La clausola sociale nella prospettiva della Costituzione e della normativa europea

Consiglio di Stato, sez. V, 25.01.2024 n. 807

La clausola sociale contenuta nella legge della gara qui controversa, interpretata dei termini anzidetti, si pone in linea con la normativa e la giurisprudenza di riferimento, così non recando profili di invalidità.
L’art. 26 del disciplinare costituisce infatti attuazione dell’art. 50 del d. lgs. n. 50 del 2016, in base al quale “i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti inseriscono, nel rispetto dei principi dell’Unione europea, specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l’applicazione da parte dell’aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81”.

E’ consolidato l’orientamento in base al quale deve consentirsi un’applicazione elastica e non rigida della clausola sociale di cui all’art. 50 del d. lgs. n. 50 del 2016, per contemperare l’obbligo di mantenimento dei livelli occupazionali del precedente appalto con la libertà d’impresa e con la facoltà in essa insita di organizzare il servizio in modo efficiente e coerente con la propria organizzazione produttiva, al fine di realizzare economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento dell’appalto (Cons. St., sez. V, 1 agosto 2023 n. 7444).

Le stesse Linee Guida Anac n. 13 prevedono che “il riassorbimento del personale è imponibile nella misura e nei limiti in cui sia compatibile con il fabbisogno richiesto dall’esecuzione del nuovo contratto e con la pianificazione e l’organizzazione definita dal nuovo assuntore”.
Detta interpretazione della clausola sociale è conforme ai principi nazionali ed eurounitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza.

La clausola sociale di assorbimento opera nell’ipotesi di cessazione d’appalto e subentro di imprese o società appaltatrici e risponde all’esigenza di assicurare la continuità dell’occupazione nel caso di discontinuità dell’affidatario.

L’effetto della stessa è quello di condizionare la libertà economica e i principi dell’economia di mercato al fine di perseguire interessi socialmente rilevanti, come il diritto al lavoro.

La Costituzione italiana esordisce affermando che “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” (art. 1), cui si accompagnano le disposizioni costituzionali che si occupano di lavoro, fra le quali gli artt. 35 e 36.

D’altro canto, l’art. 41 Cost., norma base della Costituzione economica, sancisce la libertà dell’iniziativa economica privata sia pur condizionandola a che essa non si svolga in contrasto con l’utilità sociale o a danno della sicurezza, della libertà o della dignità umana (comma 2). Essa non riserva un’espressa attenzione alla concorrenza, con la conseguenza di renderla un riflesso del riconoscimento della libertà di iniziativa economica individuale.

L’esplicita menzione della concorrenza nel testo costituzionale si trova, a seguito della riforma del Titolo V, Parte II, della Costituzione, nell’attribuzione alla competenza legislativa esclusiva dello Stato della “tutela della concorrenza” (art. 117 comma 2 lett. e).

Ma è attraverso la normativa eurounitaria, che trova ingresso nell’ordinamento italiano attraverso l’art. 11 Cost., che la concorrenza ha assunto il rilievo attualmente attribuitole.

Nel contesto costituzionale si richiede, al fine di legittimare il modello regolativo delle clausole sociali, l’armonizzazione e il bilanciamento dei diritti sociali con le libertà economiche.

Già nella prospettiva costituzionale, nella quale la stessa norma chiave sulla libertà economica funzionalizza quest’ultima all’utilità sociale, la clausola sociale è ritenuta avente una portata elastica, condizionata al giudizio di compatibilità delle scelte organizzative degli operatori economici, così da evitare il sacrificio totale delle esigenze (organizzative) imprenditoriali, che comporterebbe il venir meno del nucleo distintivo dell’attività imprenditoriale, appunto l’organizzazione a proprio rischio (e quindi a propria scelta) di mezzi e risorse.

