23. A conclusioni diverse, invece, deve giungersi con riferimento alla sanzione pecuniaria comminata dall’ANAC alla ricorrente, ai sensi dell’art. 213, comma 13, d.lgs. n. 50/2016, la cui irrogazione appare legittima nonostante la dichiarazione non veritiera sia risultata «ininfluente ai fini dell’attestazione di qualificazione».
Se è noto, infatti, che la summenzionata disposizione conferisce ad ANAC il potere di sanzionare gli operatori economici che «forniscono agli organismi di attestazione, dati o documenti non veritieri circa il possesso dei requisiti di qualificazione», è ragionevole ritenere che il potere sanzionatorio previsto dalla stessa prescinda da ogni valutazione in ordine alla rilevanza del falso nel procedimento di qualificazione (richiesta invece dall’art. 84, comma 4-bis, d.lgs. n. 50/2016 per la sanzione interdittiva).
Ciò non solo in ragione dell’appena richiamato diverso tenore letterale tra le due fattispecie sanzionatorie ma, più in generale, alla luce della complessiva finalità del sistema di sanzioni pecuniarie previsto dall’art. 213, comma 13, d.lgs. n 50/2016, che – tenuto conto delle fattispecie sanzionate – appare orientato a promuovere una condotta corretta da parte degli operatori economici, a tutela del buon andamento delle operazioni connesse alla stipula dei contratti pubblici (bene giuridico che è sempre inficiato dalla produzione di documenti falsi, anche solo in termini di aggravio e rallentamento del procedimento, a prescindere dalla loro irrilevanza).
In quest’ottica, è ragionevole ritenere che l’ANAC possa irrogare la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 213, comma 13, d.lgs. n. 50/2016 a tutti gli operatori che forniscono agli organismi di attestazione, dati o documenti non veritieri in ordine al possesso dei requisiti di qualificazione (ovvero nell’ambito del procedimento finalizzato alla loro verifica), e ciò anche quando i documenti falsi si siano rivelati del tutto ininfluenti ai fini della qualificazione (ovvero anche quando l’operatore economico avrebbe potuto non produrre tali documenti all’organismo di attestazione).
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ANAC – Sanzione – Obbligo di motivazione correlata con le risultanze dell’ istruttoria (art. 213 d.lgs. n. 50/2016)
Consiglio di Stato, sez. V, 20.03.2023 n. 2790
Va premesso che il potere esercitato dall’ANAC ai sensi dell’art. 80, comma 12, del d.lgs. n. 50 del 2016 ha natura sanzionatoria e afflittiva (come di recente ritenuto con riferimento al potere esercitato dalla stessa Autorità ai sensi dell’analogo art. 38, comma 2, ter del d.lgs. n. 163 del 2006 dalla decisione del Consiglio di Stato, sez. V, 25 gennaio 2022, n. 491).
L’irrogazione di una sanzione pecuniaria, dell’interdizione per novanta giorni dalla partecipazione alle procedure di gara e dagli affidamenti in subappalto, nonché dell’iscrizione nel casellario informatico, hanno certamente natura sanzionatoria, a prescindere (come già ritenuto anche da Cass. SS.UU. 4 dicembre 2020, n. 27770) dalla ravvisabilità degli indici elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo per l’affermazione di un quid pluris e cioè della natura sostanzialmente penale della sanzione ai sensi, e per gli effetti, dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ed, in particolare, di quelli della qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, della intrinseca natura dell’illecito e del grado di severità della sanzione in cui l’interessato rischia di incorrere (c.d. “Engel criteri” affermati dalla Corte EDU,8 giugno 1974, Engel c. Paesi Bassi, e poi ribaditi dalla sentenza Grande Stevens e altri c. Italia, 4 marzo 2014).
Come più volte precisato dalla giurisprudenza amministrativa, in tema di procedimento sanzionatorio, l’intento del Legislatore è quello di assoggettare ad uno statuto unico ed esaustivo (e con un medesimo livello di prerogative e garanzie procedimentali per il soggetto inciso) tutte le ipotesi di sanzioni amministrative. Ai fini del legittimo esercizio del potere sanzionatorio attribuito dalla legge all’ente titolare sono, dunque, immanenti allo specifico settore ordinamentale (in ragione del carattere afflittivo della sanzione e a garanzia dell’incolpato) i principi di proporzionalità e ragionevolezza, che devono essere esplicitati nella motivazione del provvedimento sanzionatorio.
Questa Sezione ha recentemente affermato che “occorre considerare che, seppure l’annotazione sia generalmente ricondotta nell’ambito della funzione di vigilanza e controllo dell’ANAC (argomentando anche dall’art. 213, comma 10, del d.lgs. n. 50 del 2016), con riguardo alla falsa dichiarazione o falsa documentazione non costituisce un mero atto dovuto da parte dell’ANAC a seguito della segnalazione, imponendo altresì un giudizio di imputabilità della falsa dichiarazione (in termini di dolo o colpa grave), e producendo l’esclusione dalle procedure di gara e degli affidamenti di subappalti per un dato arco temporale, così da assumere, lo si ripete, natura sanzionatoria (in termini Cons. Stato, V, 13 dicembre 2019, n. 8480)” (v. la già citata Cons. Stato, sez. V, n. 491 del 2022).
Da siffatti rilievi si possono desumere le seguenti conclusioni: a) l’Autorità esercita un potere sanzionatorio di natura discrezionale; b) l’esercizio di tale potere discrezionale impone un giudizio di imputabilità della falsa dichiarazione in termini di dolo o colpa grave.
L’art. 18.1 del Regolamento sull’esercizio del potere sanzionatorio dell’ANAC statuisce, infatti, che: “Il dirigente, acquisiti tutti gli elementi di fatto e valutata la sussistenza o meno dell’elemento psicologico del dolo o della colpa grave e, per i casi di falso, tenuto conto della gravità dei fatti oggetto di falso…”. […]
Questa Sezione condivide le conclusioni a cui è giunto il giudice di prima istanza, il quale ha fondato il decisum sul mancato assolvimento dell’onere motivazionale della delibera impugnata, con riferimento alla omessa illustrazione delle ragioni per cui l’ANAC ha ritenuto sussistere la colpa grave nella condotta della società -OMISSIS- s.r.l., e della omessa pronuncia sulle numerose osservazioni presentate dall’operatore economico volte a rappresentare la scusabilità dell’errore commesso.
Non può predicarsi, come diversamente sostiene l’Autorità appellante, che la motivazione sulla colpa grave possa desumersi implicitamente dalla descrizione della condotta posta in essere dalla società incolpata. E neppure si può tenere conto delle considerazioni espresse dall’Autorità sulla gravità della condotta posta in essere dall’operatore economico, atteso che si consentirebbe, nel corso del giudizio, una inammissibile integrazione postuma della motivazione dell’atto impugnato (ex multis Cons. Stato, sez. VI, 27 aprile 2021, n. 3385).
Invero, il giudizio di imputabilità della falsa dichiarazione avrebbe imposto la valutazione della sussistenza dell’elemento psicologico della colpa grave in relazione alla ‘gravità’ dei fatti oggetto di falso, tenuto conto dei rilievi difensivi esposti dalla società -OMISSIS- s.r.l.
L’ANAC, stante la natura sanzionatoria del procedimento, e tenuto conto del fatto che nel comminare una sanzione si effettua una valutazione discrezionale, era tenuta a motivare adeguatamente “i profili di gravità dei fatti oggetto di falso ai fini di una declaratoria di gravità della colpa”.
Tale motivazione avrebbe dovuto essere necessariamente correlata con le risultanze dell’istruttoria, stante il legame tra il provvedimento finale e gli esiti procedimentali.
Il Legislatore ha, infatti, posto una corrispondenza biunivoca tra l’istruttoria e la motivazione: le risultanze della prima, che consiste in un momento dinamico della decisione amministrativa, non possono che confluire formalmente nella staticità del provvedimento finale. Tale ‘valutazione’ non può che significare accurata verifica della rilevanza delle osservazioni difensive dell’operatore sottoposto a procedimento sanzionatorio rispetto ai rilievi della contestazione, con specifica menzione delle ragioni che hanno spinto l’Autorità a non accogliere le prospettazioni della società incolpata, quindi anche al solo fine di confutarle, in questo modo assicurando la valenza degli scritti difensivi e del contraddittorio procedimentale, e non esimendosi dal confronto, posto che, in caso contrario, il diritto di difesa della società sanzionata sarebbe totalmente privo di significato e, comunque, privo di qualsiasi vaglio critico.
L’esame delle osservazioni difensive della -OMISSIS- s.r.l. finalizzate a rappresentare l’esimente della buona fede, intesa come errore sulla illiceità del fatto, avrebbe assunto rilievo decisivo, ai fini di un giudizio sulla colpa grave, in presenza di elementi positivi idonei a ingenerare, nell’autore della violazione, il convincimento della liceità del suo operato, ciò anche al fine di accertare se il trasgressore avesse fatto tutto il possibile per conformarsi al precetto stabilito dalla lex specialis.
7.3. Va, inoltre, evidenziato che il profilo motivazionale della delibera impugnata avrebbe dovuto essere maggiormente approfondito, posto che l’ANAC ha ritenuto di applicare più sanzioni (interdittiva e pecuniaria) alla autrice delle false dichiarazioni, così discostandosi dalla determinazione dell’applicazione di un’unica misura sanzionatoria, sicché sarebbe stato necessario spiegare per quale motivi i parametri che si erano giudicati meritavano un intervento così incisivo.
Non può non rilevarsi che l’applicazione della sanzione pecuniaria, contestualmente alla interdizione per novanta giorni dalla partecipazione alle procedure di gara e dagli affidamenti di subappalto, nonché l’annotazione nel casellario informatico, avrebbero implicato un approfondimento motivazionale sulla valutazione della gravità della condotta, in relazione, come si è detto, al profilo della colpa grave, che necessitava di essere adeguatamente esplicitato, non potendo altrimenti giustificarsi l’utilizzo di tale discrezionalità che, in assenza di idonea argomentazione, ha perso la sua qualità positiva di adattamento della sanzione al caso concreto e, conseguentemente, la sua legittimità.
Una corretta motivazione del provvedimento sanzionatorio avrebbe, altresì, consentito di agevolare il sindacato giurisdizionale, permettendo la verifica della legittimità della valutazione dell’operato dell’amministrazione.
Bando Tipo ANAC – Mancata impugnazione unitamente al Disciplinare che ne riproduce il contenuto – Inammissibilità del ricorso (art. 71 , art. 213 d.lgs. n. 50/2016)
Consiglio di Stato, sez. V, 16.01.2023 n. 526
5.2. Va, pertanto, affrontata la questione del valore dei bandi-tipo predisposti da A.n.a.c. a beneficio delle stazioni appaltanti chiamate a indire procedure di gara per l’affidamento di un particolare servizio (nel caso di specie, il servizio di pulizia in locali pubblici o aperti al pubblico).
Il potere di A.n.a.c. di adottare bandi-tipo è previsto dall’art. 213, comma 2, d.lgs. 18 aprile 2006, n. 50 in questi termini: “L’A.N.A.C., attraverso linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolazione flessibile, comunque denominati, garantisce la promozione dell’efficienza, della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti, cui fornisce supporto anche facilitando lo scambio di informazioni e la omogeneità dei procedimenti amministrativi e favorisce lo sviluppo delle migliori pratiche”.
L’art. 71 d.lgs. n. 50 del 2016 precisa, poi, che: “Fatto salvo quanto previsto dagli articoli 59, comma 5, secondo periodo, e 63, tutte le procedure di scelta del contraente sono indette mediante bandi di gara. Al fine di agevolare l’attività delle stazioni appaltanti omogeneizzandone le condotte, successivamente alla adozione da parte dell’ANAC di bandi-tipo, i bandi di gara sono redatti in conformità degli stessi.”. E’ precisato, infine, nell’ultimo periodo che: “Le stazioni appaltanti nella delibera a contrarre motivano espressamente in ordine alle deroghe al bando-tipo”.
Anche altre Autorità hanno il potere di definire schemi di bandi di gara (cfr. art. 37, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214 che lo attribuisce anche all’Autorità di regolazione dei trasporti).
