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Affitto ramo d’azienda – SOA originaria – Mancato rinnovo o aggiornamento – Perdita dei requisiti di qualificazione (art. 84 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. V, 18.08.2021 n. 5916

8.3. Correttamente la sentenza di prime cure ha dunque accolto in parte qua il ricorso e annullato l’aggiudicazione, ritenendo fondata la censura sulla violazione del principio di continuità nel possesso dei requisiti di qualificazione in capo alla Italscavi.
8.4. La sentenza ha anzitutto puntualmente chiarito che l’affitto d’azienda ha determinato (come nel caso di cessione) una modificazione soggettiva e il venir meno dei requisiti che avevano consentito il rilascio dell’attestazione SOA in capo a -Omissis-: attestazione che doveva, per converso, perdurare per tutta l’esecuzione del contratto, non risultando invece neppure che la cedente abbia chiesto una nuova attestazione, sì che essa non potrebbe valersi dell’attestazione SOA rilasciata sulla base di una realtà aziendale diversa rispetto a quella risultante a seguito dell’affitto. La sentenza ha inoltre opportunamente richiamato, siccome dirimente ai fini della decisione del primo motivo di ricorso, il contenuto e la ratio del principio di continuità nel possesso dei requisiti di qualificazione, per poi chiarire le modalità con cui lo stesso principio operi nel caso di modificazioni soggettive dei concorrenti.
Suddetto principio richiede che il possesso dei requisiti di ammissione alla gara sussista a partire dall’atto di presentazione della domanda di partecipazione e permanga per tutta la durata della procedura di evidenza pubblica (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. IV, 18 aprile 2014, n. 1987; Cons. Stato, sez. V, 30 settembre 2013, n. 4833 e 26 marzo 2012, n. 1732; Cons. Stato, sez. III, 13 luglio 2011, n. 4225; Cons. Stato, Ad. pl., 25 febbraio 2014, n. 10; nn. 15 e 20 del 2013; nn. 8 e 27 del 2012; n. 1 del 2010). Tale principio, spiega l’Adunanza Plenaria, per esigenze di “trasparenza e di certezza del diritto” deve ritenersi immanente all’intero procedimento di evidenza pubblica, a prescindere dalla indicazione, da parte del legislatore, di specifiche fasi espressamente dedicate alla verifica dei requisiti.
8.5. Sulla ratio di tale principio giova richiamare espressamente, come fatto dall’appellata sentenza, alcuni passaggi dell’Adunanza Plenaria, 20 luglio 2015 n. 8, laddove in particolare si afferma che: «Proprio perché la verifica può avvenire in tutti i momenti della procedura (a tutela dell’interesse costante dell’Amministrazione ad interloquire con operatori in via permanente affidabili, capaci e qualificati), allora in qualsiasi momento della stessa deve ritenersi richiesto il costante possesso dei detti requisiti di ammissione; tanto, vale la pena di sottolineare, non in virtù di un astratto e vacuo formalismo procedimentale, quanto piuttosto a garanzia della permanenza della serietà e della volontà dell’impresa di presentare un’offerta credibile e dunque della sicurezza per la stazione appaltante dell’instaurazione di un rapporto con un soggetto, che, dalla candidatura in sede di gara fino alla stipula del contratto e poi ancora fino all’adempimento dell’obbligazione contrattuale, sia provvisto di tutti i requisiti di ordine generale e tecnico-economico-professionale necessari per contrattare con la P.A (…). E tale specifico onere di continuità in corso di gara del possesso dei requisiti, è appena il caso di rilevarlo, non solo è del tutto ragionevole, siccome posto a presidio dell’esigenza della stazione appaltante di conoscere in ogni tempo dell’affidabilità del suo interlocutore “operatore economico” (e dunque di poter monitorare stabilmente la perdurante idoneità tecnica ed economica del concorrente ), ma è altresì non sproporzionato, essendo assolvibile da quest’ultimo in modo del tutto agevole, mediante ricorso all’ordinaria diligenza, che gli operatori professionali devono tenere al fine di poter correttamente insistere e gareggiare nel concorrenziale mercato degli appalti pubblici; il che significa, per quanto qui ne occupa, garantire costantemente la qualificazione loro richiesta e la possibilità concreta della sua dimostrazione e verifica (…)».