Le esigenze di bilanciamento fra diritti costituzionalmente protetti impediscono quindi di attribuire alle prerogative dei lavoratori una valenza assoluta, dovendo essere contemperate con altre esigenze di tutela, pure costituzionalmente garantite. In tale prospettiva la clausola sociale, perseguendo la prioritaria finalità di garantire la continuità dell’occupazione in favore dei medesimi lavoratori già impiegati dall’impresa uscente nell’esecuzione dell’appalto, risulta costituzionalmente legittima, quale forma di tutela occupazionale ed espressione del diritto al lavoro (art. 35 Cost.), se si contempera con le prerogative di organizzazione imprenditoriale che costituiscono espressione di quella libertà di impresa pure tutelata dall’art. 41 Cost.

Le due pronunce più rilevanti della Corte costituzionale sono la sentenza n. 226 del 1998 e la n. 68 del 2011, con le quali la Corte ha sancito la compatibilità con i principi costituzionali sia delle clausole di tutela del reddito (prima tipologia di clausole sociali, che trovano fonte nell’art. 357 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. F), che di continuità occupazionale.

Nella pronuncia più risalente la Corte costituzionale ha chiarito che la clausola sociale, da una parte, risponde all’”esigenza ― laddove nell’esercizio dell’attività imprenditoriale intervenga la PA ― di garantire uno standard minimo di tutela ai lavoratori coinvolti” e, dall’altra, riconosce che si persegue una “miglior realizzazione dell’interesse pubblico, secondo i principi della concorrenza tra imprenditori (per ottenere la Pubblica amministrazione le condizioni più favorevoli) e dalla parità di trattamento dei concorrenti della gara (per assicurare il miglior risultato della procedura concorsuale senza alterazioni e/o trattative)” (Corte cost. 19 giugno 1998 n. 226).

La Consulta ha poi legittimato l’inserimento nei bandi di gara anche delle clausole sociali di seconda generazione, che perseguono finalità di stabilità occupazionale, gravando l’appaltatore subentrante dell’obbligo di assorbire, per quanto possibile, il personale dipendente (Corte cost. 3 marzo 2011 n. 68).

E che la clausola sociale non crei un vincolo assoluto a carico dell’imprenditore subentrante è evidente dalla pronuncia di illegittimità costituzionale da ultimo richiamata che fonda la decisione sulla considerazione che “la stabilizzazione di personale della precedente impresa o società affidataria dell’appalto” sia prescritta “senza alcuna forma selettiva”, cioè in modo automatico.

La cornice nella quale sono state rese dette pronunce è quella di bilanciamento delle tutele sociali non solo con le libertà economiche (“minore apertura dei servizi alla concorrenza”, così la sentenza n. 68 del 2011) ma anche con le prerogative pubblicistiche di buon andamento dell’attività amministrativa, considerando “il maggior onere derivante dall’obbligo posto all’affidatario di assumere «a tempo indeterminato» il personale già utilizzato” (sentenza n. 68 del 2011).

Detta ultima prospettiva finisce per intercettare il tema della stessa soddisfazione delle esigenze della collettività di riferimento, non ultime quelle attinenti ai diritti fondamentali della persona, con una prospettiva di bilanciamento che vede confrontarsi i diritti sociali con i diritti più tipicamente personali, che si pongono nel novero dei principi costituzionali di più alto rango. E ciò in quanto il costo della commessa pubblica, anche dal punto di vista della manodopera, viene retribuito dall’Amministrazione, che non può accollarsi, in ragione del principio di buon andamento e, per esso, delle esigenze correlate alla scarsità di risorse a disposizione per lo svolgimento delle funzioni pubbliche, nei termini in cui corrispondono a costi non necessari per lo svolgimento della commessa, supportati dalle sole esigenze di tutela occupazionale.

In tale ultima prospettiva le clausole sociali di assorbimento del personale da parte del gestore entrante richiedono di essere applicate in ragione delle effettive esigenze connesse alla commessa pubblica.

In tal modo il grado elastico di vincolatività della clausola sociale di assorbimento del personale si fonda non solo sul bilanciamento delle tutele del lavoro con l’art. 41 Cost. ma anche sul principio, tipicamente pubblicistico, di buon andamento dell’azione amministrativa.

La latitudine applicativa degli obblighi connessi alla clausola sociale, come sopra delineata, trova conferma nella normativa e nella giurisprudenza eurounitaria, in una prospettiva quindi tipicamente concorrenziale (art. 3 TFUE) e di implementazione del mercato interno (art. 2 TFUE).

