, il costo del lavoro di figure professionali impiegate in una pluralità di appalti deve essere giustificato, seppure pro-quota, in ogni singolo appalto.
    Tale conclusione è suffragata dalla giurisprudenza, anche della scrivente Sezione (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, n. 2754/2015 e TAR Lombardia, Milano, sez. IV, n. 1906/2017 e n. 1763/2017).

    Costi manodopera ed oneri di sicurezza: soccorso istruttorio alla Corte di Giustizia UE

    Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 24.01.2019 n. 1 

    Rimessa alla Corte di giustizia la questione se il diritto dell’Unione europea (e segnatamente i princìpi di legittimo affidamento, di certezza del diritto, di libera circolazione, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi) ostino a una disciplina nazionale (quale quella di cui agli artt. 83, comma 9, 95, comma 10 e 97, comma 5 del ‘Codice dei contratti pubblici’ italiano) in base alla quale la mancata indicazione da parte di un concorrente a una pubblica gara di appalto dei costi della manodopera e degli oneri per la sicurezza dei lavoratori comporta comunque l’esclusione dalla gara senza che il concorrente stesso possa essere ammesso in un secondo momento al beneficio del c.d. ‘soccorso istruttorio’, pur nell’ipotesi in cui la sussistenza di tale obbligo dichiarativo derivi da disposizioni sufficientemente chiare e conoscibili e indipendentemente dal fatto che il bando di gara non richiami in modo espresso il richiamato obbligo legale di puntuale indicazione .

    Analoghe rimessioni sono state disposte con ordinanza 24.01.2019 n. 2 e ordinanza n. 3.

    Ha ricordato l’Alto consesso che sul punto si sono registrati contrasti giurisprudenziali, sia in primo che in secondo grado.

    In appello un primo orientamento interpretativo, sul presupposto per cui il principio enunciato in quella sede fosse limitato alle gare bandite nel vigore del precedente d.lgs. n. 163 del 2006, ha ritenuto che, con l’entrata in vigore del nuovo Codice dei contratti pubblici, la mancata indicazione separata dei costi per la sicurezza aziendale non avrebbe più potuto essere sanata attraverso il soccorso istruttorio, perché la norma avrebbe determinato, al contrario, un automatismo espulsivo incondizionato a prescindere dalla assenza di uno specifico obbligo dichiarativo nella lex specialis.
    Per la V Sezione, l’art. 95, comma 10, del Codice dei contratti avrebbe dunque chiarito l’obbligo per i concorrenti di indicare nell’offerta economica i c.d. costi di sicurezza aziendali ed avrebbe superato le incertezze interpretative, in ordine all’esistenza e all’ampiezza dell’obbligo dichiarativo, definite dall’Adunanza plenaria con le sentenze nn. 3 e 9 del 2015, ritenendo che, con tale escamotage, si finirebbe per consentire “… in pratica ad un concorrente (cui è riferita l’omissione) di modificare ex post il contenuto della propria offerta economica” (sez. V, 7 febbraio 2017, n. 815, e nello stesso senso idem 28 febbraio 2018 n. 1228, 12 marzo 2018, n. 1228, 25 settembre 2018 n. 653).
    In particolare nella ricordata sentenza n. 815 cit. la Sezione V aveva rilevato che:
    – in quei casi l’obbligo di separata indicazione degli oneri per la sicurezza aziendale era stato imposto, a pena di esclusione, ai partecipanti alla procedura di gara dalla lex specialis della procedura, mediante un’espressa previsione contenuta nel disciplinare o nella lettera di invito;
    – l’obbligo emergerebbe comunque con adeguata chiarezza dalla litera legis in quel caso disattesa dalla società appellata;
    – l’appellante avrebbe, poi, ancorato la determinazione del quantum di tali oneri ad un parametro incerto e fluttuante quale l’“ un per cento del margine dell’offerta”, per cui il livello delle spese destinate alla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro avrebbero potuto essere compromesse in caso in cui “..ricadute economiche della commessa presentino un andamento negativo”;
    – l’obbligo di indicazione sarebbe chiaramente sancito dalla legge e la sua violazione determinerebbe conseguenze escludenti a prescindere dal dato che l’esclusione non sia stata testualmente enunciata dagli articoli 83 e 95 del Codice in quanto precetto posto a “salvaguardia dei diritti dei lavoratori cui presiedono le previsioni di legge, che impongono di approntare misure e risorse congrue per preservare la loro sicurezza e la loro salute”.