8.6. Come noto, e come ribadito dalla stessa Adunanza Plenaria, l’attestazione SOA costituisce lo strumento necessario e sufficiente, nonché esclusivo, “di dimostrazione del possesso dei requisiti partecipazione alla gara”, che deve quindi permanere durante tutte le fasi della procedura di gara, anche in fase di esecuzione.
I riflessi delle modifiche soggettive sull’attestazione SOA sono stati approfonditamente esaminati dalla giurisprudenza amministrativa. In particolare, la giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, sez, V, 16 gennaio 2015, n. 70) ha già chiarito che “… nel caso di cessione di ramo d’azienda, né il cedente né il cessionario possono valersi della attestazione di qualificazione posseduta dall’azienda ceduta, pur potendo richiederne una nuova alla società di attestazione. La nuova attestazione avrà però efficacia solo dopo il suo rilascio, vale a dire dopo che sono stati effettuati tutti i controlli del caso, lasciando l’azienda cessionaria, durante il periodo che intercorre tra l’incorporazione del ramo e l’ottenimento della nuova attestazione SOA, priva dell’attestato di qualificazione”; ne segue che, stante il disposto dell’art. 79, comma 11, del d.P.R. n. 207/2010, l’azienda che ceda un proprio ramo è onerata di “richiedere alla SOA una nuova attestazione”, di modo che “a seguito di tale richiesta, la società di attestazione instaura un nuovo procedimento di valutazione dei requisiti oggetto di trasferimento e di quelli acquisiti successivamente allo stesso, che si conclude, sussistendone le condizioni, con il rilascio alla cedente della nuova attestazione di qualificazione”; in mancanza si verifica irrimediabilmente una “soluzione di continuità” nel possesso dell’attestato di qualificazione, con conseguente perdita del requisito.
Invero, la consolidata giurisprudenza, dalla quale non vi è ragione di discostarsi, ha statuito che “… la cessione del ramo d’azienda non comporta, di per sé, l’automatica decadenza dalla qualificazione, occorrendo, per contro, procedere a una valutazione in concreto dell’atto di cessione, da condursi sulla base degli scopi perseguiti dalle parti e dell’oggetto del trasferimento. Per tal via, non è dubbio che l’accertamento positivo effettuato dalla SOA, su richiesta o in sede di verifica periodica, in ordine al mantenimento dei requisiti di qualificazione da parte dell’impresa cedente, comporti la conservazione dell’attestazione da parte della stessa senza soluzione di continuità, laddove – all’incontro – l’omessa verifica, a fronte del trasferimento di azienda, determina, tanto rispetto alla cedente quanto rispetto alla cessionaria, una soluzione di continuità nel possesso dei requisiti” (cfr. Cons. Stato, V, n. 5740/2019 cit.).
8.7. Orbene, tali principi, pur essendo stati affermati con specifico riferimento al caso della cessione di azienda, sono, ad avviso del Collegio, estensibili anche al caso oggetto di giudizio dell’affitto di azienda, ravvisandosi, in entrambe le fattispecie, una modifica soggettiva dell’azienda.
A tale riguardo, giova anzitutto rammentare che l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 3 del 3 luglio 2017pur affermando che non tutti i casi di cessione del ramo di azienda determinano una perdita dei requisiti di qualificazione in capo al cedente, dovendosi accertare, di volta in volta, quale sia la causa concreta del contratto di cessione- ha chiarito in modo rigoroso i presupposti necessari affinché il cedente possa valersi dell’attestazione SOA anche a seguito della cessione di un proprio ramo. L’Adunanza Plenaria n. 3/2017, in particolare, ha affermato che affinché il cedente (nel nostro caso -Omissis-) possa valersi dell’attestazione SOA anche a seguito della cessione, è necessario che, in sede di verifica, su istanza di parte o periodica, la SOA abbia accertato il perdurante possesso in capo ad esso della presenza dei requisiti che avevano consentito l’originaria attestazione SOA.
8.8. Alla luce dei su riportati principi, deve concludersi che, nel caso in esame, dagli atti di causa risulta invece, senza contestazioni sul punto, che, a seguito dell’affitto del ramo di azienda alla -Omissis-, la -Omissis2- non abbia ottenuto (né richiesto) una nuova attestazione, non potendo perciò la stessa più valersi dell’attestazione SOA rilasciata sulla base di una realtà aziendale diversa rispetto a quella risultante a seguito dell’affitto.