5.3. Senza voler approfondire la natura giuridica dei bandi-tipo (dubbia, come degli altri atti di regolazione flessibile previsti dall’art. 213, comma 2, in precedenza riportato, e, segnatamente, per le linee-giuda; cfr. per ogni approfondimento Cons. Stato, sez. I, 24 marzo 2020, n. 615), un elemento si ricava con certezza dalle disposizioni in precedenza richiamate: nel momento in cui il bando-tipo è stato adottato, esso costituisce un parametro dell’azione amministrativa delle stazioni appaltanti, nel senso che queste ultime sono tenute ad uniformarsi allo stesso, mantenendo una limitata facoltà discrezionale di deroga (in tal senso, Corte cost., 12 luglio 2013, n. 187, relativamente ai bandi-tipo previsti dall’art. 64, comma 4-bis, d.lgs. 12 aprile 2016, n. 163, ma con considerazioni valide anche in relazione ai bandi-tipo previsti dal nuovo codice dei contratti pubblici).
Ne segue logicamente che il bando-tipo costituisce l’atto presupposto del successivo bando e disciplinare di gara adottato dalla stazione appaltante quante volte questa abbia riprodotto il contenuto del primo negli atti adottati.
5.4. Sul piano processuale il predetto rapporto tra gli atti comporta l’onere del ricorrente di rivolgere la sua impugnazione (anche) avverso il livello di regolazione immediatamente superiore rispetto a quello avvertito come direttamente lesivo, altrimenti ottenendo una sentenza inutiliter data (in tal senso, con riferimento alle circolari ministeriali, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 26 settembre 2018, n. 5532; III, 1°dicembre 2016, n. 5047)
Va, infatti, considerato che, ottenuto l’annullamento dell’atto conseguente, ferma la validità dell’atto presupposto, l’amministrazione in sede di riesercizio del medesimo potere non potrà far altro che conformarsi nuovamente al parametro regolatorio immediatamente vincolante, non potendo ravvisare ragioni che, per la specialità del caso, ne giustifichino la deroga.
Il ricorrente non avrà ottenuto alcuna utilità dallo svolgimento del giudizio.
La sua azione è, dunque, inammissibile per carenza originaria dell’interesse a ricorrere.
ANAC – Deliberazioni – Impugnazione – Presupposti (art. 213 d.lgs. n. 50/2016)
Consiglio di Stato, sez. V, 22.12.2022 n. 11200
Ai sensi dell’art. 213 del d.lgs. n. 50 del 2016, l’ANAC “… garantisce la promozione dell’efficienza, della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti, cui fornisce supporto… nell’ambito dei poteri ad essa attribuiti, l’Autorità: a) vigila sui contratti pubblici, anche di interesse regionale, di lavori, servizi e forniture nei settori ordinari e nei settori speciali e sui contratti secretati o che esigono particolari misure di sicurezza ai sensi dell’articolo 1, comma 2, lettera f- bis), della legge 6 novembre 2012, n. 190, nonché sui contratti esclusi dall’ambito di applicazione del codice; b) vigila affinchè sia garantita l’economicità dell’esecuzione dei contratti pubblici e accerta che dalla stessa non derivi pregiudizio per il pubblico erario…”.
Il Collegio ritiene che l’impugnabilità di una delibera non vincolante dell’ANAC non è da escludersi in senso assoluto, atteso che tale provvedimento potrebbe assumere connotazione lesiva tutte le volte in cui, riferendosi alla fattispecie concreta, di fatto incide sulla sfera giuridica dei destinatari, essendo idonea ad arrecare un vulnus diretto ed immediato. Ne consegue che la sua ‘lesività’ non va valutata in astratto o sulla base dell’inquadramento dogmatico del provvedimento, dovendosi rilevare gli effetti conformativi che lo stesso produce, nell’immediato, nei confronti dei soggetti a cui è indirizzata.
11.3. E’ noto al Collegio l’indirizzo sostenuto dalla giurisprudenza prevalente, secondo cui l’impugnabilità di un parere non vincolante dell’ANAC, a cui il giudice di prime cure ha sostanzialmente assimilato la Delibera n. -OMISSIS-, può essere ammissibile quando, riferendosi ad una fattispecie concreta, il parere sia fatto proprio dalla stazione appaltante, la quale, sulla base di esso, abbia assunto la relativa determinazione provvedimentale. Ne consegue che, secondo questo indirizzo, l’impugnazione del provvedimento è consentita solo unitamente al provvedimento conclusivo della stazione appaltante, che ne abbia fatto applicazione (Cons. Stato, sez. VI, sent. 11.3.2019, n. 1622). Si ritiene, infatti, che la concreta lesività si manifesta solo nell’ipotesi in cui il parere non vincolante sia trasposto o richiamato nell’atto conclusivo del procedimento, potendo la sua incidenza sulla fattispecie essere valutata solo in relazione alla capacità di integrare la motivazione del provvedimento adottato dall’amministrazione. Pertanto, esso è impugnabile unitamente al provvedimento finale che lo recepisce e del quale diviene presupposto o laddove esso diventi segmento procedimentale.
In linea con questo indirizzo, si è, ad esempio, ritenuta l’inammissibilità dell’impugnazione di una segnalazione che assume valore solo prodromico ed endoprocedimentale, poiché essa non è dotata di autonoma lesività, potendo essere fatti valere eventuali vizi ‘propri’, unicamente in via derivata, impugnando il provvedimento finale dell’Autorità di vigilanza, unico atto avente natura provvedimentale e carattere autoritativo (Cons. Stato, sez. VI, 20 novembre 2017, n. 5331).
Il Collegio condivide le soluzioni argomentative di tale indirizzo, le quali vanno riprese proprio a sostegno del principio, che si intende ribadire, secondo cui, ai fini dell’impugnabilità di un provvedimento amministrativo, occorre valutare in concreto l’effetto che arreca nella sfera giuridica del destinatario e in che modo tale effetto possa arrecare pregiudizio alle posizioni giuridiche soggettive da quest’ultimo vantate.
Invero, va rammentato che è stata riconosciuta l’impugnabilità degli atti anche generali o regolamentari aventi portata immediatamente prescrittiva, ovvero che vincolino la successiva attività amministrativa, di guisa che il successivo atto si atteggi quale atto meramente dichiarativo o ricognitivo (Cons. Stato, 23 aprile 2019, n. 2572) dei suddetti provvedimenti. Ciò in quanto, come si è detto, ciò che rileva è la lesività, immediata e diretta, degli effetti dell’atto amministrativo.
Il principio è stato recentemente condiviso da questo Consiglio di Stato, che ha ritenuto ammissibile impugnabilità delle Linee – guida dell’ANAC.
Questa Sezione, con sentenza n. 5097/2020, ha ritenuto lesive, e quindi, impugnabili, le Linee Guida ANAC n. 11, previste dall’art. 177 del Codice di Contratti, per gli effetti conformativi che producono in concreto, e non in astratto, rimettendo poi alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale della suddetta disposizione, che è stata accolta dalla Consulta, con sentenza 23 novembre 2021, n. 218.
I recenti approdi giurisprudenziali conducono a ritenere che, a prescindere dall’inquadramento dogmatico (linee guida, parere, raccomandazione, aventi o meno natura vincolante), se le indicazioni dell’Autorità, nell’ambito del potere di vigilanza e controllo, assumono il ruolo di canoni oggettivi a cui conformarsi, determinando un effetto immediatamente lesivo nella sfera giuridica del destinatario, sono impugnabili.
11.4. In sostanza, quando le deliberazioni dell’ANAC contengono vincoli conformativi puntuali alla successiva attività dei soggetti vigilati, in capo ai quali non residuano facoltà di modulazione quanto al contenuto e all’estensione, rappresentano provvedimenti lesivi nei confronti dei quali va garantita la tutela del diritto di difesa del destinatario (art. 24 Cost.).
11.5. Nella specie, dalla piana lettura del contenuto della Delibera n. -OMISSIS- del 2017, resa ai sensi dell’art. 213 del d.lgs. n. 50 del 2016, a prescindere dalla qualificazione giuridica che alla stessa si ritiene di attribuire, si rileva un evidente obbligo conformativo, che non necessita dell’intermediazione di ulteriori provvedimenti attuativi, sicchè deve prendersi atto della immediata lesività, nella misura in cui, come sottolineato dall’appellante, pone di fronte all’alternativa tra l’adeguarsi ai rilievi in essa contenuti o subirne le conseguenza a mezzo di successivi provvedimenti.
ANAC – Procedimento sanzionatorio – Termine perentorio (art. 213 d.lgs. n. 50/2016)
Consiglio di Stato, sez. V, 21.11.2022 n. 10197
8. In particolare, è fondato in via assorbente il primo motivo di doglianza con cui la società -OMISSIS- lamenta la violazione del termine di cui all’art. 10, comma 2, del Regolamento in materia di esercizio del potere sanzionatorio da parte dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, approvato giusta delibera dell’Autorità n. 920 nell’adunanza del 16 ottobre 2019, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, per la segnalazione della causa di esclusione all’ANAC da parte della stazione appaltante.
In particolare, l’art. 10, comma 2, del Regolamento sull’esercizio del potere sanzionatorio di ANAC prevede che “le segnalazioni sono formulate compilando in tutte le parti gli appositi moduli pubblicati sul sito istituzionale dell’Autorità. Tali moduli dovranno essere corredati della necessaria documentazione tecnico-amministrativa ed inviati all’Autorità entro 30 giorni dal verificarsi dell’evento o dalla conoscenza del fatto oggetto di segnalazione”.
8.1. Deve innanzitutto osservarsi come dalla qualificazione della natura giuridica del termine in questione, se perentorio oppure ordinatorio (o meramente “acceleratorio” come ritenuto dalla sentenza appellata), dipende la fondatezza della censura in esame.
8.2. Rileva il Collegio che la questione appena delineata non può che essere risolta avendo riguardo ai princìpi generali di certezza, efficienza, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa.
Per quanto in particolare concerne i procedimenti sanzionatori, l’applicazione dei suddetti principi postula che l’amministrazione (pur in assenza di una espressa qualificazione come perentorio di un termine stabilito) agisca comunque in modo tempestivo, rispettando l’esigenza del cittadino di certezza, nella specifica accezione di prevedibilità temporale, delle conseguenze derivanti dall’esercizio dei pubblici poteri, e che, ove protragga in modo ingiustificato l’esercizio del potere, dia puntuale motivazione delle ragioni che le hanno, in ipotesi, impedito di applicare la sanzione in contiguità temporale con l’accertamento dell’illecito (negli stessi termini Cons. Stato, VII, 14 febbraio 2022, n. 1081).
8.3. Al riguardo, deve infatti rilevarsi che tutti gli atti appartenenti alla categoria dei provvedimenti sanzionatori vanno analizzati secondo un criterio di “stretta tipicità legale” (esattamente in termini si veda Cons. Stato, V, 25 gennaio 2022, n. 491) e che, per una ragione anche di interesse pubblico superiore, il potere sanzionatorio va esercitato a non eccessiva distanza dai fatti che ne costituiscono il fondamento: ciò anche per la particolare afflittività della potestà sanzionatoria, essendo i procedimenti sanzionatori “micromodelli” di processi penali laddove l’ordinamento ritiene sufficiente restare all’interno dell’ordinamento amministrativo (così Cons. Stato, VI, 19 gennaio 2021, n. 584).
Nel procedimento sanzionatorio vi è infatti una stretta correlazione tra il rispetto del termine per l’adozione del provvedimento finale e l’effettività del diritto di difesa dell’incolpato, avente protezione costituzionale (nel combinato disposto degli articoli 24 e 97 Cost.). Rilevano poi, come evidenziato, preminenti esigenze di certezza dei rapporti giuridici e delle posizioni soggettive.
Ne consegue che la particolarità del procedimento sanzionatorio assume, quanto al tema della tempistica procedimentale e alla sua scansione (sia essa stabilita da norme di legge o di regolamento), carattere decisivo rispetto al generale paradigma del procedimento amministrativo di cui alla legge n. 241 del 1990 (in cui è pacifico, per contro, che lo spirare del termine per provvedere non determina conseguenze invalidanti sul provvedimento tardivamente adottato).
