Infondata è la censura con cui si deduce che tale clausola della lex specialis sarebbe nulla/illegittima perché contra legem rispetto alla previsione normativa dell’art. 10, comma 2, D.lgs. 36/2023 secondo cui “le clausole che prevedono cause ulteriori di esclusione sono nulle e si considerano non apposte”. Nel caso di specie, infatti, l’amministrazione, nell’esercizio della sua discrezionalità tecnica, ha ritenuto che il sopralluogo “assistito” fosse indispensabile alla formulazione di un’offerta consapevole e più aderente alle necessità dell’appalto, basata su una completa ed esaustiva conoscenza dello stato dei luoghi. In tale prospettiva, quindi, il sopralluogo è strettamente connesso alla formulazione dell’offerta e ne costituisce un elemento essenziale. Qualora la lex specialis contempli, come nella specie, l’obbligatorietà del sopralluogo, con le modalità indicate, ai fini della presentazione dell’offerta, l’omissione di tale adempimento si configura, invero, più che come una causa di esclusione di natura formale, come un’ipotesi di carenza sostanziale dell’offerta e del suo contenuto.
E ciò trova conferma anche nella disposizione di cui all’art. 92, comma 1, del D.Lgs. n. 36 del 2023, secondo cui “Le stazioni appaltanti, fermi quelli minimi di cui agli articoli 71, 72, 73, 74, 75 e 76, fissano termini per la presentazione delle domande di partecipazione e delle offerte adeguati alla complessità dell’appalto e al tempo necessario alla preparazione delle offerte, tenendo conto del tempo necessario alla visita dei luoghi, ove indispensabile alla formulazione dell’offerta, e di quello per la consultazione sul posto dei documenti di gara e dei relativi allegati”. […]
L’obbligo imposto dalla lex specialis di gara di effettuazione del sopralluogo, con le modalità indicate all’art. 11 del disciplinare, preliminare alla presentazione dell’offerta, è, invero, da ritenersi strumentale a garantire una completa ed esaustiva conoscenza dello stato dei luoghi funzionale alla miglior valutazione dei servizi da effettuare, non potendosi ritenere a tal fine sufficiente la descrizione riportata negli atti di gara; e la presenza del rappresentante dell’amministrazione al sopralluogo, espressamente richiesta dal disciplinare di gara, non può ritenersi adempimento inutile e meramente formale essendo ragionevolmente finalizzato a garantire la serietà del sopralluogo e la effettiva visione di tutti i luoghi necessari, anche delle zone non accessibili perché chiuse a chiave; così garantendo l’interesse al miglior esito della procedura e alla serietà ed affidabilità delle offerte presentate dalle concorrenti (in tal senso, cfr. Cons. Stato, sent. n. 1037 del 2018; sent. n.3675 del 2024).
L’art. 220, comma 1, d.lgs. n. 36/2023 prevede che «su iniziativa della stazione appaltante, dell’ente concedente o di una o più delle altre parti, l’ANAC esprime parere, previo contraddittorio, su questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara, entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta. L’operatore economico che abbia richiesto il parere o vi abbia aderito lo può impugnare esclusivamente per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia. La stazione appaltante o l’ente concedente che non intenda conformarsi al parere comunica, con provvedimento da adottare entro quindici giorni, le relative motivazioni alle parti interessate e all’ANAC, che può proporre il ricorso di cui al comma 3».
Tale disposizione, com’è noto, ha riscritto la disciplina del parere di precontenzioso dell’ANAC, già previsto dall’art. 211, d.lgs. n. 50/2016, apportando significative modifiche alla precedente normativa, specie sotto il profilo della vincolatività del parere medesimo, prevedendo espressamente che la stazione appaltante possa non conformarsi al parere dell’Autorità con provvedimento da adottare entro quindici giorni.
Coerentemente, l’art. 12 del Regolamento ANAC in materia di pareri di precontenzioso (di cui alla delibera ANAC n. 267/2023) ha previsto che «la stazione appaltante o l’ente concedente sono tenuti a comunicare all’Autorità, entro il termine massimo di quindici giorni dalla ricezione della comunicazione di cui all’art. 10, comma 2 e all’art. 11, comma 1, la propria decisione di conformarsi o non conformarsi al parere di precontenzioso»; che «entro il termine di cui al comma 1, la stazione appaltante o l’ente concedente che non intendono conformarsi al parere, sono tenuti a trasmettere all’Autorità un provvedimento, a firma del legale rappresentante, contenente le motivazioni a sostegno della decisione di mancata conformazione al parere; che «entro lo stesso termine, il provvedimento motivato va trasmesso, a cura della stazione appaltante o dell’ente concedente, a tutte le parti del procedimento di precontenzioso, mediante posta elettronica certificata»; e che «in caso di decisione di conformarsi al parere di precontenzioso, laddove l’adozione dei provvedimenti di adeguamento al parere richieda un tempo maggiore di quindici giorni, la stazione appaltante o l’ente concedente sono tenuti a trasmettere all’Autorità i provvedimenti consequenziali adottati entro i successivi trenta giorni».