    Il secondo orientamento interpretativo ha affermato invece che, anche dopo l’entrata in vigore del nuovo Codice dei contratti pubblici e nonostante l’espressa previsione di un puntuale obbligo dichiarativo ex art. 95, comma 10, la mancata indicazione separata degli oneri di sicurezza aziendale non determinerebbe di per sé l’automatismo espulsivo, almeno nei casi in cui tale obbligo dichiarativo non sia espressamente richiamato nella lex specialis, a meno che si contesti al ricorrente di aver presentato un’offerta economica indeterminata o incongrua, perché formulata senza considerare i costi derivanti dal doveroso adempimento degli oneri di sicurezza (come affermato da Consiglio di Stato, sez. III,  27.04.2018, n. 2554).
    In quella vicenda, la III Sezione, pur nella consapevolezza dell’esistenza di orientamenti non univoci, ha riformato la sentenza in accoglimento dell’appello proposto, evidenziando che l’obbligo codificato nell’art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016 non comporta l’automatica esclusione dell’impresa concorrente che, pur senza evidenziare separatamente nell’offerta gli oneri per la sicurezza aziendali, li abbia comunque considerati nel prezzo complessivo dell’offerta.
    In tale direzione sarebbero rilevanti le considerazioni per cui:
    – l’isolato esame dell’art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016 non sarebbe in sé decisivo, nemmeno sulla base dei principi contenuti nella sentenza n. 9 del 25 febbraio 2014 dell’Adunanza Plenaria, per affermare il suo carattere imperativo, a pena di esclusione, e l’effetto ipso iure espulsivo della mancata formale evidenziazione di tali costi nel contesto dell’offerta economica;
    – l’art. 95, comma 10 deve essere letto insieme con l’art. 97, comma 5, lett. c), dello stesso Codice, il quale prevede al contrario – e in coerenza con l’art. 69, par. 2, lett. d), della Direttiva 2014/24/UE e con tutto l’impianto della nuova disciplina europea – che la stazione appaltante escluda il concorrente solo laddove, in sede di chiarimenti richiesti, detti oneri risultino incongrui;
    – tale soluzione non comporterebbe poi alcuna violazione del disposto dell’art. 83, comma 9, d.lgs. n. 50 cit., in quanto il consentire all’impresa di specificare la consistenza degli oneri per la sicurezza già inclusi (ma non distinti) nel prezzo complessivo dell’offerta non si tradurrebbe in alcuna manipolazione o alterazione in corso di gara dell’offerta stessa contrastante con le regole di trasparenza e parità di trattamento tra le concorrenti;
    – in base al canone interpretativo di cui al brocardo ubi lex voluit dixit ubi noluit tacuit, l’aggiunta di un diverso ed ulteriore adempimento rispetto a quelli tipizzati finirebbe per far dire alla legge una cosa che legge non dice e che, si presume, non voleva dire;
    – se il primo indirizzo privilegia il principio di par condicio competitorum, il secondo orientamento sembrerebbe inteso a salvaguardare i diversi principi di massima partecipazione alle gare e di tassatività e tipicità delle cause di esclusione di cui all’art. 83, comma 8 del nuovo. In base a tale disposizione le cause di esclusione dalla gara, in quanto limitative della libertà di concorrenza, devono essere ritenute di stretta interpretazione, senza possibilità di estensione analogica (cfr. Cons. St., sez. V,  n. 2064 del 2013), per cui in caso di equivocità delle disposizioni deve essere preferita l’interpretazione che, in aderenza ai criteri di proporzionalità e ragionevolezza, eviti eccessivi formalismi e illegittime restrizioni alla partecipazione;
    -l’esclusione non potrebbe farsi derivare automaticamente dall’applicazione della legge, non prevedendo l’art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016 alcuna sanzione espulsiva né richiedendo tale disposizione alcuna “specifica” indicazione degli oneri per la sicurezza interna. Secondo tale orientamento, infatti, ciò non sarebbe casuale in quanto il legislatore nazionale, nell’attuare la Direttiva 2014/247UE, non si è realmente discostato dall’orientamento sostanzialistico del diritto dell’Unione, espressamente posto dall’art. 57 di tale Direttiva), e non ha mai inteso comprendere l’inadempimento di questo mero obbligo formale – la mancata indicazione degli oneri per la sicurezza interna separatamente dalle altre voci dell’offerta – tra le cause di esclusione;
    – la formalistica ipotesi escludente contrasterebbe sia con la lettera dell’art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016, non comminante espressamente l’effetto espulsivo, sia con la ratio della norma, la cui finalità è quella di consentire la verifica della congruità dell’offerta economica anche sotto il profilo degli oneri aziendali “concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro”, ritenuto dal codice di particolare importanza per la salute dei lavoratori, in sede verifica dell’anomalia, in coerenza con le previsioni del legislatore europeo nell’art. 18, par. 2, e nell’art. 69, par. 2, lett. d), della Direttiva 2014/24/UE e nel Considerando n. 37 della stessa Direttiva, il quale rimette agli Stati membri l’adozione di misure non predeterminate al fine di garantire il rispetto degli obblighi in materia di lavori;
    – la direttiva 2014/24/UE di cui le norme del nuovo Codice costituiscono attuazione avrebbe “replicato” senza sostanziali modifiche la previgente direttiva 2004/18/CE, in virtù della quale la mancanza di indicazioni, da parte degli offerenti, del rispetto di tali obblighi non determinerebbe automaticamente l’esclusione dalla procedura di aggiudicazione;
    – la soluzione automaticamente escludente si porrebbe, quindi, in contrasto con i principi dell’Unione (per tutte Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sez. VI, 10 10 novembre 2016, in C/162/16), ove l’impresa dimostri, almeno in sede di giustificazioni, che sostanzialmente la sua offerta comprenda gli oneri per la sicurezza e che tali oneri siano congrui.