Il tempo dell’azione amministrativa non è, infatti, uniforme rispetto a tutti i sistemi di relazione tra amministrazione e amministrato: “la relazione che può generarsi è chiaramente poliforme e dipende dalla trama normativa di riferimento, nonché dagli interessi sostanziali in gioco” (Cons. Stato, VI, n. 584/2021). Pertanto, sia la potestà amministrativa che la posizione giuridica soggettiva dell’amministrato possono comporsi in modo differente: la esemplificazione di una pluralità di figure di interesse legittimo evidenzia la presenza di un diverso atteggiarsi della potestà pubblica, che a sua volta impone la presenza di regole sostanziali differenti nel delineare facoltà e obblighi dell’amministrazione e dell’amministrato.
8.4. In particolare, nel procedimento sanzionatorio (ove l’interesse dell’amministrato è quello che il procedimento si concluda tempestivamente con un provvedimento a lui favorevole) la previsione di un “tempo procedimentale” garantisce che l’accertamento della violazione non sia distante dalla sua punizione: ciò in quanto il tempo dell’agire amministrativo sostiene nell’ipotesi dell’esercizio potere sanzionatorio il soddisfacimento di interessi ulteriori rispetto al mero rilievo dell’avvenuta infrazione. È evidente, infatti, che il carattere effettivo e dissuasivo della sanzione è fortemente condizionato dal rispetto della tempistica procedimentale, poiché se l’irrogazione della sanzione avvenisse a distanza di tempo sia dalla sua commissione che dal suo accertamento potrebbe fallire il suo obiettivo (in tali esatti termini, Cons. Stato, V, n. 584/2021 cit.).
8.4.1. Su queste basi, un consolidato orientamento della giurisprudenza ha ritenuto che, in materia di sanzioni amministrative, il termine fissato per l’adozione del provvedimento finale ha natura perentoria, a prescindere da una espressa qualificazione in tal senso nella legge o nel regolamento che lo preveda (così, Cons. St., Sez. VI, 23 marzo 2016, n. 1199; Id., 6 agosto 2013 n. 4113; Id., 29 gennaio 2013 n. 542; Cons. St., Sez. VI, 20 maggio 2011, n. 3015; cfr. Cons. St., Sez. VI, 4 aprile 2019, n. 2289; Cons. St. Sez. V, 3 ottobre 2018, n. 5695; Id., 3 maggio 2019, n. 2874; Cons. St., Sez. VI, 21 febbraio 2019, n. 2042; Cons. St., Sez. VI, 17 novembre 2020, n. 7153).
8.4.2. Inoltre, secondo la giurisprudenza, le norme di principio, relative ad una immediatezza della contestazione o comunque a una non irragionevole dilatazione dei suoi tempi, contenute nel Capo I della l. 24 novembre 1981, n. 689, sono dotate di applicazione generale dal momento che, in base all’art. 12, le stesse devono essere osservate con riguardo a tutte le violazioni aventi natura amministrativa per le quali è applicata la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di danaro, compresa la materia dell’Antitrust (Cons. Stato, VI, 21 gennaio 2020, n. 512; cfr. anche Cass. Civ., sez. II, 26 gennaio 2021, n. 1614): ciò in quanto l’intento del Legislatore è stato quello di assoggettare ad un statuto unico ed esaustivo (e con un medesimo livello di prerogative e garanzie procedimentali per il soggetto inciso) tutte le ipotesi di sanzioni amministrative. È stato poi anche chiarito che l’ampia portata precettiva di una regola siffatta (che cioè induce generalmente a connotare di perentorietà i termini per la contestazione delle violazioni amministrative) è esclusa soltanto dalla presenza di una diversa regolamentazione da parte di fonte normativa, pari ordinata, che per il suo carattere di specialità si configuri idonea ad introdurre deroga alla norma generale e di principio (in tal senso v. Cons. Stato, VI, 512/2020 cit.).
8.4.3. Ai fini del legittimo esercizio del potere sanzionatorio attribuito dalla legge all’ente titolare sono, dunque, immanenti allo specifico settore ordinamentale (a ragione del carattere afflittivo della sanzione e a garanzia dell’incolpato) i principi di tempestività della contestazione, di proporzionalità e ragionevolezza; il fatto poi che il successivo processo amministrativo si svolga secondo un modello pienamente aderente ai dettami dell’art. 6 CEDU non consente di recuperare il tempo del procedimento sanzionatorio inutilmente decorso né di ritenere, di conseguenza, sanato il termine ragionevole non rispettato all’interno di quest’ultimo (si veda in analoghi termini Cons. Stato, VI, n. 584/2021 cit.).
8.4.4. Occorre ricordare che di recente la Corte costituzionale con la sentenza n. 151 del 12 luglio 2021 ha affermato i seguenti principi: “Nel procedimento sanzionatorio, riconducibile nel paradigma dell’agere della pubblica amministrazione, ma con profili di specialità rispetto al procedimento amministrativo generale, rappresentando la potestà sanzionatoria – che vede l’amministrazione direttamente contrapposta all’amministrato – la reazione autoritativa alla violazione di un precetto con finalità di prevenzione, speciale e generale, e non lo svolgimento, da parte dell’autorità amministrativa, di un servizio pubblico (Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 15 luglio 2014, n. 15825), l’esigenza di certezza, nella specifica accezione di prevedibilità temporale, da parte dei consociati, delle conseguenze derivanti dall’esercizio dei pubblici poteri, assume una rilevanza del tutto peculiare, proprio perché tale esercizio si sostanzia nella inflizione al trasgressore di svantaggi non immediatamente correlati alla soddisfazione dell’interesse pubblico pregiudicato dalla infrazione”.
La Corte ha statuito che, in materia di sanzioni amministrative, il principio di legalità non solo impone la predeterminazione ex lege di rigorosi criteri di esercizio del potere, della configurazione della norma di condotta la cui inosservanza è soggetta a sanzione, della tipologia e della misura della sanzione stessa e della struttura di eventuali cause esimenti (Corte cost. n. 5/2021), ma deve necessariamente modellare anche la formazione procedimentale del provvedimento afflittivo con specifico riguardo alla scansione cronologica dell’esercizio del potere: ciò in quanto la previsione di un preciso limite temporale per la irrogazione della sanzione costituisce un presupposto essenziale per il soddisfacimento dell’esigenza di certezza giuridica, in chiave di tutela dell’interesse soggettivo alla tempestiva definizione della propria situazione giuridica di fronte alla potestà sanzionatoria della pubblica amministrazione, nonché di prevenzione generale e speciale.
Infatti, secondo la Corte Costituzionale “Alla peculiare finalità del termine per la formazione del provvedimento nel modello procedimentale sanzionatorio corrisponde una particolare connotazione funzionale del termine stesso. Mentre nel procedimento amministrativo il superamento del limite cronologico prefissato dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990 per l’esercizio da parte della pubblica amministrazione delle proprie attribuzioni non incide ex se, in difetto di espressa previsione, sul potere (sentenze n. 176 del 2004, n. 262 del 1997), in quanto il fine della cura degli interessi pubblici perdura nonostante il decorso del termine, la predefinizione legislativa di un limite temporale per la emissione della ordinanza-ingiunzione il cui inutile decorso produca la consumazione del potere stesso risulta coessenziale ad un sistema sanzionatorio coerente con i parametri costituzionali sopra richiamati”.
8.5. Tanto evidenziato osserva il Collegio che il potere esercitato dall’ANAC ai sensi dell’art. 80, comma 12, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 ha natura sanzionatoria ed afflittiva (come di recente ritenuto con riferimento al potere esercitato dalla stessa Autorità ai sensi dell’analogo art. 38, comma 1 ter, del d.lgs. n. 163 del 2006 dalla decisione di questa Sezione 25 gennaio 2022, n. 491).
8.5.1. In particolare, il menzionato art. 80 comma 12, ratione temporis applicabile alla fattispecie, dispone che: “In caso di presentazione di falsa dichiarazione o falsa documentazione, nelle procedure di gara e negli affidamenti di subappalto, la stazione appaltante ne dà segnalazione all’Autorità che, se ritiene che siano state rese con dolo o colpa grave in considerazione della rilevanza o della gravità dei fatti oggetto del falsa dichiarazione o della presentazione di falsa documentazione, dispone l’iscrizione nel casellario informatico ai fini dell’esclusione delle procedure di gara e dagli affidamenti di subappalto ai sensi del comma 1 fino a 2 anni, decorso il quale l’iscrizione è cancellata e perde comunque efficacia”.
8.5.2. Così richiamata le norma a fondamento del potere esercitato dall’Autorità, non può dubitarsi che l’annotazione nel casellario informatico ha certamente natura sanzionatoria, a prescindere (come già ritenuto anche da Cass., SS.UU., 4 dicembre 2020, n. 27770) dalla ravvisabilità degli indici elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo per l’affermazione di un quid pluris e cioè della natura sostanzialmente penale (cui devono correlarsi determinate garanzie) della sanzione ai sensi e per gli effetti dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ed in particolare di quelli della qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, della intrinseca natura dell’illecito e del grado di severità della sanzione in cui l’interessato rischia di incorrere (c.d. “Engel criteria”, affermati per la prima volta dalla Corte EDU, 8 giugno 1976, Engel c. Paesi Bassi, e poi ribaditi dalla sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia), tematica cui è applicabile la recente giurisprudenza costituzionale evocata dall’appellante e sopra richiamata (si veda anche Corte cost., 16 aprile 2021, n. 68 concernente l’estensione dello “statuto costituzionale” delle sanzioni penali a quelle amministrative a carattere punitivo).
8.5.3. Infatti, come affermato dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato “occorre considerare che, seppure l’annotazione sia generalmente ricondotta nell’ambito della funzione di vigilanza e controllo dell’ANAC (argomentando anche dall’art. 213, comma 10, del d.lgs. n. 50 del 2016), con riguardo alla falsa dichiarazione o falsa documentazione non costituisce un mero atto dovuto da parte dell’ANAC a seguito della segnalazione, imponendo altresì un giudizio di imputabilità della falsa dichiarazione (in termini di dolo o colpa grave), e producendo delle conseguenze inequivocabilmente afflittive, in particolare l’esclusione dalle procedure di gara e dagli affidamenti di subappalti per un dato arco temporale, così da assumere -lo si ripete- natura sanzionatoria (in termini Cons. Stato, V, 13 dicembre 2019, n. 8480)” (in tal senso Cons. Stato, V, n. 491/2022 cit.).
8.5.4. In definitiva, le previsioni del Regolamento in questione disciplinano l’esercizio di un potere sanzionatorio da parte di Anac che si manifesta nell’adozione di provvedimenti dotati di un tasso di discrezionalità coessenziale alla loro natura, sia in ordine all’accertamento dei fatti e alla loro qualificazione giuridica (per i quali sussiste una accentuata discrezionalità tecnica), sia in ordine alla quantificazione della sanzione.
8.6. Ciò posto, acclarato che l’Autorità esercita un potere sanzionatorio di natura discrezionale, non si intravede qui ragione per discostarsi dai principi, pienamente mutuabili alla presente fattispecie e al thema decidendi oggetto dell’odierno giudizio, affermati dalla costante giurisprudenza sopra richiamata in materia di procedimenti sanzionatori, secondo cui: “Il tempo dell’agire amministrativo nel suo valore intrinseco va declinato non in termini assoluti ma in termini relativi, mentre deve essere declinato in termini assoluti solo quando si rifletta sul suo valore estrinseco, ossia sulla sua rilevanza effettuale. Il tempo dell’azione amministrativa, infatti, rappresenta una parentesi all’interno della quale la potestà amministrativa spiega efficacia attrattiva sulla sfera giuridica dell’amministrato. Il processo sanzionatorio (quasi penale) è di per sé una pena, e per cittadini e imprese i tempi moderni esigono certezze dei rapporti giuridici, per ulteriori plurime ragioni: a) la possibilità dell’amministrazione di provare la sussistenza della violazione si deteriora con il decorso del tempo; b) la possibilità per l’amministrato di offrire la prova contraria soffre la stessa sorte; c) l’effetto dissuasivo di prevenzione speciale è assicurato dall’esistenza di un lasso temporale ristretto tra contestazione della violazione e adozione del provvedimento sanzionatorio; d) lo stesso dicasi per l’effetto dissuasivo di prevenzione generale; e) in generale, il tempo ha la sua rilevanza come fatto giuridico e, in materia sanzionatoria, alla lunga, esso cancella ogni cosa. Risulta ragionevole, pertanto, affermare che in questo caso l’inutile decorso tempo dell’agire amministrativo ridonda in illegittimità del provvedimento sanzionatorio” (Cons. Stato, VI, 19 gennaio 2021, n. 584 e giurisprudenza ivi richiamata).