Ciò chiarito in ordine alla normativa di riferimento, nel caso di specie è pacifico che, a seguito della ricezione della delibera ANAC n. 558/2023, il RUP della procedura di gara (in relazione alla quale il parere di precontenzioso è stato reso) ha adottato il provvedimento 9 dicembre 2023, n. 56925 con cui ha deciso di «adeguarsi» al parere dell’ANAC e ha «assegnato a -OMISSIS-, ai sensi dell’art. 104, commi 5 e 6, d.lgs. n. 36/2023, il termine di 10 giorni … per sostituire l’impresa ausiliaria». Alla luce di quanto sopra, è evidente che il summenzionato provvedimento del 9 dicembre 2023 che ha imposto alla -OMISSIS- di sostituire il Consorzio Stabile -OMISSIS- è all’evidenza l’atto concretamente lesivo che avrebbe dovuto essere impugnato dal Consorzio ricorrente (eventualmente anche in uno con il parere dell’ANAC), con conseguente inammissibilità del ricorso proposto (solamente) avverso il parere dell’Autorità. Se, infatti, la novella legislativa ha espressamente affermato il potere delle stazioni appaltanti di non conformarsi al parere dell’Autorità – nell’ottica di valorizzare e promuovere l’autonomia decisionale e la responsabilità delle s.a. (su cui grava il solo obbligo di non ignorare il parere, dovendo motivare le ragioni per cui scelgono di seguirlo o meno) – è chiaro che il parere di precontenzioso non è di per sé idoneo ad arrecare alcun pregiudizio agli operatori economici coinvolti nella vicenda in relazione alla quale detto parere viene reso.
In proposito va ricordato che per giurisprudenza consolidata in materia di gare telematiche, anche ove non sia possibile stabilire con certezza se vi sia stato un errore da parte del singolo operatore economico, ovvero se la trasmissione dell’offerta sia stata impedita da un vizio del sistema informatico imputabile alla stazione appaltante, le conseguenze degli esiti anormali del sistema non possono comunque andare a detrimento dei partecipanti, stante la natura meramente strumentale del mezzo informatico (Consiglio di Stato, sezione III, 28 dicembre 2020, n. 8348, Consiglio di Stato, sezione III, 07 gennaio 2020, n. 86 e Consiglio di Stato, sezione V, 20 novembre 2019, n. 7922), nonché i principi di par condicio e di favor partecipationis. Dalla natura meramente strumentale dell’informatica applicata all’attività della Pubblica Amministrazione discende, infatti, il corollario dell’onere per quest’ultima di doversi accollare il rischio dei malfunzionamenti e degli esiti anomali dei sistemi informatici di cui la stessa si avvale, essendo evidente che l’agevolazione che deriva alla P.A. stessa, sul fronte organizzativo interno, dalla gestione digitale dei flussi documentali, deve essere controbilanciata dalla capacità di rimediare alle occasionali possibili disfunzioni che possano verificarsi, in particolare attraverso lo strumento procedimentale del soccorso istruttorio (TAR Lecce, 10.06.2019 n. 977; TAR Milano, I, 9.1.2019, n. 40).
A maggior ragione nel caso di specie, in cui il malfunzionamento del sistema è stato obiettivamente riscontrato dalla stazione appaltante e tra l’altro segnalato dalla stessa ricorrente; la prima, rilevata l’inattendibilità della scheda di offerta economica generata dal sistema non idonea e non attendibile ai fini dell’attribuzione del punteggio economico, si è dunque correttamente fatta carico dell’inconveniente tecnico senza far gravare lo stesso sullo svolgimento della gara e dunque sulle due imprese partecipanti. […]
E’ dunque del tutto ragionevole che la stazione appaltante, nel caso che occupa, a fronte del ridetto malfunzionamento del sistema, abbia ritenuto “con ragionevole certezza” che i documenti “scheda di offerta economica predisposta dalla stazione appaltante” rappresentassero correttamente l’intento negoziale dei singoli offerenti, prendendoli dunque a riferimento, venuto meno il criterio di cui all’art. 8.9 del Capitolato d’oneri, per la valutazione delle offerte economiche.
In tal senso, il Collegio ritiene poi di dover rimarcare che – come eccepito dall’Amministrazione resistente – l’operato della stazione appaltante è perfettamente in linea col principio del risultato previsto dall’art. 1 del Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 36/2023.
Nel contesto della procedura di causa viene, infatti, in evidenza il principio cristallizzato all’art. 1 del Codice dei contratti pubblici, ai sensi del quale “Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti perseguono il risultato dell’affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza”, principio al quale il nuovo Codice dei contratti pubblici approvato con il d.lgs. n. 36/2023 attribuisce una valenza determinante nel guidare l’interprete nella lettura e nell’applicazione del nuovo impianto normativo di settore e della disciplina di gara.
Come è stato evidenziato di recente dal Consiglio di Stato (sez. V, sentenza n. 3738/2024) “L’art. 1 è collocato in testa alla disciplina del nuovo Codice dei contratti pubblici ed è principio ispiratore della stessa, sovraordinato agli altri. Si tratta di un principio considerato quale valore dominante del pubblico interesse da perseguire attraverso il contratto e che esclude che l’azione amministrativa sia vanificata ove non si possano ravvisare effettive ragioni che ostino al raggiungimento dell’obiettivo finale che è:
a) nella fase di affidamento giungere nel modo più rapido e corretto alla stipulazione del contratto;
b) nella fase di esecuzione (quella del rapporto) il risultato economico di realizzare l’intervento pubblico nei tempi programmati e in modo tecnicamente perfetto”.
Il principio del risultato costituisce, pertanto, “criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale” ed è legato da un nesso inscindibile con la “concorrenza”, la quale opera in funzione del primo rendendosi funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti. L’amministrazione, pertanto, deve tendere al miglior risultato possibile, in “difesa” dell’interesse pubblico per il quale viene prevista una procedura di affidamento” (cfr. TAR Napoli, 06.05.2024 n. 2959).
E ancora (così Tar Campania, sez. V, sentenza n. 2959/2024), “L’art. 1 del nuovo Codice degli appalti pubblici, in particolare, tratta il principio del risultato, rivolto essenzialmente agli enti committenti (stazioni appaltanti e enti concedenti) e riguarda l’iter complessivo del contratto, cioè sia la fase di affidamento che quella di esecuzione. Nello specifico il principio del risultato è inteso come l’interesse pubblico primario del Codice stesso, affinché l’affidamento del contratto e la sua esecuzione avvengano con la massima tempestività ed il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza.