    L’Alto Consesso  ha evidenziato come ai fini della decisione risulti necessario risolvere alcune questioni relative alla conformità delle disposizioni nazionali dinanzi richiamate con il diritto dell’Unione europea primario e derivato e che sia dunque necessario sollevare una questione per rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).
    Va in primo luogo precisato che questo Giudice ritiene che il pertinente quadro giuridico nazionale imponga di aderire alla tesi secondo cui, nelle circostanze pertinenti ai fini del decidere, la mancata puntuale indicazione in sede di offerta dei costi della manodopera comporti necessariamente l’esclusione dalla gara e che tale lacuna non sia colmabile attraverso il soccorso istruttorio.
    Ritiene anche che, ai sensi del diritto nazionale, siccome l’obbligo di separata indicazione di tali costi è contenuto in disposizioni di legge dal carattere sufficientemente chiaro per gli operatori professionali, la mancata riproduzione di tale obbligo nel bando e nel capitolato della gara non potrebbe comunque giovare a tali operatori in termini di scusabilità dell’errore.
    Questo Consiglio di Stato si domanda tuttavia se il quadro normativo nazionale in tal modo ricostruito risulti in contrasto con le pertinenti disposizioni e princìpi del diritto dell’Unione europea, con particolare riguardo ai princìpi di legittimo affidamento, di certezza del diritto, di libera circolazione, d libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi.
    Qui di seguito si indicheranno le ragioni per cui si ritiene che la pertinente normativa nazionale debba necessariamente essere interpretata nel senso di comportare l’esclusione del concorrente che non abbia ottemperato all’obbligo legale di indicare separatamente i costi della manodopera e della sicurezza dei lavoratori, senza che possa essere invocato il beneficio del c.d. ‘soccorso istruttorio’.
    Ci si domanderà in seguito se tale interpretazione sia conforme al diritto dell’Unione europea.