8.7. Pertanto, se con riferimento all’esercizio della potestà sanzionatoria, i ricordati principi di tempestività della contestazione o comunque di non irragionevole dilatazione dei suoi tempi (Cons. Stato, VI, 21 gennaio 2020, n. 512) sono volti a garantire un effettivo esercizio del diritto di difesa dell’interessato, di sicura ascendenza costituzionale, deve rilevarsi come tali primarie finalità sono senz’altro soddisfatte anche dalla previsione espressa del termine di segnalazione delle falsità (dichiarative o documentali) accertate, implicanti l’esercizio del potere sanzionatorio di ANAC, da parte della stazione appaltante.
8.7.1. Vi è dunque un primo argomento di carattere teleologico, fondato sulla ratio della previsione regolamentare, che non consente al Collegio di condividere l’impostazione accolta dal primo giudice secondo cui, non avendo il Regolamento qualificato espressamente come perentorio il termine per la segnalazione, debba per ciò solo escludersi tale natura: infatti, il potere sanzionatorio (e tale è certamente quello qui in concreto esercitato da parte di ANAC ai sensi dell’art. 80, comma 12, d.lgs. n. 50/2016) deve esercitarsi nel rispetto delle esigenze di certezza giuridica della posizione dell’incolpato e dell’effettività del suo diritto di difesa; ne consegue che la previsione di termini perentori nel procedimento sanzionatorio è coerente con i principi di efficacia, di imparzialità e buon andamento e, prima ancora, con il canone della ragionevolezza, immanente all’ordinamento e trasversalmente applicabile a tutti i suoi settori, anche nella sua specifica declinazione di “ragionevole” durata del procedimento (cfr. Cons. Stato, VII, n. 1081/22 cit.; nonché Cons. Stato, Sez. III, 13 marzo 2015, n. 1330 in tema di durata del procedimento preistruttorio dell’AGCom).
8.7.2. Già alla luce dei riportati principi generali non può essere allora condivisa l’interpretazione prospettata dai provvedimenti impugnati prima e dalla sentenza appellata poi sulla natura ordinatoria o meramente “acceleratoria” del termine in questione: essa esporrebbe l’incolpato a un potere sanzionatorio di fronte al cui tardivo esercizio potrebbe essergli difficoltoso approntare in concreto adeguati strumenti di difesa.
8.7.3. Pertanto, il fatto che il Regolamento Anac sulla potestà sanzionatoria non contenga un’esplicita previsione di perentorietà del termine in questione non ha efficacia decisiva ai fini della soluzione della presente controversia: ma se anche ANAC avesse operato un’autoqualificazione del termine di segnalazione come ordinatorio (il che non è), ciò non sottrarrebbe la detta operazione al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, trattandosi dell’esercizio del potere di autoorganizzazione che deve necessariamente svolgersi nel rispetto dei ricordati parametri legislativi e costituzionali.
8.7.4. Inoltre, al riguardo non è superfluo osservare che risulta assente a livello sostanziale una norma di carattere generale quale quella contenuta nel comma 2 dell’art. 152 c.p.c., secondo il quale: “I termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori”. Quest’ultimo precetto non può, infatti, che trovare applicazione in ambito processuale (in tal senso Cons. Stato, VI, 584/2021 cit.).
8.7.5. Per converso, a prescindere da un’espressa qualificazione contenuta nel Regolamento, deve ritenersi che vi è un’implicita previsione di perentorietà, desumibile dal sistema ordinamentale, anche del termine stabilito per l’invio della segnalazione ad ANAC da parte della stazione appaltante ai fini dell’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 80, comma 12, d.lgs. 50 del 2016; sicché il suo superamento, in assenza di giustificati impedimenti, non può che connotare in termini di illegittimità l’operato dell’amministrazione e, di conseguenza, il provvedimento sanzionatorio impugnato.
8.8. Molteplici argomenti depongono in tal senso.
8.8.1. In primo luogo, il fatto che siano generalmente ritenuti perentori i termini di avvio e conclusione del procedimento sanzionatorio nonché ragioni di coerenza con i ricordati principi generali sottesi alla previsione di termini in tale materia portano a ritenere che tutto il procedimento sanzionatorio innanzi all’ANAC sia caratterizzato da una logica acceleratoria per il corretto funzionamento del sistema.
8.8.2. Se è vero che un regolamento può stabilire la perentorietà dei termini del procedimento qualora vi sia una base normativa, deve allora rilevarsi come nel caso in esame il precedente Regolamento per l’esercizio sanzionatorio di ANAC, che ha base normativa (è infatti la legge che ha delegato ANAC a disciplinare il procedimento sanzionatorio e a stabilire i termini ai fini del legittimo esercizio del potere), statuiva espressamente la perentorietà dei termini del procedimento sanzionatorio.
Pertanto, sebbene non vi sia un’espressa previsione in tal senso, anche il termine di segnalazione all’Autorità deve considerarsi perentorio, avuto riguardo alle norme regolamentari che, stabilendo una precisa scansione temporale per ogni fase procedimentale, introducono l’obbligo di osservare il principio di tempestività sia nella fase di avvio che in quella di definizione del procedimento sanzionatorio.
Infatti, se il dies a quo del termine per l’avvio del procedimento sanzionatorio e per procedere alla contestazione dell’addebito decorre, ai sensi dell’art. 11 del Regolamento (Fase pre-istruttoria), dalla ricezione della documentazione completa all’Autorità, mentre dalla data della ricezione della contestazione decorre, ai sensi dell’art. 13, comma 1, lett. b) del medesimo Regolamento, il termine di 180 giorni per la conclusione del procedimento, il mancato rispetto del termine per effettuare tale segnalazione non può allora che influire sull’avvio e, in definitiva, sulla stessa conclusione del procedimento sanzionatorio, riverberandosi in senso negativo sui relativi termini.
8.8.3. Nel caso di specie, a fondamento della previsione dei termini procedimentali vi è un’esigenza di certezza giuridica e tutela dell’impresa, che non può essere esposta sine die al potere sanzionatorio di ANAC per gli effetti che esso determina sulla partecipazione alle gare (e quindi sulle esigenze organizzative delle risorse imprenditoriali).
8.8.4. Vi sono poi ulteriori ragioni oltre a quelle esposte che depongono nel senso della perentorietà del termine de quo: anzitutto, un argomento di carattere testuale laddove sono la stessa norma di legge (art. 80 comma 12 cit.: “la stazione appaltante ne dà segnalazione all’Autorità”) e la previsione regolamentare (art. 10, comma 2: i moduli contenenti le segnalazioni “dovranno” essere inviate all’Autorità “entro 30 giorni dal verificarsi dell’evento o dalla conoscenza del fatto oggetto di segnalazione”) a connotare l’adempimento in questione in termini di obbligatorietà e tempestività, e non di mera facoltà rimessa ad libitum alla stazione appaltante.
8.8.5. Sovvengono poi non meno rilevanti esigenze di interpretazione sistematica, per rendere la norma coerente con altre previsioni contenute nello stesso Regolamento per l’esercizio del potere sanzionatorio e con la stessa impostazione generale che, per superiori ragioni di interesse generale finalizzate al corretto e regolare funzionamento del sistema delle commesse pubbliche, ne è alla base.
8.8.6. Sul punto giova richiamare il precedente della Sezione (13 dicembre 2019, n. 8480) che- seppure con riguardo a fattispecie regolata dal precedente Regolamento unico in materia di esercizio del potere sanzionatorio da parte dell’Anac (già Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture) approvato giusta delibera dell’Autorità del 24 febbraio 2014 e successive modifiche e integrazioni, ratione temporis lì applicabile- ha posto in risalto ragioni analoghe a quelle sopra esposte a fondamento della generale perentorietà dei termini del procedimento sanzionatorio innanzi all’Anac, rilevando come “la natura afflittiva delle sanzioni applicate all’esito dei procedimenti in esame assegna natura perentoria (…) al termine di inizio del procedimento al fine di evitare che l’impresa possa essere esposta a tempo indefinito all’applicazione della sanzione stessa” (Cons. Stato, VI, 11 giugno 2019, n. 3919; nello stesso senso, implicitamente, VI, 8 aprile 2019, n. 2289)”): ragioni che sono pienamente mutuabili anche alla presente fattispecie disciplinata dal vigente Regolamento per la disciplina dei procedimenti sanzionatori di competenza dell’Autorità di cui si lamenta la violazione nei sensi sopra indicati.
8.8.7. In quest’ottica se l’art. 28, comma 6, del previgente Regolamento stabilisce che l’unità organizzativa responsabile “comunica alle parti l’avvio del procedimento sanzionatorio, entro il termine massimo di 90 giorni dalla ricezione della segnalazione completa”, il successivo art. 48, comma 2, chiarisce inequivocabilmente che “i termini di avvio del procedimento (…) sono perentori”.
8.8.8. Il che trova ragione, come già evidenziato, nei profili di specialità del procedimento sanzionatorio rispetto al paradigma generale del procedimento amministrativo, e in particolare nella natura afflittivo-sanzionatoria del provvedimento che ne deriva, e dunque nel principio secondo cui “l’esercizio di una potestà sanzionatoria, di qualsivoglia natura, non può restare esposta sine die all’inerzia dell’autorità preposta al procedimento sanzionatorio, ciò ostando ad elementari esigenze di sicurezza giuridica e di prevedibilità in tempi ragionevoli delle conseguenze dei comportamenti” (così Cons. Stato, 8480/2019 cit.; cfr. anche Cons. Stato, V, 3 maggio 2019, n. 2874; 3 ottobre 2018, n. 5695, nelle quali si chiarisce peraltro come, nel termine relativo alla conclusione del procedimento, vada computato anche il tempo occorso alla comunicazione del provvedimento all’interessato; v. anche V, 30 luglio 2018, n. 4657; VI, 30 aprile 2019, n. 2815).
8.8.9. La norma di riferimento di rango primario idonea a giustificare la qualificazione di perentorietà dei termini procedimentali è stata poi rinvenuta dalla richiamata giurisprudenza nell’art. 8, comma 4, d. lgs. n. 163 del 2006 – norma che si pone a fondamento del Regolamento sanzionatorio – secondo cui «il regolamento dell’Autorità disciplina l’esercizio del potere sanzionatorio da parte dell’Autorità nel rispetto dei principi» anzitutto «della tempestiva comunicazione dell’apertura dell’istruttoria», nonché «della contestazione degli addebiti, del termine a difesa, del contraddittorio, della motivazione, proporzionalità e adeguatezza della sanzione, della comunicazione tempestiva con forme idonee ad assicurare la data certa della piena conoscenza del provvedimento, del rispetto degli obblighi di riservatezza previsti dalle norme vigenti» (così Cons. Stato, V, n. 8480/2019 e giurisprudenza ivi richiamata).
8.9. In conclusione, deve ritenersi che il termine di 30 giorni, previsto dal Regolamento sull’esercizio del potere sanzionatorio dell’Autorità di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, entro cui la stazione appaltante deve portare a conoscenza dell’Autorità la fattispecie oggetto di possibile sanzione ha natura perentoria: tanto a ragione della portata afflittiva del provvedimento sanzionatorio e in ossequio ai canoni di certezza del diritto e di ragionevolezza.