La massima tempestività e il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo costituiscono, dunque, le due declinazioni principali del principio in parola, cui sono funzionali gli altri elementi indicati nei successivi commi: la concorrenza tra gli operatori economici, funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidamento e nell’esecuzione dei contratti, e la trasparenza, funzionale alla massima semplicità e celerità nell’applicazione delle disposizioni del Codice”.
Sulla base di detto principio, come rilevato dalla giurisprudenza amministrativa, nell’analisi dei casi concreti va quindi privilegiata l’esigenza di garantire il conseguimento dell’obiettivo dell’azione pubblica (con il riconoscimento del prioritario interesse al pronto raggiungimento delle finalità dell’appalto), essendo destinati a recedere quei formalismi ai quali non corrisponda una concreta ed effettiva esigenza di tutela del privato (cfr. Tar Campania, sez. I, sentenza n. 377/2024).
Il comma 4 dell’art. 1 del Codice prevede poi che “Il principio del risultato costituisce criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto”, traducendosi nel dovere degli enti committenti di ispirare le loro scelte discrezionali più al raggiungimento del risultato sostanziale che a una lettura meramente formale della norma da applicare. “La declinazione del principio del risultato contenuta nel comma 4 appare quindi destinata ad avere un maggiore impatto sui comportamenti concreti delle amministrazioni, soprattutto con riguardo all’interpretazione ed applicazione delle regole di gara, dovendo entrambe le fasi essere ispirate al risultato finale perseguito dalla programmata operazione negoziale, di cui assume un profilo dirimente la sua destinazione teleologica” (Tar Campania, sentenza n. 2959/2024, cit.).
Il principio del risultato è, inoltre, inestricabilmente avvinto all’ulteriore principio della fiducia di cui all’art. 2 del medesimo Codice dei contratti pubblici, il quale “amplia i poteri valutativi e la discrezionalità della p.a., in chiave di funzionalizzazione verso il miglior risultato possibile” (così ancora il Consiglio di Stato nella sentenza n. 3738/2024, nonché Tar Calabria, sez. III, sentenza n. 3738/2023).
Il nuovo principio-guida della fiducia, introdotto dall’art. 2, specie commi 1 e 2, del Codice (“1. L’attribuzione e l’esercizio del potere nel settore dei contratti pubblici si fonda sul principio della reciproca fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici. 2. Il principio della fiducia favorisce e valorizza l’iniziativa e l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, con particolare riferimento alle valutazioni e alle scelte per l’acquisizione e l’esecuzione delle prestazioni secondo il principio del risultato”), in particolare “afferma una regola chiara: ogni stazione appaltante ha la responsabilità delle gare e deve svolgerle non solo rispettando la legalità formale, ma tenendo sempre presente che ogni gara è funzionale a realizzare un’opera pubblica (o ad acquisire servizi e forniture) nel modo più rispondente agli interessi della collettività. Trattasi quindi di un principio che amplia i poteri valutativi e la discrezionalità della p.a., in chiave di funzionalizzazione verso il miglior risultato possibile” (Tar Campania, sentenza n. 2959/2024, cit.). Tanto premesso e venendo alla vicenda di causa, appare evidente che il chiarimento reso dalla stazione appaltante nel verbale del 24 aprile 2024 ed il conseguente operato nell’attribuzione dei punteggi economici delle due offerenti si colloca, secondo questo Collegio, nel solco delle citate innovative coordinate normative cui deve ispirarsi l’azione amministrativa. Nel delucidare la “regola del caso concreto”, come richiesto dai richiamati principi, la stazione appaltante ha difatti optato per un’interpretazione ed una applicazione delle regole di gara ispirata al principio del risultato e della conservazione degli atti della procedura, ritenendo ben essendo desumibile in maniera univoca la volontà negoziale delle offerenti, quale risultante dal modello economico predisposto dalla stazione appaltante debitamente compilato da ciascuna delle due imprese.
Il nuovo Codice dei contratti pubblici qualifica espressamente come requisito di capacità tecnica e professionale il requisito esperienziale del c.d. fatturato specifico.
In base all’art. 100, comma 11, del d.lgs. n. 36 del 2023 infatti “Fino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui al sesto periodo del comma 4, per le procedure di aggiudicazione di appalti di servizi e forniture, le stazioni appaltanti possono richiedere agli operatori economici quale requisito di capacità economica e finanziaria un fatturato globale non superiore al doppio del valore stimato dell’appalto, maturato nel triennio precedente a quello di indizione della procedura. In caso di procedure di aggiudicazione suddivise in pluralità di lotti, salvo diversa motivata scelta della stazione appaltante, il fatturato è richiesto per ciascun lotto. Le stazioni appaltanti possono, altresì, richiedere agli operatori economici quale requisito di capacità tecnica e professionale di aver eseguito nel precedente triennio dalla data di indizione della procedura di gara contratti analoghi a quello in affidamento anche a favore di soggetti privati”.
Inoltre nella fattispecie in esame lo stesso art. 7, lett. b), del disciplinare, rubricato “capacità tecnica e professionale (art. 100, comma 1, lett. c)”, stabiliva espressamente che “Al fine di provare la propria idoneità tecnica ed organizzativa allo svolgimento delle attività oggetto del presente affidamento, l’operatore economico dovrà dimostrare di avere un fatturato specifico (FS), maturato nel triennio solare antecedente alla data di pubblicazione della presente procedura (01.02.2021-02.02.2024), determinato dallo svolgimento di un servizio analogo allo sviluppo software inerente alla gestione del rischio, di importo pari ad almeno 100.000,00”.