    Il primo argomento che conferma la conclusione dinanzi richiamata sub 3.4 deriva dalla pertinente giurisprudenza della Corte di Giustizia.
    Si osserva al riguardo che l’illegittimità dei provvedimenti di esclusione di un concorrente per violazione di obblighi da lui non adeguatamente conoscibili è stata ritenuta dalla Corte di giustizia in relazione a ipotesi in cui tali obblighi non emergevano con chiarezza “dai documenti di gara o dalla normativa nazionale” (in tal senso, la sentenza 2 giugno 2016 in causa C-27/15 – Pippo Pizzo – e la sentenza 10 novembre 2016 in causa C-140/16 – Edra Costruzioni).
    Ma il punto è che attualmente esiste una disposizione del diritto nazionale che fissa in modo del tutto chiaro tale obbligo (si tratta del più volte richiamato art. 95, comma 10 del ‘Codice dei contratti pubblici’ del 2006).
    Del resto, nessun argomento sembra sostenere la tesi secondo cui una clausola escludente potrebbe operare solo se espressamente richiamata dal bando o dal capitolato e non anche direttamente in base a una legge adeguatamente chiara, come l’art.  95 comma 10, citato.
    Se si aderisse a tale impostazione (non condivisa da questo Giudice del rinvio) si determinerebbe l’effetto, evidentemente contrario al generale principio di legalità, per cui sarebbe la stazione appaltante a scegliere quali disposizioni imperative di legge rendere in concreto operanti e quali no, semplicemente richiamandole ovvero non richiamandole nei bandi e nei capitolati.

    Il secondo argomento che conferma la conclusione dinanzi richiamata è di carattere testuale.
    L’art. 83, comma 9 del ‘Codice dei contratti pubblici’ italiano (nella formulazione che qui rileva) stabilisce che il soccorso istruttorio è espressamente escluso per le carenze dichiarative relative “all’offerta economica e all’offerta tecnica”.
    A sua volta l’art. 95, comma 10, stabilisce in modo espresso che i costi della manodopera e quelli per la sicurezza dei lavoratori costituiscono, appunto, elementi costitutivi dell’offerta economica.
    Lo stesso art.  95, comma 10, stabilisce, poi, che i concorrenti hanno l’obbligo di “indicare” tali costi e non soltanto quello – più generico – di “tenerne conto” ai fini della formulazione dell’offerta.
    Ne consegue che, in base ad espresse disposizioni del diritto nazionale, la mancata indicazione dei costi per la manodopera e la sicurezza dei lavoratori non sia sanabile attraverso il meccanismo del c.d. ‘soccorso istruttorio’ in quanto tale ancata indicazione è espressamente compresa fra i casi in cui il soccorso non è ammesso.

    Il terzo argomento che conferma la conclusione dinanzi richiamata deriva dalla pertinente giurisprudenza nazionale.
    In particolare, la sentenza dell’Adunanza plenaria n. 9 del 2014, nell’interpretare il principio legale della tipicità e tassatività delle cause di esclusione dalle pubbliche gare (oggi fissato all’art. 83, comma 8 del ‘Codice’), ha chiarito che nella materia delle pubbliche gare esiste una causa di esclusione per ogni norma imperativa che preveda in modo espresso un obbligo o un divieto (laddove l’obbligo non venga rispettato o il divieto venga trasgredito).
    In questi casi – per come chiarito da tale sentenza – la norma imperativa di legge sortisce l’effetto di integrare dall’esterno le previsioni escludenti contenute nel bando e nel capitolato di gara (c.d. effetto di etero-integrazione).
    Ebbene, l’art.  95, comma 10, del ‘Codice’ stabilisce – con previsione chiara e di carattere imperativo – che i richiamati oneri debbano essere espressamente indicati in sede di offerta.
    Quindi, combinando il principio giurisprudenziale espresso dall’Adunanza plenaria con la sentenza n. 9 del 2014 e l’espresso obbligo legale di indicazione di cui all’art. 95, comma 10, ne consegue che la mancata ottemperanza a tale obbligo legale comporti necessariamente l’esclusione dalla gara.