Al contrario, le esigenze dell’Amministrazione quale centro di spesa, che ha interesse a spendere nel modo più efficiente possibile le proprie risorse e a ottenere la migliore prestazione, permea l’intera disciplina della contrattualistica pubblica ma viene in evidenza soprattutto nell’ambito della normativa interna allo Stato membro, pur essendo coinvolte dalla disciplina eurounitaria sui contratti pubblici, che infatti richiama la nozione, tipica della disciplina nazionale di stampo contabilistico, di accrescimento dell’“efficienza della spesa pubblica” e di “uso più efficiente possibile dei finanziamenti pubblici” (considerando 2 della direttiva n. 2014/24/UE)

L’Unione europea infatti, fin dall’origine, ha avuto come obiettivo preminente il buon funzionamento del mercato e la tutela della concorrenza e della libertà d’impresa. Il riconoscimento, nei Trattati istituitivi, della libertà di circolazione delle persone, dei servizi, delle merci e dei capitali, il divieto di aiuti pubblici alle imprese e la previsione di una articolata disciplina a tutela della concorrenza, riconosce alla libertà di iniziativa economica privata un ruolo centrale nell’ordinamento europeo, considerati i settori attribuiti allo stesso, e quindi nel rispetto delle competenze proprie dei singoli Stati membri e dei controlimiti.

Anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, il cui valore giuridico, lo stesso dei Trattati, è attualmente (a seguito dell’approvazione del Trattato di Lisbona, avvenuta il primo dicembre 2009) sancito dall’art. 1 del TUE, contempla quali principi fondamentali la libertà d’impresa e la tutela dei consumatori.

In una prospettiva in cui risulta rilevante la prospettiva imprenditoriale e di mercato, rispetto ai diritti sociali dei lavoratori, la Corte di giustizia, con le sentenze Commissione c. Repubblica Italiana (CGUE 9 dicembre 2004, C-460/02) e Commissione c. Repubblica federale di Germania (CGUE 14 luglio 2005, C-386/03), concernenti il recepimento nei rispettivi paesi dell’art. 6 della direttiva 1996/67/CE riguardante il mercato aeroportuale, ha dichiarato le clausole sociali italiane e tedesche di passaggio del personale dipendente dal precedente gestore del servizio al soggetto subentrante (adottate sulla base dell’art. 18 della Direttiva che consente agli stati membri di “adottare le misure necessarie per garantire la tutela dei diritti dei lavoratori”) in contrasto con le finalità della Direttiva 96/67/CE in quanto incongrue e sproporzionate. A parere della Corte l’automatica stabilizzazione imposta ai nuovi concorrenti dalle clausole contestate rende oltremodo difficile l’accesso ai mercati di assistenza a terra di nuovi prestatori di servizi, mette in discussione l’uso razionale delle infrastrutture aeroportuali e la riduzione dei costi dei servizi implicati per gli utenti, nuoce all’effetto utile della direttiva e ne pregiudica le finalità, compromettendo l’apertura dei “mercati interessati e la creazione di condizioni adeguate in vista di una concorrenza intracomunitaria” nel settore.

Nella sentenza Viking, la Corte ha affermato che la tutela dei lavoratori costituisce un legittimo interesse in grado di giustificare, in linea di principio, una restrizione di una libertà fondamentale e che l’obiettivo della tutela e del miglioramento delle condizioni di lavoro rappresenta una ragione imperativa di interesse generale, ma ha aggiunto che per considerare giustificata l’azione collettiva occorre che essa sia effettivamente connessa all’obiettivo di tutela, adeguata per raggiungere l’obiettivo e proporzionata (CGUE, Grande sezione, 11 dicembre 2007, C-438/05).

Nel caso Rüffert la Corte di Giustizia ha ritenuto violato l’art. 49 TCE da quella disciplina che comporta oneri economici supplementari per le imprese di quei Paesi membri che hanno un diverso (più basso) regime di tutela a favore dei lavoratori perché determina una restrizione della libera prestazione dei servizi ingiustificata (CGUE, sez. II, 3 aprile 2008, C-346/06).