Anche la legge di gara chiariva quindi in modo espresso che si trattava di requisito tecnico – non di requisito economico – e che tale requisito era richiesto non al fine di assicurare la solidità economica del concorrente, bensì per garantire che questo fosse in possesso delle capacità tecniche ed organizzative necessarie ad eseguire correttamente il servizio. E, per quanto in relazione a fattispecie riguardanti procedure indette anteriormente all’entrata in vigore del nuovo Codice, alcune pronunce anche di questo Tribunale avessero ritenuto configurabile il fatturato specifico anche come requisito economico-finanziario, la giurisprudenza amministrativa prevalente aveva già affermato che qualora la lex specialis di gara intenda il fatturato specifico quale espressione della capacità tecnica e non già di solidità economico finanziaria, e per la dimostrazione di tale requisito si faccia ricorso all’avvalimento, si è in presenza non di un avvalimento di garanzia, ma di un avvalimento operativo, il che comporta la necessità da parte dell’ausiliaria di una concreta messa a disposizione di risorse determinate, espressamente individuate, affinché il suo impegno possa dirsi effettivo (Cons. Stato, Sez. V, 1 settembre 2023, n. 8126; Cons. Stato, Sez. V, 13 aprile 2022, n. 2784; Cons. Stato, Sez. III, 9 marzo 2020, n. 1704; Cons. Stato, Sez. V, 19 luglio 2018, n. 4396).
Orbene, premesso che la controinteressata ha speso i requisiti maturati dal proprio direttore tecnico (ing. Discetti) ai sensi dell’art. 66 comma 2 del d.lgs. n. 36/2023, le certificazioni versate in atti dalle parti resistenti danno evidenza che in relazione ai servizi espletati per conto del Comune di Salerno, l’Ing. Discetti non ha realizzato il “100%” delle prestazioni ricadenti nella categoria D.02, tenuto conto che entrambi gli interventi (Lavori di riqualificazione area di cava ex D’Agostino e Sistemazione movimento franoso dell’acquedotto di Salerno in Località Paradiso di Pastena) risultano realizzati in raggruppamento composto dallo Studio -OMISSIS- (con quota di pertinenza pari rispettivamente all’82 % e all’80 %) e dalla -OMISSIS- S.p.A. (alla quale sono attribuite le restanti quote pari rispettivamente al 18% e al 20 %).
In ogni caso, le certificazioni rilasciate dal Comune di Salerno attestano che entrambe le prestazioni espletate dai componenti del RTP hanno indistintamente riguardato lavori rientranti nella categoria D.02 (che, quindi non possono essere imputabili, come invece dedotto dalle parti resistenti, esclusivamente allo Studio Discetti).
Non risulta, pertanto, integralmente provato il possesso del requisito di capacità tecnico professionale per la categoria D.02 dal momento che i servizi di ingegneria svolti in raggruppamento sono idonei ad attestare l’esperienza pregressa e la capacità tecnica di ciascun professionista solo limitatamente all’attività da questi effettivamente svolta, in quanto solo quest’ultima risulta in grado di arricchire di contenuto concreto l’esperienza documentata nel proprio curriculum; ed infatti, quando più professionisti concorrono nello svolgimento di un incarico unitario, ciascuno svolge un ruolo specifico in relazione alle sue particolari competenze, di tal che solo una parte del servizio è a lui riferibile; se, poi, si tratta di servizi omogenei, l’imputazione non può che avvenire pro quota, e, eventualmente, in parti uguali, ove non diversamente previsto (in termini, Cons. Stato, Sez. V, 10 dicembre 2020, n. 7911).
Tale nuovo assetto, incentrato sul principio del risultato incide profondamente sulle coordinate dell’interprete che nell’optare per diverse soluzioni interpretative è chiamato a scegliere quella più funzionale agli obiettivi fondamentali dell’affidamento del contratto e della sua esecuzione, nondimeno tale principio, proprio per la sua generalissima portata, non abroga le norme previgenti che, sia pure dettate in contesti normativi diversi, contengono puntuali prescrizioni.
È questo il caso della previsione di cui all’art. 69 del R.D. n. 827/1924 (Regolamento per l’amministrazione del patrimonio e la contabilità generale dello Stato) a mente del quale “l’asta deve rimanere aperta un’ora per la presentazione delle offerte ed è dichiarata deserta ove non ne siano presentate almeno due, a meno che l’avviso d’asta non preveda espressamente che si procederà all’aggiudicazione anche nel caso di presentazione di una sola offerta”.
Tale norma, che è stata dettata per consentire alle stazioni appaltanti la selezione del migliore contraente sul presupposto che un effettivo confronto concorrenziale delle offerte sia possibile soltanto in presenza di una pluralità di partecipanti alla gara (cfr. delibera ANAC n. 89/2022, TAR Campania n. 4371/2019), deve ritenersi tutt’ora in vigore e non abrogata, non mostrando un’incompatibilità diretta con le norme nemmeno del nuovo codice, come invece affermato da parte ricorrente.
Anzi la disposizione in parola, sia pure datata, risulta pienamente in linea con il nuovo contesto normativo, guardando alla pluralità di offerte come fattore strumentale alla massimizzazione dell’interesse pubblico mediante la selezione dell’offerta che garantisca il miglior rapporto tra qualità e prezzo, come prescritto dal nuovo codice con il principio del risultato.
La stessa previsione della possibilità delle stazioni appaltanti di procedere ugualmente all’affidamento anche in presenza di un’unica offerta qualora sia stata inserita un’apposita nella lex specialis, ben si armonizza con il rafforzamento della discrezionalità delle stazioni appaltanti voluto dal nuovo codice frutto della ritrovata fiducia nelle scelte dell’Amministrazione, assurta anch’essa a principio fondamentale della nuova evidenza pubblica.