[rif. art. 84 d.lgs. n. 50/2016]

Dichiarazioni in caso di cessione d’azienda (art. 80 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. IV, 03.05.2021 n. 3481

In primo luogo e in linea generale, si osserva che l’orientamento della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato è nel senso della necessità di interpretare in senso restrittivo le clausole di esclusione poste dalla legge e dal bando in ordine alle dichiarazioni a cui è tenuta l’impresa concorrente, con conseguente esclusiva prevalenza di una interpretazione che non si discosti dal significato letterale delle espressioni in esse contenute e con preclusione di ogni forma di estensione analogica (cfr. Adunanza plenaria, sent. n. 10 del 2012, che si è espressa con riferimento al previgente art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006, disposizione speculare all’attuale art. 80 d.lgs. cit.).
In secondo luogo, l’art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016 non indica, tra i soggetti tenuti a rendere la dichiarazione in ordine all’assenza di cause di esclusione, gli amministratori del ramo dell’azienda ceduta, per cui la violazione dell’obbligo dichiarativo può verificarsi soltanto quando vi siano chiari indizi in ordine al fatto che, nonostante la intervenuta cessione, vi sia continuità tra precedente e nuova gestione imprenditoriale, in tal caso, infatti, il cessionario, così come si avvale dei requisiti del cedente nell’ambito della partecipazione alle pubbliche gare, risente anche delle conseguenze delle eventuali responsabilità del soggetto cedente e dei suoi amministratori.
Come correttamente rilevato dal giudice di prime cure, l’obbligo dichiarativo non doveva essere assolto per tutti gli amministratori della cooperativa cessionaria, ma è stato assolto con riguardo a quattro delle cinque persone che l’aggiudicataria ha menzionato tra i propri amministratori con dichiarazione rilasciata dal rappresentante della stessa Tekneco: pertanto non si ravvisa alcuna omissione dichiarativa con valenza espulsiva e, conseguentemente, le deduzioni del punto 1.3 dell’appello sono infondate.

8.6. Sotto il distinto profilo della violazione del disciplinare di gara si può prescindere dalla eccezione di inammissibilità sollevata dall’appellata -Omissis-, poiché la censura è infondata.
La previsione del disciplinare di gara richiamata dall’appellante – punto 14.1, lett. g) – afferma che il titolare e/o il legale rappresentante dell’impresa concorrente devono dichiarare sotto la propria responsabilità di non presentare, nella procedura di gara in corso e negli affidamenti di subappalti, dichiarazioni o documentazioni non veritiere.
Si tratta, quindi, di una disposizione di carattere generale, che non impone a pena di esclusione un obbligo dichiarativo aggiuntivo a quello di cui all’art. 80 d.lgs. citato.
La disposizione del disciplinare non risulta essere stata violata, giacché, come più sopra rilevato, l’art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016 non obbliga a dichiarazioni attinenti gli amministratori dell’azienda ceduta, a meno che non si rilevi una continuità tra il soggetto cedente e il soggetto cessionario, tale per cui le responsabilità dei rappresentanti legali dell’azienda ceduta si riverberino sulla cessionaria ovvero nel caso in cui vi siano concrete evidenze in ordine alla carenza dei requisiti di moralità professionale del ramo di azienda ceduto, elemento che però non risulta nel caso di specie.
Nel caso in esame, la società Tekneco, che già operava nel settore dei servizi di raccolta dei rifiuti, ha acquisito un ramo d’azienda della Cooperativa Arcobaleno, operazione che si è invero sostanziata nel subentro in due contratti già sottoscritti dalla Cooperativa (con assunzione dei lavoratori ivi impiegati) e nell’acquisizione di taluni beni strumentali, per cui, alla luce di tali caratteristiche dell’operazione societaria, non si rinvengono elementi di continuità aziendale tra i due soggetti, tali da far ritenere che si sia realizzata una comunanza del centro decisionale che obbligherebbe a rendere le dichiarazioni ex art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016 anche tutti gli amministratori della cedente.