Diversamente opinando, si rischierebbe l’aggiramento degli stessi termini del procedimento sanzionatorio dinanzi all’ANAC stabiliti dal Regolamento secondo una precisa scansione cronologica dell’esercizio del potere, nel contemperamento degli opposti interessi, quelli connessi all’applicazione delle sanzioni in gioco e la tutela del diritto di difesa.
Del resto non sussiste qui neppure una diversa regolamentazione da parte di una fonte normativa, pari ordinata, che per il suo carattere di specialità si configuri idonea ad introdurre una deroga alla generale perentorietà dei termini del procedimento sanzionatorio innanzi all’ANAC: perentorietà che era anzi affermata dal previgente Regolamento in materia di esercizio del potere sanzionatorio con riferimento ai termini di avvio e conclusione, secondo una ratio logica da estendere ragionevolmente anche al termine per la segnalazione dell’evento o dei fatti da porre a fondamento della futura contestazione, attività amministrativa per la quale il Regolamento qui applicabile pure stabilisce una precisa “scansione procedimentale” che non può essere tenuta in non cale da parte dell’ente segnalante.
Al riguardo, è opportuno anche precisare che il decorso dei trenta giorni è collegato dalla stessa norma regolamentare alla conoscenza dei fatti oggetto di segnalazione da parte della Stazione appaltante e, perciò, inevitabilmente al tempo di accertamento dell’infrazione, da intendersi come riferita all’acquisizione della piena conoscenza della condotta nella sua esistenza ed entità (id est: nel caso di specie, la falsità della dichiarazione resa o della documentazione presentata dall’operatore economico) e dei suoi effetti.
ANAC : obbligo di motivazione sull’ utilità della notizia ai fini dell’ iscrizione nel Casellario informatico (art. 213 d.lgs. n. 50/2016)
4. Sono invece fondate le doglianze svolte dal Consorzio ricorrente nel secondo e nel terzo motivo di ricorso in ordine agli evidenti vizi di istruttoria e di motivazione che interessano l’atto impugnato, con cui l’Autorità ha disposto l’annotazione nei confronti del Consorzio ricorrente senza valutare (e motivare) adeguatamente in ordine all’utilità della notizia per le finalità proprie del Casellario.
4.1. A tal proposito, deve infatti ricordarsi che, ai sensi dell’art. 213, comma 10, d.lgs. n. 50/2016, l’ANAC «gestisce il Casellario Informatico dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, istituito presso l’Osservatorio, contenente tutte le notizie, le informazioni e i dati relativi agli operatori economici con riferimento alle iscrizioni previste dall’articolo 80» e stabilisce «le ulteriori informazioni che devono essere presenti nel casellario ritenute utili ai fini della tenuta dello stesso, della verifica dei gravi illeciti professionali di cui all’articolo 80, comma 5, lettera c), dell’attribuzione del rating di impresa di cui all’articolo 83, comma 10, o del conseguimento dell’attestazione di qualificazione di cui all’articolo 84».
All’art. 8, c. 2, del “Regolamento per la gestione del Casellario Informatico” adottato dall’Autorità è stato poi specificato che la sezione B del casellario contiene, tra l’altro, a) “le notizie, le informazioni e i dati concernenti i provvedimenti di esclusione dalla partecipazione alle procedure d’appalto o di concessione e di revoca dell’aggiudicazione per la presenza di uno dei motivi di esclusione di cui all’art. 80 del codice, che consolidano il grave illecito professionale posto in essere nello svolgimento della procedura di gara od altre situazioni idonee a porre in dubbio l’integrità o affidabilità dell’operatore economico”, nonché b) “le notizie, le informazioni e i dati emersi nel corso di esecuzione dei contratti pubblici, relativi a: i) provvedimenti di risoluzione del contratto per grave inadempimento, anche se contestati in giudizio; ii) provvedimenti di applicazione delle penali o altri provvedimenti di condanna al risarcimento del danno o sanzioni di importo superiore, singolarmente o cumulativamente con riferimento al medesimo contratto, all’1 % del suo importo; iii) altri comportamenti sintomatici di persistenti carenze professionali”.
4.2. In ordine al corretto esercizio del potere di annotazione, la giurisprudenza ha poi specificato che l’ANAC ha il dovere di valutare sia la conferenza della notizia rispetto alle finalità di tenuta del Casellario informatico, sia l’utilità della stessa quale indice rivelatore di inaffidabilità dell’operatore economico attinto dalla annotazione.
In particolare, è stato precisato che «in tutti in casi in cui le annotazioni non rientrino tra quelle tipizzate dal legislatore come “atto dovuto”, le stesse devono essere adeguatamente motivate in ordine alle ragioni della ritenuta utilità (Tar Lazio, I, 8 marzo 2019, n. 3098)» e che «la mera valenza di “pubblicità notizia” delle circostanze annotate come “utili” e il fatto che le stesse non impediscano, in via automatica, la partecipazione alle gare, non esonera l’Autorità da una valutazione in ordine all’interesse alla conoscenza di dette vicende, la cui emersione deve avvenire in forza di un processo motivazionale che, per quanto sintetico, non può ridursi ad una assertiva affermazione di conferenza della notizia (Tar Lazio, I, 11 giugno 2019 n. 7595)» (Tar Lazio, I, 7 aprile 2021, n. 4107).
Analogamente, il giudice d’appello ha evidenziato che l’Autorità, prima di procedere all’iscrizione nel casellario informatico, è tenuta «a valutare l’utilità della notizia alla luce delle circostanze di fatto esposte dall’operatore economico nella sua memoria, poiché effettivamente incidenti … sulla gravità dell’errore professionale commesso e, in via indiretta, sull’apprezzamento dell’affidabilità della società da parte delle stazione appaltanti, cui è imposta la consultazione del Casellario, per ogni procedura di gara indetta successivamente all’iscrizione» (Consiglio di Stato, V, 21 febbraio 2020, n. 1318).
Ancora è stato evidenziato che l’astratta valutazione dell’utilità dell’informazione non è sufficiente a giustificare l’annotazione nel casellario, dovendo – al contrario – l’Autorità “procedere ad un’attenta valutazione dell’utilità in concreto dell’annotazione ai fini dell’apprezzamento dell’affidabilità dell’operatore che le stazioni appaltanti avrebbero potuto compiere in relazione a successive procedure di gara” (cfr. Consiglio di Stato V, 21 febbraio 2020, n. 1318). La stessa giurisprudenza – così come ricordato dall’amministrazione – ha affermato che l’obbligo di motivazione in ordine all’utilità della notizia può ritenersi alleggerito nelle ipotesi in cui vengono in considerazione “fatti rilevanti quali illeciti professionali gravi, poiché rispetto ad essi il legislatore ha già effettuato a monte una valutazione in termini di “utilità” della annotazione” (cfr. ancora Tar Lazio, I, n. 4107/2021 e più di recente Tar Lazio, I-quater, 13 maggio 2022, n. 6032 e 11 luglio 2022, n. 9451).
4.3. Ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, non può non notarsi che, nel caso di specie, l’Autorità ha ritenuto di dover senz’altro procedere all’annotazione (senza motivare puntualmente sulla sua utilità) in ragione del fatto che la stessa riguarda un provvedimento di risoluzione contrattuale, sicché – così come indicato dalla giurisprudenza, anche di questo Tribunale – si verserebbe in una fattispecie in cui l’annotazione costituisce un «atto sostanzialmente vincolato» (cfr. ord. Tar Lazio, I, 8 settembre 2021, n. 4731).
Casellario ANAC – Annotazione – Motivazione puntuale ed esatta – Necessità (art. 213 d.lgs. n. 50/2016)
Va rilevato che in ordine all’esercizio del potere di annotazione, la giurisprudenza ha specificato che l’Autorità ha il dovere di valutare sia la conferenza della notizia rispetto alle finalità di tenuta del Casellario, sia l’utilità della stessa quale indice rivelatore di inaffidabilità dell’operatore economico attinto dalla annotazione. In tutti in casi in cui le annotazioni non rientrino tra quelle tipizzate dal legislatore come “atto dovuto”, le stesse devono essere adeguatamente motivate in ordine alle ragioni della ritenuta utilità (cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 febbraio 2020, n. 1318; Tar Lazio, Roma. Sez. I, 8 marzo 2019, n.3098) e la mera valenza di “pubblicità notizia” delle circostanze annotate come “utili” e il fatto che le stesse non impediscano, in via automatica, la partecipazione alle gare, non esonera l’Autorità da una valutazione in ordine all’interesse alla conoscenza di dette vicende, la cui emersione deve avvenire in forza di un processo motivazionale che, per quanto sintetico, non può ridursi ad una assertiva affermazione di conferenza della notizia (cfr. Tar Lazio, Roma, Sez. I, 11 giugno 2019, n.7595; id. 7 aprile 2021, n. 4107).
[…]
Nella specie l’ANAC ha ritenuto di escludere la sussistenza di un’ipotesi di falsa dichiarazione (non espressamente richiamata nell’atto impugnato), tuttavia ha ritenuto l’utilità della notizia per gravi illeciti professionali e per significative carenze nell’esecuzione del precedente contratto per le finalità proprie del Casellario, sulla base però di una motivazione sintetica e non specifica sulle puntuali ragioni che hanno indotto all’annotazione in relazione al caso concreto effettivamente realizzatasi, non tenendo adeguatamente conto di quanto dedotto dalla ricorrente con le osservazioni in sede procedimentale e senza svolgere gli approfondimenti istruttori necessari.
Sul punto, va confermato l’orientamento giurisprudenziale in base al quale l’annotazione deve essere riportata in maniera puntuale ed esatta; ciò, al duplice fine di fornire la corretta indicazione in ordine al fatto potenzialmente escludente e di tutelare l’interesse del soggetto annotato a che venga iscritta una notizia “utile”, ma riportata nei suoi effettivi contorni giuridico-fattuali (cfr. Tar Lazio, Roma, sez. I, sentenza n. 11137/2021).
Riferimenti normativi:
ANAC – Annotazione Casellario – Presupposti – Conferenza e utilità della notizia quale indice di inaffidabilità dell’ Operatore Economico (art. 213 d.lgs. n. 50/2016)
Ai sensi dell’art. 213, comma 10, d.lgs. n. 50/2016, l’ANAC «gestisce il Casellario Informatico dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, istituito presso l’Osservatorio, contenente tutte le notizie, le informazioni e i dati relativi agli operatori economici con riferimento alle iscrizioni previste dall’articolo 80» e stabilisce «le ulteriori informazioni che devono essere presenti nel casellario ritenute utili ai fini della tenuta dello stesso, della verifica dei gravi illeciti professionali di cui all’articolo 80, comma 5, lettera c), dell’attribuzione del rating di impresa di cui all’articolo 83, comma 10, o del conseguimento dell’attestazione di qualificazione di cui all’articolo 84».
All’art. 8, c. 2, del “Regolamento per la gestione del Casellario Informatico” adottato dall’Autorità è stato poi specificato che la sezione B del casellario contiene, tra l’altro, a) «le notizie, le informazioni e i dati concernenti i provvedimenti di esclusione dalla partecipazione alle procedure d’appalto o di concessione e di revoca dell’aggiudicazione per la presenza di uno dei motivi di esclusione di cui all’art. 80 del codice, che consolidano il grave illecito professionale posto in essere nello svolgimento della procedura di gara od altre situazioni idonee a porre in dubbio l’integrità o affidabilità dell’operatore economico», nonché b) «le notizie, le informazioni e i dati emersi nel corso di esecuzione dei contratti pubblici, relativi a: i) provvedimenti di risoluzione del contratto per grave inadempimento, anche se contestati in giudizio; ii) provvedimenti di applicazione delle penali o altri provvedimenti di condanna al risarcimento del danno o sanzioni di importo superiore, singolarmente o cumulativamente con riferimento al medesimo contratto, all’1 % del suo importo; iii) altri comportamenti sintomatici di persistenti carenze professionali».
In ordine all’esercizio del potere di annotazione, la giurisprudenza amministrativa ha specificato che l’Autorità ha il dovere di valutare sia la conferenza della notizia rispetto alle finalità di tenuta del Casellario, sia l’utilità della stessa quale indice rivelatore di inaffidabilità dell’operatore economico attinto dalla annotazione.