Sotto questo profilo, quindi, deve ritenersi corretta la scelta dell’Amministrazione di non procedere all’esame dell’offerta proposta dalla ricorrente, atteso che la regola posta dal citato art. 69 del R.d. n. 827/1924 opera a monte, precludendo lo scrutinio dell’unica offerta pervenuta in assenza di una previsione della lex specialis che lo consenta, in tal modo spostando la discrezionalità della stazione appaltante a monte al momento dell’elaborazione delle regole di gara sotto forma di autovincolo.
In diritto, giova sottolineare che l’art. 16 comma 5 All. II.12 D.lgs. n. 36/2023, nel prescrivere che “…Almeno novanta giorni prima della scadenza del termine, l’operatore economico che intende conseguire il rinnovo dell’attestazione deve stipulare un nuovo contratto con la medesima SOA o con un’altra autorizzata all’esercizio dell’attività di attestazione”, ripropone pedissequamente il precetto già imposto dall’art. 76, comma 5, d.P.R. n. 207/2010.
Il Collegio, pertanto, reputa che non sussistano ragioni per discostarsi dall’orientamento giurisdizionale formatosi sulla previgente disposizione per cui:
– nell’ambito di una procedura di gara ad evidenza pubblica, “l’operatore che partecipa alla gara d’appalto deve garantire, con costanza, il possesso della qualificazione richiesta e la possibilità concreta della sua dimostrazione e verifica, onde assicurare alla stazione appaltante la propria affidabilità, nonché la perdurante idoneità tecnica ed economica” (v. Cons. Stato, sez. V, 18 novembre 2020 n. 7178; Id, 21 agosto 2020 n. 5163; Ad. Plen. 20 luglio 2015 n. 8);
– è ammessa l’ultravigenza della pregressa attestazione in pendenza dell’espletamento della procedura di verifica, laddove questa sia stata ritualmente e tempestivamente attivata; al fine della verifica della continuità del possesso del requisito di cui all’attestato di qualificazione, “è sufficiente che l’impresa abbia stipulato con la SOA il relativo contratto, o abbia presentato una istanza di rinnovo idonea a radicare l’obbligo dell’organismo di eseguire le connesse verifiche, nel termine normativamente previsto, cioè nei 90 giorni precedenti la scadenza del termine di validità dell’attestazione, ai sensi dell’art. 76, comma 5, del d.P.R. n. 207 del 2010 (ex multis, Cons. Stato, Ad. plen. n. 16 del 2014; n. 27 del 2012; Cons. Stato, sez. V, 8 marzo 2017, n. 1091). Diversamente, il decorso dei predetti 90 giorni non preclude di per sé il rilascio dell’attestazione: essa deve però considerarsi nuova e autonoma rispetto all’attestazione scaduta, e comunque decorrente, quanto a efficacia, dalla data del suo effettivo rilascio, senza, cioè, retroagire al momento di scadenza della precedente, ovvero senza saldarsi con quest’ultima (Cons. Stato, V, 6 luglio 2018, n. 4148)” (v. Cons. Stato, sez. V, n. 7178/2020 cit.).
La ratio della regola dell’ultravigenza della SOA risiede nel non far ricadere sull’impresa concorrente le conseguenze della durata del processo di verifica da parte dell’organismo di attestazione. Tuttavia, “occorre comunque che l’impresa abbia posto in essere nel termine di 90 giorni precedenti alla scadenza del termine di efficacia della SOA, tutte le attività necessarie per radicare l’obbligo dell’organismo di eseguire le verifiche” (v. TAR Napoli, sez. I, 12 agosto 2019 n. 4340).
Quindi, secondo l’interpretazione evincibile dal chiaro tenore letterale dell’art. 96, comma 10, lett. c, n. 1, confortata dalla relazione esplicativa del Consiglio di Stato sullo schema di provvedimento, in caso di sentenza di condanna non definitiva per un reato di cui al comma 1 dell’articolo 94, la causa di esclusione (non automatica) ex art. 95 rileva per un triennio decorrente dalla data di rinvio a giudizio (o di altro atto con il quale è stata esercitata l’azione penale), ovvero dalla data della misura cautelare applicata, se antecedente all’esercizio dell’azione penale.
Ciò in quanto, in linea con i principi espressi dalla direttiva europea in materia di appalti pubblici, deve escludersi la rilevanza di fatti che – per il tempo trascorso – non rappresentano più un indice su cui misurare l’affidabilità professionale dell’operatore economico, ed, a tal fine, deve aversi riguardo all’accertamento in sede giudiziale della commissione del fatto con sufficiente grado probabilistico in ordine alla colpevolezza dell’indagato (quantomeno individuabile nel grave quadro indiziario che giustifica l’emissione di una misura cautelare).
Inoltre, l’impugnazione di tali provvedimenti giudiziari così come la successiva evoluzione (in senso confermativo del fumus commissi delicti) del procedimento penale, con l’emanazione della sentenza di condanna non definitiva, non hanno l’effetto di determinare uno slittamento del dies a quo di decorrenza del termine triennale, restando, altrimenti, vanificata la ratio dell’introduzione di un termine fisso, e, dunque, “l’esigenza di “unicità” e “immodificabilità del termine triennale” (cfr. relazione del Consiglio di Stato, cit.) di rilevanza dell’illecito penale ai fini della partecipazione alla gara pubblica.
Pertanto, nel caso di specie, la possibile causa di esclusione rappresentata dalla commissione del delitto di cui all’art. 318 c.p., accertata in sede penale con sentenza non ancora passata in giudicato, non può assumere rilevanza ai fini della partecipazione della ricorrente alla procedura competitiva, essendo decorso un periodo superiore a tre anni dal momento dell’applicazione della misura cautelare personale (circostanza non contestata).