[…]

Peraltro, in proposito, risulta chiaro il ragionamento del giudice di prime cure che, partendo dalla disposizione dell’art. 80. che non prevede l’obbligo di dichiarazione per gli amministratori dell’azienda ceduta, ha inteso precisare – nel solco dell’orientamento dell’Adunanza Plenaria n. 10 del 2012 – che l’obbligo dichiarativo sussiste quando sia in concreto ravvisabile una continuità organizzativa tra la parte cedente e quella cessionaria, nel senso che è la prima con la sua organizzazione originaria che di fatto rende il servizio posto a base di gara, benché esso sia giuridicamente imputabile alla seconda: in tal caso, infatti, si verificherebbe un effetto elusivo della legge, la cui finalità è quella di impedire l’inquinamento dei pubblici appalti derivante dalla partecipazione alle relative procedure di affidamento di soggetti di cui sia accertata la mancanza di rigore comportamentale con riguardo a circostanze gravemente incidenti sull’affidabilità morale e professionale.

Cessione d’azienda – Trasferimento dei requisiti (anche del fatturato) – Idoneità – Subentro (art. 83 d.lgs. n. 50/2016)

TAR Bolzano, 18.11.2019 n. 279

Con un unico, articolato, motivo la società ricorrente lamenta la falsa applicazione dell’art. 83 del Codice degli appalti (D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50), nella parte in cui consente alla stazioni appaltanti di imporre, a pena di esclusione, l’esibizione di un fatturato minimo annuo, sotto diversi profili.
Viene in primo luogo contestato che il Consiglio di Stato, con la decisione dell’Adunanza Plenaria n. 10/2012, abbia posto le basi per sostenere la tesi secondo cui, in caso di successione integrale di un’impresa a un’altra, non possa essere fatto valere, quale requisito di partecipazione, il fatturato maturato dall’azienda dante causa, sul presupposto che esso non rientrerebbe tra i beni trasferiti con l’azienda (art. 2555 c.c.). La ricorrente assume che l’Adunanza Plenaria avrebbe in realtà affermato il principio della continuità dell’attività imprenditoriale, alla luce del quale i medesimi requisiti personali si trasferirebbero in capo al cessionario sia in caso di successione a titolo universale tra le imprese interessate al trasferimento d’impresa, sia anche in caso di cessione o affitto di semplice ramo d’azienda, salvo che non si provi una diversa pattuizione. Ne consegue che l’indicazione contenuta nella sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 22 maggio 2015, n. 2568 (cui fa riferimento il provvedimento di conferma dell’esclusione) si baserebbe su un’interpretazione erronea del citato precedente dell’Adunanza Plenaria.
L’orientamento espresso nella sentenza n. 2568/2015, peraltro, sarebbe stato superato dalla successiva giurisprudenza dello stesso Consiglio di Stato. In particolare, secondo la Sez. III del Consiglio di Stato (30 giugno 2016, n. 2952), la tesi secondo cui il fatturato specifico maturato prima della stipulazione del contratto d’affitto d’azienda, attenendo a un profilo soggettivo dell’attività d’impresa, esulerebbe dal compendio dei beni trasferiti con l’accordo negoziale, non poteva essere condivisa, sia perché non si fonderebbe su alcun dato positivo, sia perché risulterebbe smentita in concreto dal contratto oggetto di controversia. La nuova linea interpretativa sarebbe poi stata ribadita e sviluppata dalla successiva giurisprudenza amministrativa.