    Il quarto argomento che conferma la conclusione dinanzi richiamata sub 3.4 deriva anch’esso dalla pertinente giurisprudenza nazionale.
    In particolare, la sentenza dell’Adunanza plenaria n. 3 del 2015 (che è stata resa in base al quadro normativo anteriore al nuovo Codice dei contratti pubblici) ha stabilito che “nelle procedure di affidamento di lavori i partecipanti alla gara devono indicare nell’offerta economica i costi interni per la sicurezza del lavoro, pena l’esclusione dell’offerta dalla procedura anche se non prevista nel bando di gara”.
    La successiva sentenza dell’Adunanza plenaria n. 9 del 2015 (nel chiarire quanto già affermato dalla precedente sentenza n. 3 del 2015) ha affermato che “non sono legittimamente esercitabili i poteri attinenti al soccorso istruttorio, nel caso di omessa indicazione degli oneri di sicurezza aziendali, anche per le procedure nelle quali la fase della presentazione delle offerte si è conclusa prima della pubblicazione della decisione dell’Adunanza Plenaria n.3 del 2015”;
    Sul punto controverso l’Adunanza plenaria è poi tornata con la sentenza n. 19 del 2016 (che è stata invece resa sulla base del quadro normativo successivo all’entrata in vigore del Codice del 2016).
    La sentenza in questione (dopo aver premesso di non intendere discostarsi da quanto affermato dalla precedente sentenza n. 9 del 2015, ma di operare un mero chiarimento di carattere temporale) ha stabilito che, in caso di mancata indicazione dei richiamati oneri, il soccorso istruttorio è ammesso, ma solo per le gare indette prima dell’entrata in vigore del nuovo Codice dei contratti.
    La stessa sentenza, al punto 37, ha affermato che in tali casi il beneficio del soccorso istruttorio si giustifica (per le sole gare indette prima dell’entrata in vigore del Codice del 2016) in quanto “nell’ordinamento nazionale mancava una norma che, in maniera chiara e univoca, prescrivesse espressamente la doverosità della dichiarazione relativa agli oneri di sicurezza”.
    Per tali ipotesi il beneficio del soccorso istruttorio si giustificava quindi al fine di assicurare il rispetto dei princìpi di certezza del diritto, di tutela dell’affidamento, di trasparenza, proporzionalità e par condicio.
    Tuttavia, una volta introdotta nell’ordinamento nazionale una disposizione (quale l’art. 95, comma 10, del nuovo Codice) la quale enuncia in modo espresso l’obbligo di indicare in modo separato i costi per la sicurezza e quelli per la sicurezza dei lavoratori, è venuta meno la ragione (unica) che aveva indotto l’Adunanza plenaria (con la sentenza n. 19 del 2016) ad ammettere il soccorso istruttorio in caso di mancata indicazione di tali costi da parte del concorrente.
    Non a caso, la stessa sentenza n. 19 del 2016 precisava che la questione dovesse considerarsi ormai superata per le vicende sorte dopo l’entrata in vigore del nuovo Codice, “che ora risolve la questione prevedendo espressamente, all’art. 95, comma 10, l’obbligo di indicare gli oneri di sicurezza” (punto 37 della motivazione).

    Il quinto argomento che conferma la conclusione sopra richiamata è di carattere sostanziale.
    Va premesso al riguardo che l’obbligo di indicare i costi della manodopera e quelli per la sicurezza dei lavoratori risponde all’evidente esigenza di rafforzare gli strumenti di tutela dei lavoratori, di responsabilizzare gli operatori economici e di rendere più agevoli ed efficaci gli strumenti di vigilanza e controllo da parte delle amministrazioni.
    Ebbene, in particolare negli appalti ad alta intensità di manodopera (in cui gli oneri lavorativi sono la parte prevalente – o pressoché esclusiva – degli oneri di impresa), il concorrente che formuli un’offerta economica omettendo del tutto di specificare quali siano gli oneri connessi alle prestazioni lavorative non commette soltanto una violazione di carattere formale, ma presenta un’offerta economica di fatto indeterminata nella sua parte più rilevante, in tal modo mostrando un contegno certamente incompatibile con l’onere di diligenza particolarmente qualificata che ci si può ragionevolmente attendere da un operatore professionale.

    Per le ragioni sin qui evidenziate deve concludersi nel senso che il quadro normativo nazionale deve necessariamente essere inteso nel senso di comportare l’esclusione del concorrente il quale non abbia ottemperato all’obbligo legale di separata indicazione dei costi della manodopera e della sicurezza dei lavoratori, senza che tale concorrete possa invocare il beneficio del c.d. soccorso istruttorio.