Le singole imprese consorziate non possono essere considerate “terze” rispetto al Consorzio, ma parti integranti dello stesso (in questi termini, T.A.R. Campania-Napoli, Sez. I, 28 luglio 2023, n. 4584; cfr., altresì, ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 3 settembre 2021, n. 6212; Tar Emilia-Romagna-Bologna, Sez. I, 29 novembre 2021, n. 975);
Infatti, se già sotto la vigenza dell’articolo 47 del d.lgs. 50/2016 la giurisprudenza riteneva errato sostenere che, in virtù della natura giuridica di Consorzio stabile, le risorse dallo stesso messe a disposizione di un altro operatore economico avrebbero dovuto provenire esclusivamente dalla propria struttura e organizzazione di impresa, tale conclusione si impone ancor di più alla luce del chiaro tenore letterale dell’articolo 67, comma 2, lett. d), del d.lgs. n. 36 del 2023, il quale ha espressamente previsto che, “per gli appalti di lavori, i requisiti di capacità tecnica e finanziaria per l’ammissione alle procedure di affidamento sono posseduti e comprovati dagli stessi sulla base delle qualificazioni possedute dalle singole imprese consorziate”, sicché del successivo comma 7, che ha prescritto che “Possono essere oggetto di avvalimento solo i requisiti maturati dallo stesso consorzio”, non si potrebbe dare una lettura non coerente con i commi precedenti;
In altri termini, una volta chiarito, al comma 2, che il meccanismo “ordinario” e generale di qualificazione dei consorzi stabili è quello del “cumulo alla rinfusa”, senza alcuna limitazione, deve ritenersi che la locuzione “requisiti maturati dallo stesso consorzio”, utilizzata dal successivo comma 7, per stabilire l’oggetto di avvalimento, vada interpretata nel senso di ricomprendere senz’altro anche i requisiti maturati per il tramite delle consorziate, pena, altrimenti, l’introduzione di limiti all’avvalimento difficilmente compatibili con la disciplina eurounitaria e oggi ancor di più con i principi del libero accesso al mercato e della massima partecipazione alle gare, sanciti quali principi generali della disciplina dei contratti pubblici agli articoli 3 e 10 del d.lgs. n. 36/2023 (sul punto cfr. T.A.R. Campania-Salerno, Sez. I, 28 febbraio 2024, n. 541, confermata in sede cautelare da Cons. Stato, Sez. V, ord. n. 1307/24);
Pertanto, dall’analisi dei precedenti punti è possibile concludere per la fondatezza del primo motivo di ricorso principale: difatti – come supra argomentato – il Consorzio stabile poteva prestare in avvalimento i requisiti maturati dalle consorziate e da esso posseduti in virtù del c.d. “cumulo alla rinfusa” ammesso in tale prospettiva dalla normativa vigente, con assorbimento dell’altro motivo di ricorso, non essendo necessaria una sostituzione come prospettata.
Per inficiare le operazioni di valutazione e aggiudicazione di una gara pubblica non basta contestare la mancanza del formale passaggio valutativo del costo della manodopera ma occorre fornire quantomeno un principio di prova sulla non correttezza dei valori di gara e delle corrispondenti offerte presentate che, nel caso di specie, il ricorrente non ha offerto. […]
Occorre evidenziare che l’art. 41 del D.Lgs. n. 36/2023 prevede che “nei contratti di lavori e servizi, per determinare l’importo posto a base di gara, la stazione appaltante o l’ente concedente individua nei documenti di gara i costi della manodopera secondo quanto previsto dal comma 13. I costi della manodopera e della sicurezza sono scorporati dall’importo assoggettato al ribasso. Resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale”. D’altro canto, l’art. 108, comma 9, del decreto, prevede che “nell’offerta economica l’operatore indica, a pena di esclusione, i costi della manodopera e gli oneri aziendali per l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro …”.
Secondo l’attuale regime normativo, in altri termini, le conclusioni interpretative sopra indicate sono ulteriormente rafforzate, giacché l’onere istruttorio della stazione appaltante per la valutazione del rispetto dei minimi salariali e, più in generale, dei costi della manodopera e dei profili di sicurezza scatta, oltre che nelle ipotesi di anomalia dell’offerta (ai sensi dell’art. 110 del codice), nei casi in cui l’importo offerto dal concorrente (in termini assoluti o di sconto) intacchi i valori indicati dalla stazione appaltante. Si consideri inoltre che l’art. 108 del nuovo Codice non reca più la necessità generalizzata di procedere alla verifica d’ufficio dei costi della manodopera, come invece riportato all’art. 95, comma 10 del precedente Codice. Ciò significa che nessun onere di esplicita o formale valutazione della congruità dei costi della manodopera e degli oneri della sicurezza può essere imputato alla stazione appaltante, laddove il concorrente abbia formulato una offerta nel pieno rispetto dei valori indicati nel disciplinare di gara, ai sensi dell’art. 41 del D.Lgs. n. 36/2023 e non emergano elementi che possano mettere in dubbio la congruità dei valori offerti.
Sul punto, più volte è intervenuta la giurisprudenza che, anche da ultimo, per tracciare la linea di confine tra nuovo e vecchio codice in materia di avvalimento premiale, ha statuito che l’avvalimento premiale è ammesso per quelle risorse che sono effettivamente prestate per integrare i requisiti ma che poi vanno a «qualificare» in termini qualitativi l’offerta (Cons. Stato, Sez. V, 09 gennaio 2024, n. 281; Consiglio di Stato, Sez. V, 9 febbraio 2023, n. 1449; Tar Sicilia Palermo, Sez. II, 25 luglio 2022, n. 2378; Tar Toscana Firenze Sez. I, 21/04/2022, n. 558; Tar Lazio Roma, Sez. III, 1 aprile 2021 n. 929; Consiglio di Stato, Sez. V, 23 marzo 2021 n. 2526).
Per vero, ad essere inammissibile ai sensi del D.lgs. 50/2016, è quell’avvalimento il cui scopo sia esclusivamente quello di conseguire (non sussistendo alcuna concreta necessità dell’incremento delle risorse) una migliore valutazione dell’offerta o comunque si concreti in un escamotage per incrementare il punteggio a una offerta cui nulla ha concretamente da aggiungere la partecipazione ausiliaria.