La società ricorrente rileva che, in definitiva, ciò che conterebbe sarebbe il requisito della continuità dell’attività d’impresa, requisito esistente nel caso di specie (…)
Ebbene, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, proprio nella citata decisione n. 10 del 2012, ha precisato che le cessioni di azienda o di ramo di azienda, al pari delle fusioni o delle incorporazioni di società, sono suscettibili di comportare la continuità tra la precedente e la nuova gestione imprenditoriale: anche in tali casi, infatti si ha un “passaggio all’avente causa dell’intero complesso dei rapporti attivi e passivi nei quali l’azienda stessa o il suo ramo si sostanzia (tanto da farsi riferimento in giurisprudenza al concetto di trasferimento di universitas…). Il che rende la vicenda ben suscettibile di comportare pur essa la continuità tra precedente e nuova gestione imprenditoriale”.
Osserva il Collegio che, secondo il più recente e condiviso indirizzo giurisprudenziale, la cessione di azienda, al pari dell’affitto d’azienda, mette il cessionario / affittuario nella condizione di potersi giovare dei requisiti e delle referenze in relazione al compendio aziendale: “…appare piuttosto condivisibile l’orientamento della giurisprudenza maggioritaria, che si è espressa nel senso che ‘l’affitto d’azienda, alla stessa stregua della cessione, mette l’affittuario / cessionario, per ciò stesso, in condizione di potersi giovare dei requisiti e delle referenze in relazione al compendio aziendale’ (così Cons. Stato, Sez. V, 3 agosto 2015, n. 3819), che ‘l’atto di cessione di azienda abilita la società subentrante, previa verifica dei contenuti effettivamente traslativi del contratto di cessione, ad utilizzare i requisiti maturati dalla cedente’ (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 6 maggio 2014, n. 2306) e che ‘sono certamente riconducibili al patrimonio di una società o di un imprenditore cessionari prima della partecipazione alla gara di un ramo d’azienda i requisiti posseduti dal soggetto cedente, giacché essi devono considerarsi compresi nella cessione in quanto strettamente connessi all’attività propria del ramo ceduto’ (così Cons. Stato, Sez. V, 10 settembre 2010, n. 6550)” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 17 marzo 2017, n. 1212; nello stesso senso anche Sez. III, 12 dicembre 2018, n. 7022).
Il precedente orientamento della giurisprudenza, richiamato dalla stazione appaltante nell’impugnato provvedimento di conferma dell’esclusione della ricorrente dalla gara, secondo cui la cessione comporterebbe il trasferimento degli elementi oggettivi che compongono l’azienda stessa, non invece delle caratteristiche soggettive dell’imprenditore (così Consiglio di Stato, Sez. V, 22 maggio 2015, n. 2568), non è condivisibile, “potendosi invocare diversi precedenti di diverso segno come la sentenza del Consiglio di Stato 2952/2016, in forza dei quali la cessione o l’affitto dell’azienda (o di parte di essa) avvenuta prima della gara (n.d.r. come nel caso di specie)…può legittimare la parte cessionaria a fare valere come acquisiti elementi, anche immateriali, afferenti all’azienda ceduta…”. Ciò perché la cessione, al pari dell’affitto di ramo d’azienda e di altre figure contrattuali similari è “idonea in astratto a determinare il trasferimento (anche) del requisito del fatturato in capo all’avente causa, salvo verificare il reale contenuto del contratto in concreto e valutarne gli effetti” (cfr. C.G.A. per la Regione Siciliana, 29 maggio 2018, n. 314).