    Occorre a questo punto domandarsi se il quadro normativo interno così interpretato e ricostruito risulti compatibile con il diritto dell’Unione europea.

    fonte: sito della G.A.

    Clausola sociale – Distrazione del lavoratore in altra commessa – Scostamento dalle tabelle ministeriali (art. 50 d.lgs. n. 50/2016)

    Consiglio di Stato, sez. III,  09.11.2018 n. 6326

    E’ sufficiente sul punto ricordare che la giurisprudenza di questa Sezione (da ultimo,  Consiglio di Stato, sez. III, 27.09.2018, n. 5551), che il Collegio condivide e fa propria, ha affermato che la cd. clausola sociale (art. 50 d.lgs. n. 50/2016) deve essere interpretata conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, risultando altrimenti essa lesiva della concorrenza, scoraggiando la partecipazione alla gara e limitando ultroneamente la platea dei partecipanti, nonché atta a ledere la libertà d’impresa, riconosciuta e garantita dall’art. 41 Cost., che sta a fondamento dell’autogoverno dei fattori di produzione e dell’autonomia di gestione propria dell’archetipo del contratto di appalto. Corollario obbligato di questa premessa è che tale clausola deve essere interpretata in modo da non limitare la libertà di iniziativa economica e, comunque, evitando di attribuirle un effetto automaticamente e rigidamente escludente; conseguentemente, l’obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell’appaltatore uscente, nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile con l’organizzazione di impresa prescelta dall’imprenditore subentrante (Consiglio di Stato, sez. III, 05.05.2017 n. 2078). Quindi, secondo questo condivisibile indirizzo la clausola sociale funge da strumento per favorire la continuità e la stabilità occupazionale dei lavoratori, ma nel contempo non può essere tale da comprimere le esigenze organizzative dell’impresa subentrante che ritenga di potere ragionevolmente svolgere il servizio utilizzando una minore componente di lavoro rispetto al precedente gestore, e dunque ottenendo in questo modo economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento (Consiglio di Stato, sez. V, 7 giugno 2016, n. 2433; id., sez. III, 30 marzo 2016, n. 1255; id. 9 dicembre 2015, n. 5598; id. 5 aprile 2013, n. 1896; id., sez. V, 25 gennaio 2016, n. 242; id., sez. VI, 27 novembre 2014, n. 5890).
    (…) giova ricordare, al fine di rafforzare la legittimità della distrazione di un lavoratore, assunto in virtù della clausola sociale, in altra commessa, che la giurisprudenza (Cons. St., sez. III, 5 maggio 2017, n. 2078) ha affermato che i lavoratori, che non trovano spazio nell’organigramma dell’appaltatore subentrante e che non vengano ulteriormente impiegati dall’appaltatore uscente in altri settori, sono destinatari delle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali; la clausola non comporta invece alcun obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata il personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria (Consiglio di Stato, sez. III, 30 marzo 2016, n. 1255).
    (…)
    Giova aggiungere che la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che non sussiste una soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta deve essere considerata anomala, poiché anche un utile modesto può comportare un vantaggio significativo per l’impresa anche in termini di qualificazione per essere stata aggiudicataria di un determinato appalto, e inoltre che l’impresa aggiudicataria può, al fine di giustificare la congruità dell’offerta, rimodulare le quantificazioni dei costi e dell’utile indicate inizialmente nell’offerta, purché non ne risulti una modifica degli elementi compositivi tali da pervenire ad un’offerta diversa rispetto a quella iniziale (Consiglio di Stato, sez. V, 12.09.2018 n. 5332; id., sez. VI, 5 giugno 2015, n. 2770).
    (…)
    Ricorda il Collegio come sia giurisprudenza consolidata quella secondo cui lo scostamento del costo del lavoro rispetto ai valori ricavabili dalle tabelle ministeriali o dai contratti collettivi non può comportare, di regola e di per sé, un automatico giudizio di inattendibilità (Consiglio di Stato, sez. III, 18 settembre 2018, n. 5444; id. 14 maggio 2018, n. 2867; id., sez. V, 25 ottobre 2017, n. 4912), occorrendo invece che sussistano discordanze “considerevoli” e ingiustificate rispetto a tali valori (Cons. St., sez. V, 12 settembre 2018, n. 5332).