Secondo la recente giurisprudenza, “se con l’avvalimento l’impresa ausiliaria mette a disposizione dell’impresa ausiliata i requisiti speciali di partecipazione di cui questa risulta carente e le connesse risorse aziendali, allora non può escludersi che l’impresa ausiliata, nella formulazione della offerta tecnica, utilizzi le medesime risorse, di cui può e deve disporre nella fase di esecuzione del contratto proprio sulla base del rapporto di avvalimento, al fine di comporre una proposta tecnica che possa essere maggiormente apprezzata dalla Stazione appaltante e conseguire i punteggi premiali previsti” (T.A.R. Campania Salerno, Sez. I, 19/09/2023, n. 2014).
Nel nuovo codice appalti D.lgs. 36/2023, nel quale, ai sensi dell’art. 104vi è stata una formalizzazione dell’avvalimento premiale puro, ovvero l’avvalimento finalizzato non alla partecipazione ma all’esclusivo conseguimento delle risorse necessarie all’attribuzione di punteggi incrementali, sia pure con il limite partecipativo previsto dalla medesima disposizione quale opportuno temperamento a tutela dei rapporti concorrenziali.
La circostanza che l’art. 128 del codice, non richiama le regole “generali” degli affidamenti sotto-soglia di cui agli artt. 48 e seguenti del D.lgs. n. 36/2023 richiedendo l’applicazione dei “principi e i criteri di cui al comma 3°…”, non esonera l’ente affidatario dall’obbligo di motivare adeguatamente circa la modalità di affidamento prescelta che deve rispettare – oltre alle regole della contrattualistica pubblica e ai principi generali del codice dei contratti pubblici – anche gli speciali principi di cui al comma 3 dell’art. 128, secondo il quale “l’affidamento deve garantire la qualità, la continuità, l’accessibilità, la disponibilità e la completezza dei servizi, tenendo conto delle specifiche esigenze deve diverse categorie di utenti, compresi i gruppi svantaggiati e promuovendo il coinvolgimento e la responsabilità degli utenti”.
In definitiva, per l’affidamento dei servizi alla persona di importo inferiore alla soglia eurounitaria, la stazione appaltante può fare ricorso all’affidamento diretto, anche in deroga al principio di rotazione, ma ha l’obbligo di motivare con riferimento ai parametri indicati nel 3° comma dell’art. 128 cit., poiché argomentando diversamente si consentirebbe la reiterazione ad nutum dell’affidamento diretto al medesimo operatore, in aperta violazione del principio generale dell’accesso al mercato di cui all’art. 3 del D.lgs. n. 36/2023, mercato che rimarrebbe precluso ad altri operatori potenzialmente in grado di offrire i medesimi standard qualitativi e prestazionali di cui al citato art. 128, comma 3°.
La legittimazione nel processo amministrativo spetta ai soggetti titolari del rapporto controverso, dal lato attivo o passivo, tra i quali non può annoverarsi il professionista che sia stato incaricato (da una delle parti titolari del predetto rapporto) di svolgere la propria attività. Il professionista infatti è privo della qualità di concorrente alla gara e quindi di soggetto direttamente interessato dalla controversia, riguardante appunto una procedura a evidenza pubblica (Cons. St., sez. V, 11 novembre 2022 n. 9923). L’Adunanza plenaria ha infatti precisato che il professionista “va qualificato come professionista esterno incaricato di redigere il progetto esecutivo. Pertanto non rientra nella figura del concorrente né tanto meno in quella di operatore economico” (9 luglio 2020 n. 13).
15.5. La giurisprudenza amministrativa ha sostanzialmente ammesso, in passato, il principio secondo cui i consorzi stabili, soggetti dotati di autonoma personalità giuridica, costituiti in forma collettiva e con causa mutualistica, che operano in base a uno stabile rapporto organico con le imprese associate, si possono giovare, senza necessità di ricorrere all’avvalimento, dei requisiti di idoneità tecnica e finanziaria delle consorziate stesse, secondo il criterio del ‘cumulo alla rinfusa’ (cfr. Cons. Stato, sez. V, 2 febbraio 2021, n. 964; Cons. stato, 11 dicembre 2020, n. 7943; Cons. Stato sez. VI, 13 ottobre 2020, n. 6165; Cons. Stato, sez. III, 22 febbraio 2018, n. 1112).
Come noto, il criterio del ‘cumulo alla rinfusa’, costituendo un approdo pacifico della giurisprudenza, viene individuato nella possibilità per i consorzi stabili di qualificarsi nelle gare di affidamento di appalti pubblici utilizzando i requisiti delle proprie consorziate, dovendosi precisare che, in caso di partecipazione alla gara, è necessaria la verifica della effettiva esistenza in capo ai singoli consorziati, dei requisiti di capacità tecnica e professionale prescritti dalla lex specialis (Cons. Stato, Ad. Plen. 18 marzo 2021, n. 5).
15.6. Di recente, l’indirizzo giurisprudenziale sopra enunciato, a seguito delle modifiche del d.l. n. 32 del 2019, c.d. decreto sblocca – cantieri, è stato ulteriormente chiarito da questa Sezione, con la sentenza n. 7360 del 2022, secondo cui la possibilità di ‘qualificazione cumulativa’ nell’ambito dei consorzi stabili, è limitata ai requisiti relativi alla disponibilità delle attrezzature e mezzi dell’opera e all’organico medio annuo (cfr. art. 47, comma 1).
La suddetta pronuncia è stata valorizzata dal Collegio di prima istanza, al fine di sostenere l’inapplicabilità, nel caso di specie, dell’istituto del ‘cumulo alla rinfusa’ da parte del Consorzio appellante.