In particolare, è stato precisato che «in tutti in casi in cui le annotazioni non rientrino tra quelle tipizzate dal legislatore come “atto dovuto”, le stesse devono essere adeguatamente motivate in ordine alle ragioni della ritenuta utilità (Tar Lazio, I, 8 marzo 2019, n. 3098)» e che «la mera valenza di “pubblicità notizia” delle circostanze annotate come “utili” e il fatto che le stesse non impediscano, in via automatica, la partecipazione alle gare, non esonera l’Autorità da una valutazione in ordine all’interesse alla conoscenza di dette vicende, la cui emersione deve avvenire in forza di un processo motivazionale che, per quanto sintetico, non può ridursi ad una assertiva affermazione di conferenza della notizia (Tar Lazio, I, 11 giugno 2019 n. 7595)» (Tar Lazio, I, 7 aprile 2021, n. 4107).
Analogamente, il giudice d’appello ha evidenziato che l’Autorità, prima di procedere all’iscrizione nel casellario informatico, è tenuta «a valutare l’utilità della notizia alla luce delle circostanze di fatto esposte dall’operatore economico nella sua memoria, poiché effettivamente incidenti … sulla gravità dell’errore professionale commesso e, in via indiretta, sull’apprezzamento dell’affidabilità della società da parte delle stazione appaltanti, cui è imposta la consultazione del Casellario, per ogni procedura di gara indetta successivamente all’iscrizione» (Consiglio di Stato, V, 21 febbraio 2020, n. 1318).
La stessa giurisprudenza ha poi evidenziato che un siffatto obbligo di motivazione in ordine all’utilità della notizia può ritenersi alleggerito solamente nelle ipotesi in cui vengono in considerazione «fatti rilevanti quali illeciti professionali gravi, poiché rispetto ad essi il legislatore ha già effettuato a monte una valutazione in termini di “utilità” della annotazione» (cfr. ancora Tar Lazio, I, n. 4107/2021 e più di recente Tar Lazio, I-quater, 13 maggio 2022, n. 6032).
Annotazione Anac – Mancata valutazione memoria operatore economico – Difetto di motivazione (art. 213 d.lgs. n. 50/2016)
TAR Roma, 18.03.2022 n. 1802 ord.
Rilevato che con sentenza Tar Lazio, I, 29 luglio 2020, n. 8843, questo Tribunale aveva definitivamente annullato l’annotazione precedentemente disposta da ANAC nei confronti della società ricorrente non solo in ragione della non definitività della sanzione (così come sostenuto nel provvedimento gravato) ma anche per difetto di motivazione, atteso che «nel provvedimento che dispone[va] l’annotazione non [era] indicata la motivazione per la quale la notizia, così come trascritta, sia stata ritenuta “utile”, ai sensi dell’art. 8, comma 2, lett. dd), d.P.R. n. 207/10, non essendo sufficiente la circostanza per la quale l’ANAC, pur richiamando in sintesi il contento dell’apporto procedimentale dell’interessata, si [era] limitata ad affermare, richiamando quanto già anticipato nel provvedimento di avvio del procedimento, che l’inserimento aveva la sola finalità di rendere pubblicamente noti i fatti segnalati»;
Ritenuto che – alla luce di quanto sopra – appare prima facie fornita di adeguato fumus boni iuris la censura spiegata nel primo motivo di ricorso, atteso che – a seguito dell’annullamento della precedente annotazione disposto da questo Tribunale – l’Autorità, dopo aver appreso della definitività del provvedimento sanzionatorio dell’AGCM nei confronti della ricorrente, avrebbe dovuto riavviare il procedimento di annotazione nel rispetto di tutte le disposizioni poste dalla l. n. 241/1990 e dal Regolamento ANAC per la Gestione del Casellario a presidio del diritto di difesa degli operatori economici (ovvero a garanzia della loro partecipazione procedimentale), inviando alla ricorrente la comunicazione di avvio del procedimento (cfr. artt. 7 e 8, l. n. 241/1990 e art. 13 Regolamento) e consentendole di accedere agli atti del procedimento e di svolgere le proprie osservazioni difensive (art. 10, l. n. 241/1990 e artt. 14 e 15 Regolamento);
Ritenuto che è parimenti caratterizzata da un fumus di fondatezza la censura di difetto di motivazione di cui al quarto motivo di ricorso, atteso che l’atto gravato – al pari di quello già annullato da Tar Lazio, I, n. 8843/2020 – non risulta adeguatamente motivato in ordine all’utilità della notizia per le finalità del Casellario e considerato che – per consolidata giurisprudenza – l’ANAC è «tenuta, prima di procedere all’iscrizione nel casellario informatico, a valutare l’utilità della notizia alla luce delle circostanze di fatto esposte dall’operatore economico nella sua memoria, poiché effettivamente incidenti sull’importanza dell’inadempimento (ovvero sulla gravità dell’errore professionale commesso) e, in via indiretta, sull’apprezzamento dell’affidabilità della società da parte delle stazioni appaltanti, cui è imposta la consultazione del Casellario, per ogni procedura di gara indetta successivamente all’iscrizione» (Consiglio di Stato, V, 21 febbraio 2020, n. 1318);
Rilevato – con riferimento al profilo del periculum in mora – che «le annotazioni ANAC non incidono mai in maniera “indolore” nella vita dell’impresa, anche laddove non prevedano l’automatica esclusione o la conseguente interdizione dalle gare pubbliche, perché comunque rilevanti sia sotto il profilo dell’immagine sia sotto quello dell’aggravamento della partecipazione a selezioni pubbliche» (cfr. ex multis Tar Lazio, I, 25 febbraio 2019, n. 2178; 11 giugno 2019, n. 7595 e 2 ottobre 2019, n. 11470) e che – ancora di recente questo Tar ha notato che – «qualsiasi dubbio sulla affidabilità dell’operatore economico è in grado di ridondare, per esempio, sulla partecipazione delle gare ristrette, ad invito» (Tar Lazio, I, 7 aprile 2021, n. 4107).
Riferimenti normativi:
Comunicati del Presidente ANAC – Competenza – Non possono modificare il contenuto delle Linee Guida – Atti di ordine, di regolazione e sanzionatori – Spettano al Consiglio dell’Autorità
IN FATTO
Il regime giuridico di affidamento dei contratti a cui sono soggette le ricorrenti varia in ragione del settore di operatività, dell’oggetto e del valore del contratto da affidare e della natura dell’appalto.
Con i provvedimenti impugnati l’Autorità nazionale anticorruzione aveva ridefinito il contenuto degli obblighi di comunicazione in relazione agli appalti pubblici ed aveva modificato la disciplina per l’acquisizione del Codice Identificativo Gara ed il pagamento del contributo.
L’Autorità, infatti, con determinazione n. 4 del 7 luglio 2011 aveva approvato le “Linee guida sulla tracciabilità dei flussi finanziari ai sensi dell’articolo 3 della legge 13 agosto 2010, n. 136”, al fine di dare attuazione alle misure di contrasto alla criminalità organizzata mediante lo “strumento della tracciabilità”, riordinando e sostituendo le precedenti determinazioni n. 8 del 18 novembre 2010 (recante “Prime indicazioni sulla tracciabilità finanziaria ex art. 3, legge 13 agosto 2010, n. 136 come modificata dal D.L. 12 novembre 2010, n. 187”) e n. 10 del 22 dicembre 2010 (recante “Ulteriori indicazioni sulla tracciabilità dei flussi finanziari”).
Le Linee Guida avevano ribadito che la ratio delle disposizioni in materia di tracciabilità era quella di “prevenire infiltrazioni malavitose e di contrastare le imprese che, per la loro contiguità con la criminalità organizzata, operano in modo irregolare ed anticoncorrenziale”, rammentando come “l’art. 3 della legge n. 136/2010 generalizza una forma di controllo dei contratti pubblici, quella della tracciabilità finanziaria (…)” mediante “(a) l’utilizzo di conti correnti dedicati per l’incasso ed i pagamenti di movimentazioni finanziarie derivanti da contratto di appalto; (b) il divieto di utilizzo del contante (…); (c) l’obbligo di utilizzo di strumenti tracciabili per i pagamenti”.
A tal fine le Linee Guida, dopo aver indicato i criteri per la definizione regolamentare della filiera delle imprese soggette agli obblighi di tracciabilità, avevano individuato nel dettaglio i flussi finanziari soggetti a tracciabilità, esaminando altresì le fattispecie che potevano ritenersi escluse dagli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari (par. 2.5 ss).
Al par. 2.7 delle Linee Guida era previsto che “sono soggetti agli obblighi di tracciabilità i flussi finanziari derivanti dai contratti stipulati dalle imprese pubbliche nell’ambito dei settori “speciali” individuati dalla direttiva 2014/25/UE e dal Codice, Parte II, Titolo VI, Capo I, mentre sono da ritenersi esclusi i contratti di diritto privato stipulati dalle imprese pubbliche al di fuori di tali attività” e per quelle attività “direttamente esposte alla concorrenza”.
Tale precisazione era volta ad evitare l’estensione dell’operatività dell’istituto anche alle fattispecie in cui non veniva in rilievo il presupposto per l’applicazione delle norme sulla tracciabilità, ossia l’impiego di risorse pubbliche o, in ogni caso, l’esercizio di funzioni pubbliche derivanti da diritti esclusivi.
Conseguentemente, secondo quanto previsto dalle Linee Guida, per i contratti stipulati dalle imprese pubbliche per fini diversi dal perseguimento delle attività nei settori speciali non operavano gli obblighi di tracciabilità né di comunicazione.
Con il comunicato del 16 ottobre 2019 (recante ad oggetto “Indicazioni relative all’obbligo di acquisizione del CIG e di pagamento del contributo in favore dell’Autorità per le fattispecie escluse dall’ambito di applicazione del codice dei contratti pubblici”) il Presidente dell’Autorità, richiamando “l’esigenza di acquisire dati e informazioni su alcune procedure sottoposte alla vigilanza dell’Autorità escluse dall’applicazione del codice dei contratti pubblici”, aveva ridefinito “gli obblighi di acquisizione del CIG e pagamento del contributo in favore dell’Autorità per alcune tipologie di affidamento”, mantenendo “ferme le indicazioni fornite nella determinazione 556 del 31/5/2017 in materia di tracciabilità dei flussi finanziari”.
Nel comunicato erano riportati in tabella “gli obblighi aggiornati, con riferimento alle fattispecie escluse dall’applicazione del Codice interessate dall’intervento (…)” e, per quanto di interesse, veniva prevista l’applicazione degli obblighi di tracciabilità mediante rilascio di Smart CIG e/o del Codice Identificativo Gara e/o pagamento del contributo Anac per una serie di appalti prima non individuati con decorrenza dal 1 gennaio 2020.
Per quanto riguarda la trasmissione dei dati all’Osservatorio dei contratti pubblici, il Presidente disponeva altresì l’estensione degli obblighi di comunicazione attualmente in essere per i settori ordinari “a tutte le altre fattispecie, ivi comprese quelle elencate in tabella”, prevedendo l’applicazione delle sanzioni disposte dall’art. 211 co. 13 del Codice anche all’accertamento di eventuali inadempimenti al comunicato medesimo.
In forza dei nuovi obblighi introdotti dal comunicato, le società ricorrenti si vedevano costrette ad effettuare un numero indefinito di comunicazioni aggiuntive all’Autorità sulla fase di esecuzione dei contratti estranei e/o esclusi (e.g. stati di avanzamento), per adempiere ad obblighi non previsti dalla disciplina e particolarmente gravosi, che avrebbero imposto un significativo aggravio organizzativo ed economico (es. assunzioni e definizione di un’apposita struttura organizzativa).
In seguito, con il comunicato del 18 dicembre 2019, il Presidente dell’Autorità aveva fornito ulteriori “Indicazioni relative all’obbligo di acquisizione del CIG, di trasmissione dei dati e di pagamento del contributo in favore dell’Autorità per i regimi particolari di appalto di cui alla Parte II, Titolo VI, del codice dei contratti pubblici”.