    Costo aziendale e prezzo offerto: distinzione ed incidenza sulla verifica di anomalia

    Va evitata una indebita sovrapposizione tra i concetti di costo aziendale e di prezzo offerto per le singole prestazioni oggetto di gara. Si tratta, infatti, di nozioni distinte, essendo del tutto fisiologico che il prezzo delle prestazioni offerte, incluse quelle inerenti al personale, possa essere superiore al relativo costo aziendale (cfr., al riguardo, TAR Aosta, 15.04.2015 n. 29).
    Tale eventualità, praltro, non giustifica l’esclusione del contraente, ma semmai contribuisce a comprovare la sostenibilità della sua offerta, mentre a risultare potenzialmente patologico e a richiedere un approfondimento della stazione appaltante è soltanto il caso opposto, in cui siano indicate in gara voci di offerta di valore inferiore rispetto ai relativi costi aziendali.

    Diversamente ragionando, infatti, si legittimerebbe un’indebita intromissione della stazione appaltante nell’organizzazione interna del contraente.
    Risulta concettualmente estranea al giudizio di anomalia la possibilità per la stazione appaltante di escludere il concorrente non già per la ritenuta formulazione di un’offerta eccessivamente bassa, e come tale non sostenibile, ma – al contrario – per aver indicato prezzi superiori rispetto al costo aziendale delle singole prestazioni offerte. In una tale ipotesi, infatti, la verifica di anomalia non può che concludersi positivamente per il concorrente, atteso che la copertura del costo aziendale delle prestazioni garantisce proprio la sostenibilità della commessa.

    Neppure può ritenersi che l’indicazione, in sede di verifica di anomalia, di costi aziendali inferiori rispetto ai prezzi delle prestazioni offerte dia luogo a una manipolazione non consentita dell’offerta. Deve infatti tenersi presente l’obiettivo della verifica di anomalia, la quale può consentire alla stazione appaltante di giudicare non sostenibile l’offerta da parte del concorrente, sulla base di una valutazione complessiva delle giustificazioni da questi offerte in ordine ai propri costi aziendali, ma non permette, viceversa, di sindacare la strategia e l’organizzazione d’impresa del partecipante, prendendo in considerazione l’esistenza di un eventuale margine positivo tra i costi aziendali e i prezzi delle prestazioni offerte (in tal senso, TAR Roma, 07.02.2018 n. 1505).

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      Costo del personale – Monte ore teorico e costo reale – Differenza ai fini della verifica di anomalia (art. 97 d.lgs. n. 50/2017)

      TAR Bologna, 19.12.2017 n. 854

      Per il costo orario del personale da dimostrare in sede di verifica dell’anomalia dell’offerta non va assunto a criterio di calcolo il “monte ore teorico”, comprensivo cioè anche delle ore medie annue non lavorate (per ferie, festività, assemblee, studio, malattia, formazione, etc.) di un lavoratore che presti servizio per tutte l’anno, ma va considerato il “costo reale” (o costo ore lavorate effettive, comprensive dei costi delle sostituzioni). Il costo tabellare medio, infatti, è indicativo di quello “effettivo”, che include i costi delle sostituzioni cui il datore di lavoro deve provvedere per ferie, malattie e tutte le altre cause di legittima assenza dal servizio (Consiglio di Stato 2815/2017).

      Determinazione dei costi della manodopera – Applicazione di un Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro differente da quello praticato dall’impresa – Valutazione in sede di verifica dell’anomalia – Differenza tra costo medio orario e minimi salariali (art. 23 , art. 95 , art. 97 d.lgs. n. 50/2016)