La Corte pertanto ha composto il rapporto tra diritti sociali e libertà economiche attribuendo una rilevanza alle prime.

In tale contesto la direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE, abrogando la precedente direttiva 2004/18/CE, ha introdotto specifiche norme a garanzia dei lavoratori.

In particolare, l’art. 18 della direttiva 2014/24/UE, intitolato “Principi per l’aggiudicazione degli appalti”, stabilisce che gli Stati membri adottino “misure adeguate per garantire che gli operatori economici, nell’esecuzione di appalti pubblici, rispettino gli obblighi applicabili in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro, stabiliti dal diritto dell’Unione, dal diritto nazionale, da contratti collettivi e da disposizioni transnazionali” (par. 2).

Una particolare attenzione alle ragioni di tutela del lavoro è confermata dall’art. 70, con il quale il legislatore europeo ha sancito la possibilità di introdurre clausole sociali (“Le amministrazioni aggiudicatrici possono esigere condizioni particolari in merito all’esecuzione dell’appalto, purché collegate all’oggetto dell’appalto ai sensi dell’articolo 67, paragrafo 3, e indicate nell’avviso di indizione di una gara o nei documenti di gara. Dette condizioni possono comprendere considerazioni economiche, legate all’innovazione, di ordine ambientale, sociale o relative all’occupazione”).

Le novità più rilevanti, rispetto alla previgente disciplina, sono l’eliminazione della necessaria verifica di compatibilità di tali clausole con il diritto europeo, con la conseguente evidenziazione della compatibilità dell’istituto con l’ordinamento europeo, e l’esplicito riferimento alla possibilità di tutelare, oltre al reddito dei lavoratori, la continuità dell’occupazione.

Il modificato quadro normativo, se legittima il modello regolativo delle clausole sociali, lo fa nel rispetto delle prerogative concorrenziali e del mercato (e quindi imprenditoriali), e comunque compatibilmente alle scelte del legislatore nazionale, intestatario delle attribuzioni relative ai diritti sociali e di organizzazione delle funzioni pubbliche.

“Il diritto comunitario non osta a che gli stati membri estendano l’applicazione delle loro leggi o dei contratti collettivi di lavoro stipulati tra le parti sociali a chiunque svolga un lavoro subordinato, anche temporaneo, nel territorio, indipendentemente dal paese in cui è stabilito il datore di lavoro”, purché tali norme siano applicate secondo i principi di parità di trattamento e non discriminazione (COM/2003/0458)

L’impostazione, che premia la tutela delle esigenze sociali, compatibilmente con le prerogative di mercato, risulta anche da altri aspetti della disciplina eurounitaria sulla contrattualistica pubblica.

Infatti, la necessità di assicurare in modo adeguato il rispetto degli obblighi previsti dall’art. 18 par. 2 della direttiva 2014/24/UE non ha impedito di configurare il motivo di esclusione previsto dall’art. par. 4 lett. a) di detta direttiva, relativo, fra l’altro, alle violazioni del diritto del lavoro, in termini di causa di esclusione facoltativa, e non obbligatoria (CGUE, sez. II, 30 gennaio 2020, n. C-395/18). E ciò anche alla luce del considerando 101 della direttiva stessa, da cui risulta che le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero continuare ad avere la possibilità di escludere operatori economici che si siano dimostrati inaffidabili a causa di violazioni di obblighi ambientali o sociali.

Nel rispetto del (delicato) equilibrio fra esigenze del mercato (e della concorrenza per il mercato) e esigenze di tutela sociale, rispetto alla clausola di assorbimento l’impostazione eurounitaria premia le decisioni dei singoli Stati membri, così derivando che la stessa è caratterizzata dal trattamento (sopra richiamato) che l’ordinamento italiano le riserva.

Dalla disciplina e dalla giurisprudenza eurounitaria non discende quindi il disconoscimento del carattere elastico delle clausole sociali, rispetto al trattamento che ricevono nell’ordinamento italiano.