In particolare, con tale comunicato il Presidente aveva chiarito che “gli obblighi di acquisizione del CIG, di trasmissione dei dati e di pagamento del contributo in favore dell’Autorità previsti per i settori ordinari e per i contratti esclusi dall’ambito di applicazione del codice dei contratti pubblici, si applicano anche ai Regimi particolari di appalto di cui alla Parte II, Titolo VI del codice medesimo, ivi compresi gli appalti aggiudicati da imprese che svolgono una delle attività previste dagli articoli da 115 a 121 del codice dei contratti pubblici (settori speciali)”.
IN DIRITTO
A seguito dell’introduzione della disciplina sulla tracciabilità dei flussi finanziari ex art. 3 della l. 13 agosto 2010, n. 136, l’Autorità nazionale anticorruzione, con determinazione n. 4 del 7 luglio 2011, ha approvato le “Linee guida sulla tracciabilità dei flussi finanziari ai sensi dell’articolo 3 della legge 13 agosto 2010, n. 136”; con le Linee Guida, l’Autorità ha dato attuazione alle misure di contrasto alla criminalità organizzata mediante lo “strumento della tracciabilità”, riordinando e sostituendo le precedenti determinazioni n. 8 del 18 novembre 2010 (recante “Prime indicazioni sulla tracciabilità finanziaria ex art. 3, legge 13 agosto 2010, n. 136 come modificata dal D.L. 12 novembre 2010, n. 187”) e n. 10 del 22 dicembre 2010 (recante “Ulteriori indicazioni sulla tracciabilità dei flussi finanziari”).
L’Autorità ha, preliminarmente, precisato come la ratio delle disposizioni in materia di tracciabilità fosse quella di “prevenire infiltrazioni malavitose e di contrastare le imprese che, per la loro contiguità con la criminalità organizzata, operano in modo irregolare ed anticoncorrenziale”, rammentando come “l’art. 3 della legge n. 136/2010 generalizza una forma di controllo dei contratti pubblici, quella della tracciabilità finanziaria (…)” mediante “(a) l’utilizzo di conti correnti dedicati per l’incasso ed i pagamenti di movimentazioni finanziarie derivanti da contratto di appalto; (b) il divieto di utilizzo del contante (…); (c) l’obbligo di utilizzo di strumenti tracciabili per i pagamenti”.
Sono quindi stati individuati nel dettaglio i flussi finanziari soggetti a tracciabilità e le fattispecie che possono ritenersi escluse dagli obblighi di tracciabilità.
Al par. 2.7 delle Linee Guida è stato chiarito che “sono soggetti agli obblighi di tracciabilità i flussi finanziari derivanti dai contratti stipulati dalle imprese pubbliche nell’ambito dei settori “speciali” individuati dalla direttiva 2014/25/UE e dal Codice, Parte II, Titolo VI, Capo I, mentre sono da ritenersi esclusi i contratti di diritto privato stipulati dalle imprese pubbliche al di fuori di tali attività (…)” e per quelle attività “direttamente esposte alla concorrenza”.
Presupposto dell’applicazione di tali obblighi è, infatti, l’impiego da parte della stazione appaltante di risorse pubbliche, o l’esercizio di funzioni pubbliche derivanti da diritti esclusivi.
Conseguentemente, secondo quanto previsto dalle Linee Guida, per i contratti stipulati dalle imprese pubbliche per fini diversi dal perseguimento delle attività nei settori speciali non operano gli obblighi di tracciabilità (i.e. obbligo di acquisizione del Codice Identificativo Gara Semplificato) né di comunicazione.
Con i comunicati impugnati il Presidente dell’Anac, ravvisando “l’esigenza di acquisire dati e informazioni su alcune procedure sottoposte alla vigilanza dell’Autorità escluse dall’applicazione del codice dei contratti pubblici”, ha ridefinito “gli obblighi di acquisizione del CIG e pagamento del contributo in favore dell’Autorità per alcune tipologie di affidamento” osservando che “restano ferme le indicazioni fornite nella determinazione 556 del 31/5/2017 in materia di tracciabilità dei flussi finanziari”.
In particolare, nel comunicato si riportano in tabella “gli obblighi aggiornati, con riferimento alle fattispecie escluse dall’applicazione del Codice interessate dall’intervento” e, per quanto di interesse, viene prevista l’applicazione degli obblighi di tracciabilità mediante rilascio di Smart CIG e/o del Codice Identificativo Gara e/o pagamento del contributo Anac per una serie di appalti prima non individuati, con decorrenza dal 1 gennaio 2020.
Per quanto riguarda la trasmissione dei dati all’Osservatorio dei contratti pubblici, il Presidente dell’Anac ha disposto altresì l’estensione degli obblighi di comunicazione attualmente in essere per i settori ordinari “a tutte le altre fattispecie, ivi comprese quelle elencate in tabella”.
Con il comunicato del 18 dicembre 2019, il Presidente ha precisato che “gli obblighi di acquisizione del CIG, di trasmissione dei dati e di pagamento del contributo in favore dell’Autorità previsti per i settori ordinari e per i contratti esclusi dall’ambito di applicazione del codice dei contratti pubblici, si applicano anche ai Regimi particolari di appalto di cui alla Parte II, Titolo VI del codice medesimo, ivi compresi gli appalti aggiudicati da imprese che svolgono una delle attività previste dagli articoli da 115 a 121 del codice dei contratti pubblici (settori speciali)”.
Con il primo motivo le ricorrenti hanno contestato la legittimità della richiesta di acquisizione del CIG e l’imposizione di obblighi informativi da parte dell’Autorità in relazione ai “contratti nel settore dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali” e “ai regimi particolari di appalto di cui alla Part II, Titolo VI del codice, ivi compresi gli appalti aggiudicati da imprese che svolgono una delle attività previste dagli articoli da 115 a 121”, già esclusi dall’ambito di applicazione del Codice.
In particolare, le ricorrenti hanno lamentato sia l’incompetenza del Presidente rispetto all’introduzione di modifiche alle Linee Guida, da deliberarsi con atto del Consiglio dell’Autorità, che l’esercizio delle funzioni di vigilanza e controllo in materie non puntualmente identificate dal legislatore ed al di fuori dei limiti previsti dall’art. 213, co. 1, del Codice (prevenzione e contrasto all’illegalità).
Al riguardo si osserva che, secondo l’art. 6, rubricato “Competenze del Consiglio”, del “Regolamento di organizzazione e funzionamento dell’Autorità”, approvato con la delibera n. 919 del 16 ottobre 2019,
“1. Il Consiglio delibera gli atti regolamentari di carattere generale, adotta i provvedimenti di ordine, di regolazione e sanzionatori, nonché quelli in materia di organizzazione e funzionamento dell’Autorità.
2. Sono di competenza del Consiglio tutti gli atti di programmazione finanziaria e di politica del personale, ivi compresa l’assunzione dei dirigenti e il conferimento dei relativi incarichi.
3. Il Consiglio delibera sulla base delle istruttorie predisposte dagli uffici competenti.
4. Il Consiglio può individuare, con separati atti di indirizzo, gli atti di propria competenza la cui adozione possa essere delegata ai dirigenti, salvo l’obbligo di rendiconto periodico al Consiglio sui provvedimenti adottati.
5. Al Presidente ed ai Consiglieri possono essere attribuite funzioni di coordinamento di determinate materie e ambiti di attività/uffici, a garanzia di una più coerente definizione dei procedimenti da sottoporre ad approvazione collegiale, rispetto agli indirizzi forniti dal Consiglio”.
Pertanto, la competenza generale in ordine all’adozione di tutti gli atti dell’Autorità, di ordine, di regolazione e sanzionatori, spetta al Consiglio, mentre al Presidente spetta la rappresentanza dell’Autorità nei rapporti con gli organi dello Stato e con le altre istituzioni nazionali e internazionali, la direzione dei lavori del Consiglio e la sottoscrizione dei provvedimenti dell’Autorità, oltre, eventualmente, all’adozione dei provvedimenti di necessità e di urgenza.
Di conseguenza i comunicati del Presidente, nella parte in cui modificano il contenuto delle Linee Guida di cui alla delibera n. 556/2017, allo scopo di “ridefinire gli obblighi di acquisizione del CIG e pagamento del contributo in favore dell’Autorità per alcune tipologie di affidamento”, devono ritenersi, come dedotto, viziati da incompetenza.
Ciò anche ove il potere esercitato dovesse ritenersi rientrante nei poteri di vigilanza ex art. 213, co. 3, 8 e 9 del Codice, come eccepito dalla difesa dell’Autorità, posto che per le funzioni di vigilanza, controllo e regolazione sui contratti pubblici non è prevista, sotto tale profilo, una differente disciplina, sicché le stesse rientrano, secondo le disposizioni regolamentari sopra citate, nella generale competenza consiliare.
L’accoglimento della censura di incompetenza ha carattere assorbente, determinando l’annullamento del provvedimento impugnato e la rimessione dell’affare all’autorità competente.
Differenza tra omessa e falsa dichiarazione ai fini della segnalazione ad ANAC e dell’ annotazione nel Casellario informatico
Consiglio di Stato, sez. V, 25.01.2022 n. 491
La giurisprudenza ha chiarito, sul piano interpretativo, la differenza tra dichiarazioni omesse e false, riconducendo le due ipotesi rispettivamente nell’ambito dell’art. 80, comma 5, lett. c-bis), ovvero lett. f-bis), del sopravvenuto d.lgs. n. 50 del 2016. In particolare, Cons. Stato, Ad. Plen., 28 agosto 2020, n. 16 ha precisato che le fattispecie riconducibili nella prima previsione non consentono l’esclusione automatica dalla procedura di gara, ma impongono alla stazione appaltante di svolgere la valutazione di integrità ed affidabilità del concorrente. Al contrario, la falsità dichiarativa ha attitudine espulsiva automatica ed è predicabile rispetto ad un “dato di realtà”, ovvero ad una situazione fattuale per la quale possa porsi l’alternativa logica “vero/falso” rispetto alla quale valutare la dichiarazione resa dall’operatore (Cons. Stato, IV, 30 dicembre 2020, n. 8532).
Ora, a prescindere da questi profili attinenti alla disciplina della gara, ciò che rileva in questa sede è che risulta ormai acclarata la differenza giuridica tra omessa dichiarazione e falsa dichiarazione. Solo quest’ultima (unitamente alla falsa documentazione) assume valore, a termini dell’art. 38, comma 1-ter, del d.lgs. n. 163 del 2006, ma anche dell’analogo art. 80, comma 12, del d.lgs. n. 50 del 2016, nella prospettiva della segnalazione all’ANAC, la quale, ove la ritenga resa con dolo o colpa grave, dispone l’iscrizione nel casellario informatico ai fini dell’esclusione dalla gara e dagli affidamenti di subappalti.
Il sopravvenuto chiarimento giurisprudenziale non ha peraltro una “portata innovativa”, in quanto, come detto, già l’art. 38, comma 1-ter, limitava, come emerge dalla sua ermeneusi letterale, la segnalazione alle ipotesi di falsa dichiarazione o falsa documentazione, locuzione che comunque non ammette un’interpretazione estensiva (nei confronti delle dichiarazioni omesse), operando il principio di stretta tipicità legale della fattispecie sanzionatoria, come questa Sezione ha avuto occasione di porre in evidenza in pronunce cautelari (cfr. Cons. Stato, V, ord. 26 febbraio 2021, n. 923, nonché ord. 23 aprile 2021, n. 2163, intervenuta nel presente contenzioso).