      TRGA Bolzano, 30.10.2017 n. 299

      L’art. 36 della legge 20.5.1970, n. 300 “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”, stabilisce che “…nei capitolati di appalto attinenti all’esecuzione di opere pubbliche, deve essere inserita la clausola esplicita determinante l’obbligo per il beneficiario o appaltatore di applicare o di far applicare nei confronti dei lavoratori dipendenti condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona”, e l’art. 30, comma 4 del D.lgs. 18.4.2016, n. 50 prevede che “Al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente”.
      La normativa vigente consente, pertanto, che possa essere applicata più di una tipologia di C.C.N.L. esistente, a condizione che il tipo di contratto scelto sia connesso e compatibile con l’effettiva attività da espletare.
      Sulla questione la giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che:
      – è rimessa alla stazione appaltante la scelta dei requisiti da richiedere e tra questi non può esservi l’applicazione di un determinato contratto collettivo nazionale di lavoro, qualora una o più tipologie di questi si possano adattare alle prestazioni da affidare all’aggiudicatario (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 5597/2015);
      – l’applicazione di un determinato contratto collettivo non può essere imposta dalla lex specialis alle imprese concorrenti quale requisito di partecipazione né la mancata applicazione di questo può essere a priori sanzionata dalla stazione appaltante con l’esclusione, sicché deve negarsi in radice che l’applicazione di un determinato contratto collettivo anziché di un altro possa determinare, in sé, l’inammissibilità dell’offerta (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 5597/2015);
      – la scelta del contratto collettivo da applicare rientra nelle prerogative di organizzazione dell’imprenditore e nella libertà negoziale delle parti, col solo limite che esso risulti coerente con l’oggetto dell’appalto (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 1.3.2017, n. 932 e 12.5.2016, n. 1901; Sez. III, 10.2.2016, n. 589);
      – l’imposizione univoca di un determinato contratto di lavoro costituisce una violazione del principio di libera iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost. e del derivato principio di libera contrattazione delle condizioni di lavoro previsto nel nostro ordinamento (cfr. TAR Toscana, Sez. I, 11.7.2013, n. 1160; TAR Parma, 1.2.2017, n. 33).
      Invero, per completezza, va detto che è stato anche affermato che l’indicazione dell’applicazione di uno specifico contratto può eventualmente essere indicata nella legge di gara e ciò anche a pena di esclusione, ma certo è che tale clausola deve rispondere ad una ferrea logica di correlazione tra requisiti da indicare e prestazioni da appaltare, purché in caso contrario il principio del favor partecipationis ne risulterebbe gravemente sminuito ed in conclusione la legge di gara sarebbe stata emanata in assoluta violazione del principio di concorrenza (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 5.10.2016, n. 4109).
      (…)
      Ad ogni modo, in caso di perplessità l’art. 83, co. 9 del D.lgs. n. 50/2016 ben consente alla stazione appaltante di fare ricorso, in caso di carenza di qualsiasi elemento formale, all’istituto del soccorso istruttorio.
      Per quanto attiene, infine, al costo del personale, che la stazione appaltante deduce essere inferiore ai minimi salariali retributivi indicati, va osservato che il citato art. 23, co 16, d.lgs. 50/2016 prevede che “Per i contratti relativi a lavori, servizi e forniture, il costo del lavoro è determinato annualmente, in apposite tabelle, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali sulla base dei valori economici definiti dalla contrattazione collettiva nazionale tra le organizzazioni sindacali e le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali …”.
      Dalle suddette tabelle ministeriali non è tuttavia possibile ottenere il livello salariale minimo di cui all’art. 97, co. 5, lett. d), poiché dalle stesse è possibile ricavare esclusivamente il differente dato del “costo medio orario del lavoro”.
      Come affermato dalla giurisprudenza, “in tema di valutazione della anomalia dell’offerta anche nella vigenza del nuovo Codice dei contratti pubblici vige il principio secondo cui i costi medi della manodopera, indicati nelle tabelle ministeriali, non assumono valore di parametro assoluto ed inderogabile, ma svolgono una funzione indicativa, suscettibile di scostamento in relazione a valutazioni statistiche ed analisi aziendali evidenzianti una particolare organizzazione in grado di giustificare la sostenibilità di costi inferiori; esprimendo solo una funzione di parametro di riferimento è allora possibile discostarsi da tali costi, in sede di giustificazioni dell’anomalia, sulla scorta di una dimostrazione puntuale e rigorosa” (cfr. Tar Lazio, Sez. I ter, 30.12.2016, n. 12873).