Invero, il c.d. decreto sblocca – cantieri ha riformulato l’art. 47, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, stabilendo che “I consorzi stabili di cui agli articoli 45, comma 2, lettera c), e 46, comma 1, lettera f) eseguono le prestazioni o con la propria struttura o tramite i consorzi indicati in sede di gara senza che ciò costituisca subappalto, ferma la responsabilità solidale degli stessi nei confronti della stazione appaltante. Per i lavori, ai fini della qualificazione di cui all’articolo 84, con il regolamento di cui all’articolo 216, comma 27 octies sono stabiliti i criteri per l’imputazione delle prestazioni eseguite al consorzio e ai singoli consorziati che eseguono le prestazioni. L’affidamento delle prestazioni da parte dei soggetti di cui all’articolo 45, comma 2, lettera b), ai propri consorziati non costituisce subappalto”. L’indirizzo interpretativo, espresso con la sentenza n. 7360 citata, ha considerato l’operatività del meccanismo del ‘cumulo alla rinfusa’ solo con riguardo alla disponibilità delle attrezzature e mezzi d’opera nonché all’organico medio annuo. Al di fuori di tali presupposti, dovrebbe applicarsi la regola generale che impone a ciascun concorrente la dimostrazione del possesso dei requisiti e delle capacità di qualificazione (artt. 83 e 84 d.lgs. n. 50/2016).
15.7. Il Collegio, invero, ritiene tale approdo argomentativo ormai superato, stante il chiaro tenore letterale dell’art. 225, comma 13, del Nuovo Codice dei Contratti (d.lgs. n. 36 del 2023), il quale ha chiarito, mediante un intervento di interpretazione autentica, il criterio applicativo degli artt. 47, 83 e 216 del d.lgs. n. 50 del 2016, stabilendo che: “Gli articoli 47, comma 1, 83, comma 2, e 216, comma 14, del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016, si interpretano nel senso che, in via transitoria, relativamente ai consorzi di cui all’articolo 45, comma 2, lett. c), del medesimo codice, ai fini della partecipazione alle gare e dell’esecuzione si applica il regime di qualificazione previsto dall’articolo 36, comma 7, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006 e dagli articoli 81 e 94 del regolamento di esecuzione ed attuazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207. L’articolo 47, comma 2- bis, del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016, si interpreta nel senso che, negli appalti di servizi e forniture, la sussistenza in capo ai consorzi stabili dei requisiti richiesti dal bando di gara per l’affidamento di servizi e forniture è valutata a seguito della verifica della effettiva esistenza dei predetti requisiti in capo ai singoli consorziati, anche se diversi da quelli designati in gara”.
La norma è applicabile alla vicenda processuale in esame, avendo natura di interpretazione autentica, dovendosi condividere l’indirizzo giurisprudenziale espresso da questa Sezione con ordinanza n. 1424 del 14.4.2023 (confermato con ordinanza 5 maggio 2023, n. 1761), secondo cui si deve ‘ritenere nella specie applicabile l’art. 225, comma 13, d.lgs. n. 36 del 2023, norma di interpretazione autentica (in quanto tale in vigore dal 1.4.2023, data di entrata in vigore del nuovo codice dei contratti pubblici, e sottratta la regime di efficacia differita che riguarda altre disposizioni), che disciplina, in via transitoria, l’istituto del ‘cumulo alla rinfusa”.
Il nuovo Codice dei contratti pubblici ha ammesso, in sostanza, in maniera generica e senza limitazioni, il ‘cumulo alla rinfusa’ anche all’art. 67, comma 2, lett. b) del d.lgs. n. 36 del 2023, il quale ha espressamente previsto che “per gli appalti di lavori, i requisiti di capacità tecnica e finanziaria per l’ammissione alle procedure di affidamento sono posseduti e comprovati dagli stessi sulla base delle qualificazioni possedute dalle singole imprese consorziate”.
Da siffatti rilievi consegue che, nella partecipazione alle gare d’appalto è il consorzio stabile (e non già ciascuna delle singole imprese consorziate) ad assumere la qualifica di concorrente e contraente e, per l’effetto, a dover dimostrare il possesso dei relativi requisiti partecipativi, anche mediante il cumulo dei requisiti delle imprese consorziate, a prescindere dal fatto che le stesse siano designate o meno in gara per l’esecuzione del contratto di appalto.
Il motivo è infondato, in quanto, per costante giurisprudenza, risalente alla sentenza di Cons. Stato, Ad. plen., 20 aprile 2006, n. 7, la mancata impugnazione del diniego nel termine di decadenza non consente la reiterabilità dell’istanza e la conseguente impugnazione del successivo diniego laddove a questo debba riconoscersi carattere meramente confermativo del primo. Tale paradigma viene derogato in presenza di fatti nuovi, sopravvenuti o meno, non rappresentati nell’originaria istanza o anche a fronte di una diversa prospettazione dell’interesse giuridicamente rilevante, cioè della posizione legittimante all’accesso (Cons. Stato, II, 25 gennaio 2023, n. 884; III, 3 novembre 2022, n. 9567; V, 6 novembre 2017, n. 5996).
Non può ritenersi “fatto nuovo” il deposito, da parte di -OMISSIS-, nel giudizio civile, della “richiesta di autorizzazione al subappalto art. 105, comma 2, del D.lgs. n. 50/2016”, atteso che si tratta di una circostanza di dubbio carattere innovativo, e comunque irrilevante rispetto ai documenti di cui era già stato inutilmente richiesto l’accesso (per intendersi, quelli elencati ai punti sub B, E, F).
Può dunque dirsi che l’azione ostensiva sia ripetibile solo ove il comportamento dell’amministrazione risulti inadempiente rispetto agli aspetti di novità della fattispecie (Cons. Stato, IV, 14 maggio 2014, n. 2476).
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