Tornando sulla natura giuridica dell’annotazione nel casellario, osserva il Collegio come sia impossibile escluderne una natura sanzionatoria, a prescindere (come già ritenuto anche da Cass., SS.UU., 4 dicembre 2020, n. 27770) dalla ravvisabilità degli indici elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo per l’affermazione di un quid pluris e cioè della natura sostanzialmente penale (cui devono correlarsi determinate garanzie) della sanzione ai sensi e per gli effetti dell’art. 6 della convenzione europea dei diritti dell’uomo, ed in particolare di quelli della qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, della intrinseca natura dell’illecito e del grado di severità della sanzione in cui l’interessato rischia di incorrere (c.d. “Engel criteria”, affermati per la prima volta dalla Corte EDU, 8 giugno 1976, Engel c. Paesi Bassi, e poi ribaditi dalla sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia), tematica cui è applicabile la recente giurisprudenza costituzionale evocata dall’appellante, concernente in definitiva l’estensione dello “statuto costituzionale” delle sanzioni penali a quelle amministrative a carattere punitivo (tra cui i principi di irretroattività della norma sfavorevole, e di retroattività della lex mitior : cfr. Corte cost., 16 aprile 2021, n. 68).
Occorre considerare che, seppure l’annotazione sia generalmente ricondotta nell’ambito della funzione di vigilanza e controllo dell’ANAC (argomentando anche dall’art. 213, comma 10, del d.lgs. n. 50 del 2016), con riguardo alla falsa dichiarazione o falsa documentazione non costituisce un mero atto dovuto da parte dell’ANAC a seguito della segnalazione, imponendo altresì un giudizio di imputabilità della falsa dichiarazione (in termini di dolo o colpa grave), e producendo delle conseguenze inequivocabilmente afflittive, in particolare l’esclusione dalle procedure di gara e dagli affidamenti di subappalti per un dato arco temporale, così da assumere – lo si ripete – natura sanzionatoria (in termini Cons. Stato, V, 13 dicembre 2019, n. 8480).
[…]
Appare utile solamente aggiungere, per completezza di esposizione, che la non veridicità delle dichiarazioni fornite dall’impresa alla stazione appaltante presuppone la coscienza e volontà di rendere una dichiarazione falsa e dunque il dolo generico dell’agente, e non anche il dolo specifico, irrilevanti essendo le concrete intenzioni dell’agente, in quanto non è richiesto l’animus nocendi o decipiendi, al pari del falso documentale colposo.
Un’ultima considerazione può essere fatta sulla portata dell’art. 45, comma 2, lett. g), della direttiva 2004/18/CE (recepita dall’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006); nella misura in cui consente l’esclusione dalla gara dell’operatore economico “che si sia reso gravemente colpevole di false dichiarazioni nel fornire le informazioni che possono essere richieste a norma della presente sezione o che non abbia fornito dette informazioni”, perimetra l’effetto espulsivo alle ipotesi di grave colpevolezza, non rinvenibili nel caso in cui il concorrente non consegua alcun vantaggio in termini competitivi, essendo in possesso di tutti i requisiti previsti.
Segnalazione all’ ANAC : è impugnabile autonomamente ?
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la segnalazione all’ ANAC di condotte illecite commesse dai partecipanti alle gare pubbliche non è suscettibile di autonoma impugnazione, trattandosi di un atto, privo di effetti autonomi, che funge soltanto da “impulso” all’attivazione del procedimento sanzionatorio di competenza dell’Autorità, i cui esiti potranno essere eventualmente impugnati (così Consiglio di Stato, sez. V, 28.03.2019 n. 2069 e TAR Cagliari, 12.04.2018 n. 331; nonché, ex multis, TAR Roma, 14.01.2019 n. 394; TAR Napoli, 21.12.2018 n. 7307; TAR Napoli, 05.05.2021 n. 2997; TAR Cagliari, 28.12.2021 n. 866).
Riferimenti normativi:
Condotte rilevanti per l’applicazione delle sanzioni ANAC (art. 213 d.lgs. n. 50/2016)
Questa Sezione ha avuto di recente modo di osservare che in sede di partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici i concorrenti sono tenuti a rendere una dichiarazione omnicomprensiva, segnalando tutte le vicende afferenti la propria attività professionale e in tale ambito rilevano anche le omissioni dichiarative idonee ad incidere sulle decisioni della stazione appaltante in merito alla conduzione della gara, come nell’ipotesi della partecipante che ha taciuto una circostanza che avrebbe comportato il venir meno dei requisiti di partecipazione (cfr. Tar Lazio, sez. I, 30 agosto 2021, n. 9421). La pronuncia ha aggiunto che, “fermo restando che omissioni dichiarative quali quelle contestate sono suscettibili di rientrare nell’ambito applicativo dell’art. 80 del d.lgs. n. 50/2016, con riferimento al potere di annotazione dell’Anac, l’art. 213, comma 13, del d.lgs. n. 50/2016 stabilisce che “Nel rispetto dei principi di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, l’Autorità ha il potere di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie nei confronti dei soggetti che rifiutano od omettono, senza giustificato motivo, di fornire le informazioni o di esibire i documenti richiesti dalla stessa e nei confronti degli operatori economici che non ottemperano alla richiesta della stazione appaltante o dell’ente aggiudicatore di comprovare il possesso dei requisiti di partecipazione alla procedura di affidamento, entro il limite minimo di euro 250,00 e il limite massimo di euro 25.000,00. Nei confronti dei soggetti che a fronte della richiesta di informazioni o di esibizione di documenti da parte dell’Autorità forniscono informazioni o esibiscono documenti non veritieri e nei confronti degli operatori economici che forniscono alle stazioni appaltanti o agli enti aggiudicatori o agli organismi di attestazione, dati o documenti non veritieri circa il possesso dei requisiti di qualificazione, fatta salva l’eventuale sanzione penale, l’Autorità ha il potere di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie entro il limite minimo di euro 500,00 e il limite massimo di euro 50.000,00. Con propri atti l’Autorità disciplina i procedimenti sanzionatori di sua competenza”.
In tale ambito, quindi, ai fini dell’irrogazione delle sanzioni devono ritenersi rilevanti esclusivamente le condotte espressamente previste dalla norma, ovvero l’omissione di informazioni richieste e le false dichiarazioni. In tal senso è stato evidenziato dalla più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato (…) che di tale disposizione deve essere prescelta un’interpretazione restrittiva, in quanto la segnalazione comporta l’apertura di un procedimento finalizzato all’applicazione della misura interdittiva dalla partecipazione alle pubbliche gare, con effetti general-preventivi pregiudizievoli anche più di quelli prodotti da una sanzione vera e propria (Cons. Stato, sez. V, 20.1.2021, n. 630; Cons. Stato, V, 23 luglio 2018, n. 4427)”.
Nel caso in esame, la dichiarazione resa dalla ricorrente ai fini della partecipazione alla gara conteneva certamente una omissione, relativa alla presenza di una annotazione interdittiva nel Casellario per una precedente esclusione da una gara, che costituiva una informazione potenzialmente rilevante per la formazione in capo alla stazione appaltante di una decisione consapevole circa il possesso dei requisiti di partecipazione, avuto riguardo alla presenza di circostanze pregresse valutabili quale “grave illecito professionale”.
Tuttavia, tale omissione non integra anche il presupposto del “mendacio” richiesto dalla norma, che consente all’Anac di irrogare sanzioni, presupposto che si configura, secondo l’Adunanza Plenaria n. 16/2020, solo nel caso di dichiarazioni “obiettivamente false, senza alcun margine di opinabilità”. Nella fattispecie, infatti, la ricorrente ha taciuto l’esistenza di circostanze pregresse che la stazione appaltante può reputare in grado di incidere negativamente sulla sua affidabilità ma non ha anche reso una dichiarazione falsa. Di conseguenza, aderendo all’interpretazione restrittiva della disposizione, non poteva essere applicata la fattispecie sanzionatoria di cui all’art. 213 comma 13 del d.lgs. 50/2016.
Sanzioni ANAC per omesse o false dichiarazioni: interpretazione restrittiva (art. 213 d.lgs. n. 50/2016)
Fermo restando che omissioni dichiarative quali quelle contestate sono suscettibili di rientrare nell’ambito applicativo dell’art. 80 del d.lgs. n. 50/2016, con riferimento al potere di annotazione dell’Anac, l’art. 213, comma 13, del d.lgs. n. 50/2016 stabilisce che “Nel rispetto dei principi di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, l’Autorità ha il potere di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie nei confronti dei soggetti che rifiutano od omettono, senza giustificato motivo, di fornire le informazioni o di esibire i documenti richiesti dalla stessa e nei confronti degli operatori economici che non ottemperano alla richiesta della stazione appaltante o dell’ente aggiudicatore di comprovare il possesso dei requisiti di partecipazione alla procedura di affidamento, entro il limite minimo di euro 250,00 e il limite massimo di euro 25.000,00. Nei confronti dei soggetti che a fronte della richiesta di informazioni o di esibizione di documenti da parte dell’Autorità forniscono informazioni o esibiscono documenti non veritieri e nei confronti degli operatori economici che forniscono alle stazioni appaltanti o agli enti aggiudicatori o agli organismi di attestazione, dati o documenti non veritieri circa il possesso dei requisiti di qualificazione, fatta salva l’eventuale sanzione penale, l’Autorità ha il potere di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie entro il limite minimo di euro 500,00 e il limite massimo di euro 50.000,00. Con propri atti l’Autorità disciplina i procedimenti sanzionatori di sua competenza”.
In tale ambito, quindi, ai fini dell’irrogazione delle sanzioni devono ritenersi rilevanti esclusivamente le condotte espressamente previste dalla norma, ovvero l’omissione di informazioni richieste e le false dichiarazioni.
In tal senso è stato evidenziato dalla più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, con orientamento espresso anche dall’ordinanza cautelare resa dal giudice di appello nel presente giudizio, che di tale disposizione deve essere prescelta un’interpretazione restrittiva, in quanto la segnalazione comporta l’apertura di un procedimento finalizzato all’applicazione della misura interdittiva dalla partecipazione alle pubbliche gare, con effetti general-preventivi pregiudizievoli anche più di quelli prodotti da una sanzione vera e propria (Cons. Stato, sez. V, 20.1.2021, n. 630; Cons. Stato, V, 23 luglio 2018, n. 4427).
Nella fattispecie, la ricorrente ha senz’altro omesso di fornire alla stazione appaltante delle informazioni che avrebbero influenzato le decisioni della stazione appaltante in merito all’aggiudicazione della gara, ma non ha letteralmente rifiutato informazioni al riguardo richieste, né positivamente reso dichiarazioni false, con la conseguenza che, aderendo all’interpretazione restrittiva della disposizione, non avrebbe potuto essere applicata la fattispecie sanzionatoria di cui all’art. 213 comma 13 del d.lgs. 50/2016.
Casellario ANAC – Annotazione notizie utili – Non implica valutazione sulla rilevanza del fatto – Accertamento sul possesso dei requisiti – Riservato alla Stazione Appaltante (art. 213 d.lgs. n. 50/2016)
Consiglio di Stato, sez. III, 02.08.2021 n. 5659
Il sindacato sul corretto esercizio della discrezionalità della p.a. non può essere condizionato da valutazioni dell’ANAC rese nell’ambito del procedimento di annotazione di una vicenda professionale nel Casellario informatico ai sensi dell’art. 213, comma 10, del Codice, per di più successive rispetto al provvedimento di esclusione adottato dalla Stazione Appaltante. Nel valutare se un fatto rientri o meno tra le cd “notizie utili”, l’Autorità non esprime una propria valutazione sulla rilevanza del fatto, ma verifica solo l’utilità dell’inserimento della notizia nel Casellario ai fini alle future valutazioni delle Stazioni Appaltanti, che tuttavia rimangono sempre libere di esaminare sia i fatti annotati nel Casellario, sia altre vicende professionali, come chiarito sia dal testo delle Linee Guida stesse (par. 4.2.), che dalla consolidata giurisprudenza. Come di recente statuito dalla V Sezione in merito alla ratio dell’annotazione nel casellario informatico delle notizie utili ai sensi dell’art. 213, comma 10, del Codice appalti, la finalità del compito affidato all’Anac traspare dalla stessa formulazione dell’enunciato normativo e consiste nella realizzazione di una banca dati integrata, che raccolga le informazioni e le notizie rilevanti per le stazioni appaltanti in vista della verifica del possesso dei requisiti generali e speciali degli operatori economici (Cons. Stato, Sez. V, 7 giugno 2021, n. 4299) il cui accertamento è comunque riservato alla stazione appaltante nell’ambito della singola procedura di gara.