Nel collaudo dei manufatti eretti a seguito di un appalto pubblico la somma da corrispondersi a chi effettua la verifica deve essere calcolata sulla base della disciplina vigente al momento di conferimento dell’incarico. Lo afferma la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 12681 depositata il giorno 9 Maggio 2024.
Il caso di specie deriva da una controversia che vedeva contrapposti appaltatore e collaudatore circa i criteri da utilizzarsi per la determinazione della somma da corrispondere al secondo.
Il Tribunale in primo grado applicava quale base di calcolo i criteri derivanti dalla disciplina vigente al momento del conferimento dell’incarico.
La Corte di appello alla quale si era rivolto l’appaltatore confermava la sentenza emessa da parte dei giudici di primo grado utilizzando le medesime modalità.
Ulteriore fase procedurale innanzi alla Cassazione a seguito dell’iniziativa dell’appaltatore che deduceva l’errata applicazione della normativa da parte dei giudici di merito che non avevano considerato le mutate condizioni dei rapporti tra le due controparti.
Il procedimento dopo avere compiuto il proprio corso veniva deciso da parte dei giudici della Corte di cassazione con il provvedimento in commento.
La questione si rivela non priva di notevoli risvolti di carattere pratico in quanto l’utilizzo di una data o di un altra può determinare consistenti modifiche nell’ammontare della somma da corrispondere al collaudatore. Essa comunque viene risolta da parte degli Ermellini sulla base di un indirizzo già presente radicatosi in seno al Supremo Collegio. La Corte di cassazione infatti con la precedente sentenza n.13456/2021 aveva individuato il principio di diritto applicabile a tali casi ai sensi del quale la disciplina utilizzabile era quella derivante dalle pattuizioni intercorse tra le parti e delle norme vigenti al momento del conferimento dell’incarico. Solo tali criteri possono essere impiegati, nessun effetto avranno invece le modifiche intervenute successivamente e nessuna considerazione inoltre dovrà essere attribuita al momento di effettiva esecuzione delle operazioni di collaudo che non potrà fungere da criterio temporale utilizzabile per la determinazione della somma.
Tale modalità di calcolo del compenso spettante a chi effettui il collaudo di un opera realizzata a seguito della conclusione di un contratto di appalto pubblico trova una propria base normativa nei criteri di calcolo previsti per le professioni intellettuali regolamentate dagli articoli 2230 e 2233 del Codice Civile.
La motivazione del provvedimento compie una importante precisazione circa le modalità di calcolo che dovranno trovare la propria base non solo nelle pattuizioni delle parti ma altresì nel contenuto di eventuali discipline vigenti nello specifico settore.
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Dipendente pubblico: per le attività di RUP, Progettista, DL, Collaudatore serve iscrizione ad Albo professionale ?
Quesito: Si chiede di sapere se il tecnico, pubblico dipendente, al fine di svolgere, per conto dell’Amministrazione, le attività rientranti nel proprio mansionario (RUP, Progettista, DL, collaudatore) debba necessariamente essere iscritto all’albo professionale e se le spese di iscrizione, nonché i costi dei corsi obbligatori di aggiornamento debbano restare a suo carico o debbano essere rimborsate dall’Amministrazione. Si ritiene che per lo svolgimento delle attività di RUP sia sufficiente l’abilitazione professionale e non l’ulteriore requisito dell’iscrizione all’albo (art. 4 All. I.2 al D.Lgs. 36/23). Il comma 3 del medesimo articolo prevede, altresì, che “il RUP può svolgere […] anche le funzioni di progettista e direttore dei lavori”, pertanto anche per la progettazione e la direzione lavori si ritiene sufficiente la mera abilitazione. Anche per l’attività di collaudo è richiesta, dalla nuova normativa, la mera abilitazione all’esercizio della professione di ingegnere o architetto (art. 14 All. II.14 al D.Lgs 36/23). Solo per il collaudo statico è richiesta l’iscrizione all’albo da almeno 10 anni. Tuttavia l’ipotesi che l’Amministrazione richieda ai propri tecnici di svolgere il collaudo statico è remotissima (stante la limitata competenza di questa Amministrazione nei lavori pubblici, risulta più conveniente acquisire il servizio esternamente mediante procedure ad evidenza pubblica). Alla luce di quanto esposto si ritiene che il tecnico, pubblico dipendente, non sia tenuto ad iscriversi al proprio ordine professionale per svolgere alcuna delle attività che rientrano nel suo mansionario e conseguentemente l’Amministrazione non è tenuta, in alcun modo, a rimborsare al dipendente i relativi costi. Questo appare, allo stato, l’esito dell’analisi normativa risultante dal D.Lgs 36/23, tuttavia considerato che la riforma è recentissima, si chiede al Supporto Giuridico di esprimere il proprio parere sull’argomento.
Risposta aggiornata: Si conferma l’interpretazione data, purchè ricorrano le condizioni di cui all’art. 4 comma 2 dell’allegato I.2 del Dlgs 36/23. Per quanto attiene le funzioni di cui al comma 3 dell’art. 4 del medesimo allegato è sufficiente la mea abilitazione purchè, le funzioni di RUP, progettista e direttore dei lavori non coincidano nel caso di lavori complessi o di particolare rilevanza sotto il profilo architettonico, ambientale, storico-artistico e conservativo, oltre che tecnologico, nonché nel caso di progetti integrali ovvero di interventi di importo pari o superiore alla soglia di cui all’articolo 14 del codice. (Parere MIT n. 2260/2023)